CASTELLI, ROCCHE, TORRI, RUDERI, CITTÀ FANTASMA

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CASTELLI, ROCCHE, TORRI, RUDERI, CITTÀ FANTASMA

Borghi fortificati e Torri della provincia di Forlì-Cesena

Premilcuore I Conti Guidi del ramo di Modigliana fin dall’anno 1100 erano i Signori del territorio di Premilcuore. Nel 1263 a Dovadola avvenne una divisione fra i vari rami della famiglia Guidi rispetto ai diritti, feudi, beni e vassalli posseduti in Romagna e non è da escludere che ci sia stato un passaggio di possesso, così come svariate volte il Castello era stato ceduto in subfeudo. Infatti questo piccolo turrito castello sperduto negli Appennini Tosco-Romagnoli è stato spesso teatro delle lotte fra le potenti e prepotenti dinastie dei vari signori della Romagna. Si noti che il Castello era l’intero abitato fortificato difeso da mura e porte e la Rocca era il presidio militare del Castello posto a suo dominio. Nel corso dei secoli la Rocca ha subito vari danni causati da guerre e terremoti ed è per questo stata oggetto di numerosi rifacimenti che ne hanno sensibilmente modificato l’aspetto originario. Dal 700 è stata ceduta a privati perdendo qualunque funzione militare. Sono ancora visibili le cortine ed il maschio, da cui è stata ricavata una abitazione privata.
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Premilcuore
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Premilcuore I Conti Guidi del ramo di Modigliana fin dall’anno 1100 erano i Signori del territorio di Premilcuore. Nel 1263 a Dovadola avvenne una divisione fra i vari rami della famiglia Guidi rispetto ai diritti, feudi, beni e vassalli posseduti in Romagna e non è da escludere che ci sia stato un passaggio di possesso, così come svariate volte il Castello era stato ceduto in subfeudo. Infatti questo piccolo turrito castello sperduto negli Appennini Tosco-Romagnoli è stato spesso teatro delle lotte fra le potenti e prepotenti dinastie dei vari signori della Romagna. Si noti che il Castello era l’intero abitato fortificato difeso da mura e porte e la Rocca era il presidio militare del Castello posto a suo dominio. Nel corso dei secoli la Rocca ha subito vari danni causati da guerre e terremoti ed è per questo stata oggetto di numerosi rifacimenti che ne hanno sensibilmente modificato l’aspetto originario. Dal 700 è stata ceduta a privati perdendo qualunque funzione militare. Sono ancora visibili le cortine ed il maschio, da cui è stata ricavata una abitazione privata.
Forlì Edificata per difendere il vicino Palazzo dei Numai (a cui, tra l'altro, risulta collegata da un ingegnoso passaggio sotterraneo). Più volte rimaneggiata e restaurata, fino al 1870, presentava dei merli, poi sostituiti da un tetto dapprima spiovente e poi a quattro falde.
Torre Numai
Via Torre Numai
Forlì Edificata per difendere il vicino Palazzo dei Numai (a cui, tra l'altro, risulta collegata da un ingegnoso passaggio sotterraneo). Più volte rimaneggiata e restaurata, fino al 1870, presentava dei merli, poi sostituiti da un tetto dapprima spiovente e poi a quattro falde.
La torre bizantina di Cesena è una torre nel Centro storico di Cesena della città risalente al X sec.; è uno dei più antichi edifici cittadini. Probabilmente era la torre campanaria di una chiesa andata poi distrutta ma non se ne trova menzione in nessun antico disegno che raffigura la cittadina. Vi si accede da un cortile privato di una abitazione in via Strinati. Descrizione La pianta alla base è circolare ma la struttura verticale ha un andamento irregolare tanto che la parte alta della torre è ellittica; le pareti non sono perfettamente verticali e non hanno uno spessore costante. Nella parte alta ci sono quattro finestre, ciascuna con un arco a tutto sesto. La struttura è realizzata in mattoni; quattro cordonature circolari in mattoni suddividono ulteriormente la superficie della torre formando un reticolato. La torre non è isolata ma è incastrato in un edificio di poco più basso e gli spazi interni della torre, grazie alle aperture praticate in epoca indefinita, sono diventati parte integrante degli appartamenti del palazzo.
Torre Bizantina
La torre bizantina di Cesena è una torre nel Centro storico di Cesena della città risalente al X sec.; è uno dei più antichi edifici cittadini. Probabilmente era la torre campanaria di una chiesa andata poi distrutta ma non se ne trova menzione in nessun antico disegno che raffigura la cittadina. Vi si accede da un cortile privato di una abitazione in via Strinati. Descrizione La pianta alla base è circolare ma la struttura verticale ha un andamento irregolare tanto che la parte alta della torre è ellittica; le pareti non sono perfettamente verticali e non hanno uno spessore costante. Nella parte alta ci sono quattro finestre, ciascuna con un arco a tutto sesto. La struttura è realizzata in mattoni; quattro cordonature circolari in mattoni suddividono ulteriormente la superficie della torre formando un reticolato. La torre non è isolata ma è incastrato in un edificio di poco più basso e gli spazi interni della torre, grazie alle aperture praticate in epoca indefinita, sono diventati parte integrante degli appartamenti del palazzo.
Il torrione del Nuti è una torre facente parte delle fortificazioni a difesa della Rocca Malatestiana di Cesena. Insieme all'adiacente cortina muraria, costituisce la Rocchetta di Piazza. La Rocca Malatestiana di Cesena, collocata sul Colle Garampo, fu ingrandita ai piedi del colle, nel 1466, dall'aggiunta di una torre affiancata da una cortina muraria progettate da Matteo Nuti. Inizialmente la torre era scoperta e dotata di merlature. Ai piedi del torrione nel 1598 venne realizzato un abbeveratoio, denominato poi "Fontanone", che sopravvisse fino agli inizi del XX secolo. Subì poi successive trasformazioni. All’interno è ospitato il Museo dell'Ecologia.
Rocchetta di Piazza
Piazza del Popolo
Il torrione del Nuti è una torre facente parte delle fortificazioni a difesa della Rocca Malatestiana di Cesena. Insieme all'adiacente cortina muraria, costituisce la Rocchetta di Piazza. La Rocca Malatestiana di Cesena, collocata sul Colle Garampo, fu ingrandita ai piedi del colle, nel 1466, dall'aggiunta di una torre affiancata da una cortina muraria progettate da Matteo Nuti. Inizialmente la torre era scoperta e dotata di merlature. Ai piedi del torrione nel 1598 venne realizzato un abbeveratoio, denominato poi "Fontanone", che sopravvisse fino agli inizi del XX secolo. Subì poi successive trasformazioni. All’interno è ospitato il Museo dell'Ecologia.
La rocca o torre malatestiana di Cesenatico era una torre risalente al 1302 voluta dalla città di Cesena per difendere il "porto Cesenatico"; venne distrutta nel 1944 dalle truppe tedesche durante la Seconda guerra mondiale. I pochi resti, un perimetro di pietre, conservati presso il parco archeologico della Rocca, sono la testimonianza più antica dell'insediamento medievale del "Porto Cesenatico" che poi darà origine alla città di Cesenatico. A causa poi dell'avanzamento della linea costiera, la struttura divenne inutile e fu necessario costruire una torre più vicina al mare, nota come Torre Pretoria. Leonardo da Vinci vi salì per poter vedere dall'alto il porto nel 1502 e, in questa occasione, probabilmente tracciò i due disegni del Codice L, conservati alla Biblioteca di Vienna.
Via Torre Malatestiana
Via Torre Malatestiana
La rocca o torre malatestiana di Cesenatico era una torre risalente al 1302 voluta dalla città di Cesena per difendere il "porto Cesenatico"; venne distrutta nel 1944 dalle truppe tedesche durante la Seconda guerra mondiale. I pochi resti, un perimetro di pietre, conservati presso il parco archeologico della Rocca, sono la testimonianza più antica dell'insediamento medievale del "Porto Cesenatico" che poi darà origine alla città di Cesenatico. A causa poi dell'avanzamento della linea costiera, la struttura divenne inutile e fu necessario costruire una torre più vicina al mare, nota come Torre Pretoria. Leonardo da Vinci vi salì per poter vedere dall'alto il porto nel 1502 e, in questa occasione, probabilmente tracciò i due disegni del Codice L, conservati alla Biblioteca di Vienna.
La Torre Pretoria era una torre costiera di avvistamento costruita nel 1597 a Cesenatico. Venne distrutta a seguito del bombardamento della flotta inglese durante le guerre napoleoniche nel 1809 e se ne perse memoria fino a quando, durante i lavori di ristrutturazione della pavimentazione di una piazza nel 2001, ne vennero ritrovate le fondamenta. Storia La costruzione fu completata nel 1597 su progetto dell'architetto Francesco Masini e fungeva, oltre che come elemento difensivo, anche come residenza del Podestà del Porto. All'epoca della sua costruzione il sito scelto, in corrispondenza del molo di levante, corrispondeva alla fine del centro abitato. Venne costruita al fine di garantire un punto di osservazione per scorgere in tempo l'arrivo dei pirati che a quel tempo minacciavano le città sulle costa adriatica. I pirati erano turchi che si erano stabiliti sulle coste nordafricane e che, periodicamente, durante la primavera e l'estate, organizzavano scorrerie usando imbarcazioni veloci con le quali aggredivano anche navi e pescherecci e con le quali si spingevano nell'entroterra per depredare e rapire gli abitanti per chiederne un riscatto o per venderli come schiavi. La costruzione fungeva anche da caserma con un presidio militare che probabilmente aveva anche compiti di ordine pubblico. Venne distrutta nel 1809 a seguito del bombardamento della flotta inglese durante le guerre napoleoniche. Descrizione La torre è rappresentata in alcune antiche opere d'arte come ad esempio in un'incisione del 1776 realizzata da Sebastiano Sassi che riproduce una veduta di Cesenatico. Era composta da tre piani e si sviluppava su una pianta quadrata di tredici metri di lato per un'altezza di circa 18 m; in cima alla costruzione, oltre alle finestre di avvistamento, vi erano due cannoni, uno verso il mare e uno verso terra; in caso di necessità v'era la possibilità di tendere delle catene per impedire l'attracco alle navi dei pirati o a quelle sospettate di poter diffondere epidemie. Al primo e al secondo piano vi erano quattro finestre quadrate su ogni lato e vi erano ospitati gli appartamenti del potestà; al terzo piano vi erano le aperture per l'avvistamento. La costruzione era coperta da un tetto a piramide. Al pianterreno vi era una rampa esterna che conduceva, tramite un portale ad arco, all'interno, dove si trovava una stanza d'ingresso, la cucina e il posto di guardia.
Vicolo della Torre
Vicolo della Torre
La Torre Pretoria era una torre costiera di avvistamento costruita nel 1597 a Cesenatico. Venne distrutta a seguito del bombardamento della flotta inglese durante le guerre napoleoniche nel 1809 e se ne perse memoria fino a quando, durante i lavori di ristrutturazione della pavimentazione di una piazza nel 2001, ne vennero ritrovate le fondamenta. Storia La costruzione fu completata nel 1597 su progetto dell'architetto Francesco Masini e fungeva, oltre che come elemento difensivo, anche come residenza del Podestà del Porto. All'epoca della sua costruzione il sito scelto, in corrispondenza del molo di levante, corrispondeva alla fine del centro abitato. Venne costruita al fine di garantire un punto di osservazione per scorgere in tempo l'arrivo dei pirati che a quel tempo minacciavano le città sulle costa adriatica. I pirati erano turchi che si erano stabiliti sulle coste nordafricane e che, periodicamente, durante la primavera e l'estate, organizzavano scorrerie usando imbarcazioni veloci con le quali aggredivano anche navi e pescherecci e con le quali si spingevano nell'entroterra per depredare e rapire gli abitanti per chiederne un riscatto o per venderli come schiavi. La costruzione fungeva anche da caserma con un presidio militare che probabilmente aveva anche compiti di ordine pubblico. Venne distrutta nel 1809 a seguito del bombardamento della flotta inglese durante le guerre napoleoniche. Descrizione La torre è rappresentata in alcune antiche opere d'arte come ad esempio in un'incisione del 1776 realizzata da Sebastiano Sassi che riproduce una veduta di Cesenatico. Era composta da tre piani e si sviluppava su una pianta quadrata di tredici metri di lato per un'altezza di circa 18 m; in cima alla costruzione, oltre alle finestre di avvistamento, vi erano due cannoni, uno verso il mare e uno verso terra; in caso di necessità v'era la possibilità di tendere delle catene per impedire l'attracco alle navi dei pirati o a quelle sospettate di poter diffondere epidemie. Al primo e al secondo piano vi erano quattro finestre quadrate su ogni lato e vi erano ospitati gli appartamenti del potestà; al terzo piano vi erano le aperture per l'avvistamento. La costruzione era coperta da un tetto a piramide. Al pianterreno vi era una rampa esterna che conduceva, tramite un portale ad arco, all'interno, dove si trovava una stanza d'ingresso, la cucina e il posto di guardia.

Borghi fortificati e Torri della provincia di Ravenna

Bagnacavallo Il Castellaccio è un'antica costruzione fortificata, facente parte dell'antica "cittadella" di Bagnacavallo, la cui parte originaria potrebbe risalire al XII sec.. Rimaneggiato nel Quattrocento, assunse le caratteristiche architettoniche che ancor oggi lo contraddistinguono e divenne in seguito residenza privata. Nel XIX sec. il palazzo fu sede dell'Accademia dei Cillaridi e, successivamente, di quella degli Armonici, associazioni culturali di nobili e clericali. La struttura, a tre piani, è stata abitata nel corso dei secoli da diverse famiglie nobili.
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Bagnacavallo
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Bagnacavallo Il Castellaccio è un'antica costruzione fortificata, facente parte dell'antica "cittadella" di Bagnacavallo, la cui parte originaria potrebbe risalire al XII sec.. Rimaneggiato nel Quattrocento, assunse le caratteristiche architettoniche che ancor oggi lo contraddistinguono e divenne in seguito residenza privata. Nel XIX sec. il palazzo fu sede dell'Accademia dei Cillaridi e, successivamente, di quella degli Armonici, associazioni culturali di nobili e clericali. La struttura, a tre piani, è stata abitata nel corso dei secoli da diverse famiglie nobili.
Torre Polentana a Castiglione di Ravenna Buona parte del patrimonio storico architettonico della zona è costituita da ville padronali di proprietà privata: Palazzo Lovatelli, noto come Villa Doria,1630 e torre Polentana sec. XIII. Villa Doria è nascosta alla vista da un folto bosco-giardino. Questa villa di due piani in mattoni “faccia a vista” fu costruita nel 1630 e costituisce uno dei migliori esempi di architettura rurale seicentesca caratterizzata dalla predilezione per modelli di stampo padano più pacifici rispetto alla villa-castello di stampo neofeudale di cui Palazzo Grossi è uno dei più efficaci esempi. Elementi qualificanti la villa sul piano architettonico sono il doppio loggiato centrale, che in pianta corrisponde ai saloni principali della casa e la torre eretta nel 1288 appartenuta alla famiglia dei da Polenta, Signori di Ravenna dal 1275, venne poi trasformata in colombaia.
Castiglione di Ravenna
Torre Polentana a Castiglione di Ravenna Buona parte del patrimonio storico architettonico della zona è costituita da ville padronali di proprietà privata: Palazzo Lovatelli, noto come Villa Doria,1630 e torre Polentana sec. XIII. Villa Doria è nascosta alla vista da un folto bosco-giardino. Questa villa di due piani in mattoni “faccia a vista” fu costruita nel 1630 e costituisce uno dei migliori esempi di architettura rurale seicentesca caratterizzata dalla predilezione per modelli di stampo padano più pacifici rispetto alla villa-castello di stampo neofeudale di cui Palazzo Grossi è uno dei più efficaci esempi. Elementi qualificanti la villa sul piano architettonico sono il doppio loggiato centrale, che in pianta corrisponde ai saloni principali della casa e la torre eretta nel 1288 appartenuta alla famiglia dei da Polenta, Signori di Ravenna dal 1275, venne poi trasformata in colombaia.
Maschio della Rocca a Solarolo Rudere della Torre minata dal Tedeschi nel 1945, in cui persero la vita decine di solarolesi. La Rocca, completata intorno alla metà del XV sec., si estendeva tra le attuali Piazza Garibaldi e Via Montale - fu quasi totalmente smantellata nei primi anni del '700. Le mura del Castello furono realizzate in laterizio nella seconda metà del '400 e pur considerando i numerosi rimaneggiamenti e restauri conservano la struttura originaria. La porta del Castello fu detta "Porta Vecchia" o "di Ponente" dopo l'apertura di un'altra sul versante Est, nel XVI sec. e fu sede del Monte di Pietà. Conserva stemma originario cinquecentesco della casata Este - Gonzaga».
Solarolo
Maschio della Rocca a Solarolo Rudere della Torre minata dal Tedeschi nel 1945, in cui persero la vita decine di solarolesi. La Rocca, completata intorno alla metà del XV sec., si estendeva tra le attuali Piazza Garibaldi e Via Montale - fu quasi totalmente smantellata nei primi anni del '700. Le mura del Castello furono realizzate in laterizio nella seconda metà del '400 e pur considerando i numerosi rimaneggiamenti e restauri conservano la struttura originaria. La porta del Castello fu detta "Porta Vecchia" o "di Ponente" dopo l'apertura di un'altra sul versante Est, nel XVI sec. e fu sede del Monte di Pietà. Conserva stemma originario cinquecentesco della casata Este - Gonzaga».
Brisighella Torre costruita tutta in laterizio, presenta comunque numerose interessanti soluzioni di architettura militare rinascimentale. La Torre del Marino venne eretta verso la fine del XV sec., per scopi difensivi e di avvistamento, domina infatti la Valle del Senio e una vasta area collinare, dalla famiglia dei Naldi. La Torre, inoltre, costituì il prototipo architettonico per le successive Torri di Cavina (1491) e di Pratesi (1510 circa) situate alcuni chilometri a monte della Vena del Gesso.
Torre del Marino
45 Via Torre del Marino
Brisighella Torre costruita tutta in laterizio, presenta comunque numerose interessanti soluzioni di architettura militare rinascimentale. La Torre del Marino venne eretta verso la fine del XV sec., per scopi difensivi e di avvistamento, domina infatti la Valle del Senio e una vasta area collinare, dalla famiglia dei Naldi. La Torre, inoltre, costituì il prototipo architettonico per le successive Torri di Cavina (1491) e di Pratesi (1510 circa) situate alcuni chilometri a monte della Vena del Gesso.
Brisighella In origine era il fortilizio fatto erigere nel 1290 da Maghinardo Pagani da Susinana per controllare le mosse degli assediati nel vicino castello di Baccagnano. Fino al 1500 costituì, insieme alla Rocca, il sistema difensivo del centro abitato. Danneggiata e ricostruita più volte, la torre fu completamente rifatta nel 1850 e nello stesso anno vi fu posto anche l'orologio. Il quadrante dell'orologio è a sei ore.
Torre dell’Orologio
Via Rontana
Brisighella In origine era il fortilizio fatto erigere nel 1290 da Maghinardo Pagani da Susinana per controllare le mosse degli assediati nel vicino castello di Baccagnano. Fino al 1500 costituì, insieme alla Rocca, il sistema difensivo del centro abitato. Danneggiata e ricostruita più volte, la torre fu completamente rifatta nel 1850 e nello stesso anno vi fu posto anche l'orologio. Il quadrante dell'orologio è a sei ore.
Cotignola Risale alla fine del XIV sec. detta “il Campanone ”, edificata nel 1376 a fianco della pieve di S. Stefano in Panicate. Autore della torre e di altri sistemi difensivi fu il condottiero inglese John Hawkwood che li aveva fatti costruire attorno alla città dopo aver ricevuto in feudo Cotignola da Papa Gregorio XI nel 1370. La Torre è stata ricostruita nel 1972 e dagli scavi si è scoperto che il basso tronco era a pianta quadrata, secondo lo stile di costruzione delle antiche torri ravennati, il che fa supporre che la torre sia stata costruita sul basamento del vecchio campanile della Pieve di S. Stefano in Panicale (sec. IX - X), Le cui rovine sono state portate alla luce durante gli stessi scavi. Fusa in bronzo da Pier Francesco Censori nel 1616, presenta un motivo decorativo a bassorilievi raffiguranti immagini sacre, intervallati da quattro stemmi di antiche famiglie Cotignolesi.
Torre di Giovanni Acuto
Cotignola Risale alla fine del XIV sec. detta “il Campanone ”, edificata nel 1376 a fianco della pieve di S. Stefano in Panicate. Autore della torre e di altri sistemi difensivi fu il condottiero inglese John Hawkwood che li aveva fatti costruire attorno alla città dopo aver ricevuto in feudo Cotignola da Papa Gregorio XI nel 1370. La Torre è stata ricostruita nel 1972 e dagli scavi si è scoperto che il basso tronco era a pianta quadrata, secondo lo stile di costruzione delle antiche torri ravennati, il che fa supporre che la torre sia stata costruita sul basamento del vecchio campanile della Pieve di S. Stefano in Panicale (sec. IX - X), Le cui rovine sono state portate alla luce durante gli stessi scavi. Fusa in bronzo da Pier Francesco Censori nel 1616, presenta un motivo decorativo a bassorilievi raffiguranti immagini sacre, intervallati da quattro stemmi di antiche famiglie Cotignolesi.
Oriolo dei Fichi frazione di Faenza Oriolo fu una località importante già nell'Alto Medioevo. Nel 1057 il sito di Oriolo venne fortificato con un castello voluto dall'Arcivescovo di Ravenna. Alla Chiesa di Ravenna appartenne formalmente con discontinuità fino al 1474. Successivamente Carlo II Manfredi acquistò la rocca esistente e la ristrutturò, costruendo la possente torre esagonale "a doppio puntone", unica in Italia, che ancora oggi ammiriamo e che da allora è il simbolo di Oriolo. Fin dal XIV sec. al territorio di Oriolo fu riservata un'ampia autonomia amministrativa che garantì sicurezza e prosperità ai suoi abitanti. Il Comune di Oriolo continuò ad esistere anche sotto il governo pontificio ed ebbe i propri Statuti nel 1518. Nel 1753 la Rocca, ormai in rovina, venne ceduta in enfiteusi a Sebastiano Orioli; nel 1771 passò a Vincenzo Caldesi. Infine nel 1983 attraverso un atto di donazione la Torre, con il parco circostante vasto un paio di ettari, è ritornata di proprietà del Comune di Faenza, ed è stata in parte restaurata.
Torre di Oriolo
N°19 Via di Oriolo
Oriolo dei Fichi frazione di Faenza Oriolo fu una località importante già nell'Alto Medioevo. Nel 1057 il sito di Oriolo venne fortificato con un castello voluto dall'Arcivescovo di Ravenna. Alla Chiesa di Ravenna appartenne formalmente con discontinuità fino al 1474. Successivamente Carlo II Manfredi acquistò la rocca esistente e la ristrutturò, costruendo la possente torre esagonale "a doppio puntone", unica in Italia, che ancora oggi ammiriamo e che da allora è il simbolo di Oriolo. Fin dal XIV sec. al territorio di Oriolo fu riservata un'ampia autonomia amministrativa che garantì sicurezza e prosperità ai suoi abitanti. Il Comune di Oriolo continuò ad esistere anche sotto il governo pontificio ed ebbe i propri Statuti nel 1518. Nel 1753 la Rocca, ormai in rovina, venne ceduta in enfiteusi a Sebastiano Orioli; nel 1771 passò a Vincenzo Caldesi. Infine nel 1983 attraverso un atto di donazione la Torre, con il parco circostante vasto un paio di ettari, è ritornata di proprietà del Comune di Faenza, ed è stata in parte restaurata.
Cervia Nel 600 e per tutto il secolo successivo, i pirati erano molto presenti nel nostro Mare Adriatico, le loro scorrerie portavano spesso distruzione e malessere nei porti del litorale. È in questo contesto che si rese necessaria la costruzione della Torre San Michele. COME TUTTO EBBE INIZIO Cervia, per via del suo ricco commercio basato per la maggior parte sul sale, poteva essere facile preda di questi attacchi, per questo motivo, il Conte Michelangelo Maffei, Tesoriere di Romagna che già costruì i Magazzini, tra il 1689 e il 1691 fece erigere la Torre San Michele, una poderosa fortezza di 3 piani a pianta quadrata di 13 metri e alta 22. Il nome deriva dal fatto che sopra il portone d’ingresso si trovava e si trova tuttora un’effige di marmo dedicata al Santo. LA TORRE SAN MICHELE ERA UN VERO FORTINO L’ingresso originale della torre era posto al secondo piano, raggiungibile tramite una scalinata che al suo apice finiva in un ponte levatoio di legno. Al suo interno poteva ospitare fino a 300 soldati ed era così suddivisa: al piano terra vi era la cucina, nei primi due piani vi erano gli stanzini della guarnigione, mentre al terzo e ultimo piano si trovava la “piazza d’armi”, la quale, nel XVIII era attrezzata con una colubrina di bronzo, due cannoni a media gittata e altre armi più leggere. In caso di attacco, una campana avvisava la popolazione cervese dell’imminente pericolo.
Torre San Michele
4 Via Evangelisti
Cervia Nel 600 e per tutto il secolo successivo, i pirati erano molto presenti nel nostro Mare Adriatico, le loro scorrerie portavano spesso distruzione e malessere nei porti del litorale. È in questo contesto che si rese necessaria la costruzione della Torre San Michele. COME TUTTO EBBE INIZIO Cervia, per via del suo ricco commercio basato per la maggior parte sul sale, poteva essere facile preda di questi attacchi, per questo motivo, il Conte Michelangelo Maffei, Tesoriere di Romagna che già costruì i Magazzini, tra il 1689 e il 1691 fece erigere la Torre San Michele, una poderosa fortezza di 3 piani a pianta quadrata di 13 metri e alta 22. Il nome deriva dal fatto che sopra il portone d’ingresso si trovava e si trova tuttora un’effige di marmo dedicata al Santo. LA TORRE SAN MICHELE ERA UN VERO FORTINO L’ingresso originale della torre era posto al secondo piano, raggiungibile tramite una scalinata che al suo apice finiva in un ponte levatoio di legno. Al suo interno poteva ospitare fino a 300 soldati ed era così suddivisa: al piano terra vi era la cucina, nei primi due piani vi erano gli stanzini della guarnigione, mentre al terzo e ultimo piano si trovava la “piazza d’armi”, la quale, nel XVIII era attrezzata con una colubrina di bronzo, due cannoni a media gittata e altre armi più leggere. In caso di attacco, una campana avvisava la popolazione cervese dell’imminente pericolo.
Torre a Traversara frazione di Bagnacavallo La Torre di Traversara, a Bagnacavallo, fu costruita attorno al 1370 e fu trasformata da torre di difesa in abitazione fortificata e quindi in villa attorno al 1736. La torre passò dalla famiglia Hercolani a quella del conte bagnacavallese Vitelloni, quindi a Leonardo Rambelli, ingegnere capo al Magistrato delle Acque. Passò infine al pittore Giuseppe Rambelli, allievo del Fattori, che vi risiedette fino agli anni ’50 e che la illustrò creandovi molte delle sue belle opere.
Traversara
Torre a Traversara frazione di Bagnacavallo La Torre di Traversara, a Bagnacavallo, fu costruita attorno al 1370 e fu trasformata da torre di difesa in abitazione fortificata e quindi in villa attorno al 1736. La torre passò dalla famiglia Hercolani a quella del conte bagnacavallese Vitelloni, quindi a Leonardo Rambelli, ingegnere capo al Magistrato delle Acque. Passò infine al pittore Giuseppe Rambelli, allievo del Fattori, che vi risiedette fino agli anni ’50 e che la illustrò creandovi molte delle sue belle opere.
Torre a Villa Vezzano frazione di Brisighella Villa Vezzano è stata la culla della famosa famiglia Naldi. I Naldi, discesi in Italia con l'Imperatore Ottone III (996), furono nominati Signori di Vezzano, luogo fortificato fra Castelbolognese e Brisighella dove edificarono un Castello. La famiglia Naldi, poi trasferitasi a Brisighella, divenne famosa nei secoli XVI e XVII per la predisposizione all'arte della guerra, che manifestavano offrendosi ai vari Principi. Dell'antico Castello esistono oggi solo alcune tracce murarie; esso sorgeva su un pianoro a picco sul torrente Sintria. Degna di nota è la piccola Chiesetta di Villa Vezzano o San Giorgio in Vezzano, come è anche conosciuto il piccolo borgo, che risale al 1296. Presso Villa Vezzano è possibile ammirare i resti di una delle tante Torri erette nel secolo XV per scopi difensivi: la Torre del Marino.
Villa San Giorgio in Vezzano, Ravenna
Torre a Villa Vezzano frazione di Brisighella Villa Vezzano è stata la culla della famosa famiglia Naldi. I Naldi, discesi in Italia con l'Imperatore Ottone III (996), furono nominati Signori di Vezzano, luogo fortificato fra Castelbolognese e Brisighella dove edificarono un Castello. La famiglia Naldi, poi trasferitasi a Brisighella, divenne famosa nei secoli XVI e XVII per la predisposizione all'arte della guerra, che manifestavano offrendosi ai vari Principi. Dell'antico Castello esistono oggi solo alcune tracce murarie; esso sorgeva su un pianoro a picco sul torrente Sintria. Degna di nota è la piccola Chiesetta di Villa Vezzano o San Giorgio in Vezzano, come è anche conosciuto il piccolo borgo, che risale al 1296. Presso Villa Vezzano è possibile ammirare i resti di una delle tante Torri erette nel secolo XV per scopi difensivi: la Torre del Marino.
Torre Pratesi località Cavina Il toponimo Torre Cavina o Torre di Cavina lascia intendere che un tempo fossero state più di una le Torri innalzate in questa località dai vari membri della famiglia Cavina. La loro costruzione, comunque, risalirebbe agli anni a cavallo tra il 1400 e il 1500. Sull'unica oggi superstite è stata rinvenuta la data 1592 con la sigla C.A. (probabilmente Antonio Cavina). Il toponimo Cavina deriva da "Caba" cioè forra, fogna e si riferisce probabilmente al Torrente Sintria che qui scorre entro un alveo incassato e profondo.
Via Cavina
Via Cavina
Torre Pratesi località Cavina Il toponimo Torre Cavina o Torre di Cavina lascia intendere che un tempo fossero state più di una le Torri innalzate in questa località dai vari membri della famiglia Cavina. La loro costruzione, comunque, risalirebbe agli anni a cavallo tra il 1400 e il 1500. Sull'unica oggi superstite è stata rinvenuta la data 1592 con la sigla C.A. (probabilmente Antonio Cavina). Il toponimo Cavina deriva da "Caba" cioè forra, fogna e si riferisce probabilmente al Torrente Sintria che qui scorre entro un alveo incassato e profondo.

Borghi fortificati e torri della provincia di Rimini

Agello frazione di San Clemente Borgo fortificato La prima menzione della Tomba di Agello risale alla fine del XIV sec. anche se una prima quanto sommaria descrizione del complesso è degli inizi del Quattrocento. La fattoria fortificata, a pianta quadrangolare, era difesa da mura segnate, agli angoli, da torri quadrangolari e pentagonali. Un unico accesso, a Sud, munito di ponte levatoio che scavalcava il fossato, permetteva l’accesso alla corte del castello. I documenti attestano qui la presenza di modeste case, di un “torexinum”, una piccola torre, e di fosse da grano. Nel XVII sec., all’interno del borgo viene eretto il piccolo Oratorio dedicato a San Rocco poi trasformato in abitazione. Anche questo piccolo borgo fu danneggiato dai terremoti del 1786 e del 1816. Agli inizi del XX sec. venne autorizzata, dall’allora Soprintendenza ai Monumenti, la demolizione dell’arco di accesso alla fattoria fortificata mentre è della fine secolo il crollo della torre che segnava l’accesso all’abitato, ora ricostruita. Dell’antico borgo murato, ora oggetto di interventi di valorizzazione e restauro pubblici e privati, sopravvivono i ruderi di un torrione poligonale d’angolo a Sud e di una torre quadrata a Nord-Est mentre le restanti strutture fortificate sono state accorpate all’edilizia minore sorta a ridosso del complesso malatestiano.
Agello
Agello frazione di San Clemente Borgo fortificato La prima menzione della Tomba di Agello risale alla fine del XIV sec. anche se una prima quanto sommaria descrizione del complesso è degli inizi del Quattrocento. La fattoria fortificata, a pianta quadrangolare, era difesa da mura segnate, agli angoli, da torri quadrangolari e pentagonali. Un unico accesso, a Sud, munito di ponte levatoio che scavalcava il fossato, permetteva l’accesso alla corte del castello. I documenti attestano qui la presenza di modeste case, di un “torexinum”, una piccola torre, e di fosse da grano. Nel XVII sec., all’interno del borgo viene eretto il piccolo Oratorio dedicato a San Rocco poi trasformato in abitazione. Anche questo piccolo borgo fu danneggiato dai terremoti del 1786 e del 1816. Agli inizi del XX sec. venne autorizzata, dall’allora Soprintendenza ai Monumenti, la demolizione dell’arco di accesso alla fattoria fortificata mentre è della fine secolo il crollo della torre che segnava l’accesso all’abitato, ora ricostruita. Dell’antico borgo murato, ora oggetto di interventi di valorizzazione e restauro pubblici e privati, sopravvivono i ruderi di un torrione poligonale d’angolo a Sud e di una torre quadrata a Nord-Est mentre le restanti strutture fortificate sono state accorpate all’edilizia minore sorta a ridosso del complesso malatestiano.
Il Castello di Onferno è uno dei borghi fortificati più piccoli della Val Conca. Le origini di questo insediamento sono antiche: la Pieve di S. Colomba, è stata per la prima volta nominata in una bolla papale nel 1136. A partire dal 1231, quando la pieve apparteneva alla chiesa riminese, compare in documenti storici anche il Castrum Inferni, sorto sulla sommità del masso in pietra di gesso. Il castello passò in seguito ai Malatesta e venne conquistato e distrutto da Federico da Montefeltro. Oggi presso la pieve, posta 50 metri a valle del borgo, sorge il Centro Visite della Riserva Naturale Orientata di Onferno.
Castello di Onferno
Il Castello di Onferno è uno dei borghi fortificati più piccoli della Val Conca. Le origini di questo insediamento sono antiche: la Pieve di S. Colomba, è stata per la prima volta nominata in una bolla papale nel 1136. A partire dal 1231, quando la pieve apparteneva alla chiesa riminese, compare in documenti storici anche il Castrum Inferni, sorto sulla sommità del masso in pietra di gesso. Il castello passò in seguito ai Malatesta e venne conquistato e distrutto da Federico da Montefeltro. Oggi presso la pieve, posta 50 metri a valle del borgo, sorge il Centro Visite della Riserva Naturale Orientata di Onferno.
Albereto frazione di Montescudo L'antico nome «Castrum Albareti» deriva sicuramente dalla presenza di una folta foresta di querce, tigli, pioppi e pini che nell'antichità ricoprivano tutta l'area pedemontana. Probabilmente già urbanizzata ai tempi del dominio Romano, la località viene citata per la prima volta nel famoso diploma imperiale del 962 col quale l'imperatore Ottone avrebbe investito Ulderico di Carpegna di una serie di castelli, fra cui appunto anche Albereto. Le prime notizie certe risalgono al 1227 quando Albereto stipulò un patto federativo con i Malatesta. Le continue lotte fra le due famiglie dei Malatesta e dei Carpegna influenzarono anche la storia di Albereto, che passò di mano più volte fra le due famiglie, fino al 1336 anno che decretò la definitiva conquista del castello da parte di Pandolfo Malatesta. Da questa data a parte qualche piccola parentesi, saranno sempre i Malatesta a controllare il castello dotandolo circa a metà del XV secolo delle alte mura difensive ancora oggi visibili. Anche con la definitiva scomparsa della dinastia dei Malatesta con Pandolfo (1475 - 1534), Albereto rimase comunque legato alla città di Rimini almeno fino al 1700. Fu annessa con l'unità d'Italia nella provincia di Forlì distretto di Rimini. Anticamente il complesso era circondato da un fossato e vi si accedeva tramite ponte levatoio in legno, sul lato a ovest si affaccia la piazza del castello, ampio balcone panoramico rivolto verso San Marino. Il castello ha subito pesanti danni durante i due conflitti mondiali ed in particolare nel settembre del 1944 con la distruzione del complesso (chiesa e oratorio) di San Bernardino. È stato oggetto di un sommario restauro nel 1953, e di un più approfondito intervento di risanamento nel 2003. Le abitazioni del borgo sono di proprietà privata, in piccola parte abitate e un ampio fabbricato con accesso dal piazzale è sede di un ristorante tipico.
Albereto
Albereto frazione di Montescudo L'antico nome «Castrum Albareti» deriva sicuramente dalla presenza di una folta foresta di querce, tigli, pioppi e pini che nell'antichità ricoprivano tutta l'area pedemontana. Probabilmente già urbanizzata ai tempi del dominio Romano, la località viene citata per la prima volta nel famoso diploma imperiale del 962 col quale l'imperatore Ottone avrebbe investito Ulderico di Carpegna di una serie di castelli, fra cui appunto anche Albereto. Le prime notizie certe risalgono al 1227 quando Albereto stipulò un patto federativo con i Malatesta. Le continue lotte fra le due famiglie dei Malatesta e dei Carpegna influenzarono anche la storia di Albereto, che passò di mano più volte fra le due famiglie, fino al 1336 anno che decretò la definitiva conquista del castello da parte di Pandolfo Malatesta. Da questa data a parte qualche piccola parentesi, saranno sempre i Malatesta a controllare il castello dotandolo circa a metà del XV secolo delle alte mura difensive ancora oggi visibili. Anche con la definitiva scomparsa della dinastia dei Malatesta con Pandolfo (1475 - 1534), Albereto rimase comunque legato alla città di Rimini almeno fino al 1700. Fu annessa con l'unità d'Italia nella provincia di Forlì distretto di Rimini. Anticamente il complesso era circondato da un fossato e vi si accedeva tramite ponte levatoio in legno, sul lato a ovest si affaccia la piazza del castello, ampio balcone panoramico rivolto verso San Marino. Il castello ha subito pesanti danni durante i due conflitti mondiali ed in particolare nel settembre del 1944 con la distruzione del complesso (chiesa e oratorio) di San Bernardino. È stato oggetto di un sommario restauro nel 1953, e di un più approfondito intervento di risanamento nel 2003. Le abitazioni del borgo sono di proprietà privata, in piccola parte abitate e un ampio fabbricato con accesso dal piazzale è sede di un ristorante tipico.
Castelleale frazione di San Clemente Borgo fortificato Il borgo di Castelleale, ubicato a pochi chilometri dal castello di San Clemente, costituisce, assieme ad Agello, uno degli esempi di fattoria fortificata malatestiana (tumba) meglio conservati nel territorio riminese. Fondata nel 1388 dal vescovo riminese Leale Malatesta, figlio illegittimo di Pandoro Malatesta detto il Guastafamiglia, la fattoria sorge su una collinetta che le cronache del tempo descrivono provvista di “buoni campi e buone viti”. Agli inizi del Quattrocento il piccolo insediamento fortificato era difeso da un’alta cinta di mura merlate dominate da un’alta torre ed era circondato da un fossato. La fattoria risultava accessibile da Sud dove si trovavano due ponti levatoi con le relative porte, una carraia a sesto acuto ed una pedonale più piccola con arco trilobato, la postierla. Nel 1430 Castellelale apparteneva a Sigismondo Pandolfo Maltesta, signore di Rimini, che lo venderà a Girolamo Rodolotto, per poi passare nelle mani di Girolamo Bedellotto veneziano. Dopo i cannoneggiamenti dell’agosto del 1945 infatti, crolleranno la torre del castello, parte delle mura e la copertura della Parrocchiale. Attualmente il pittoresco insediamento conserva ancora le eleganti porte quattrocentesche, di recente restaurate, resti delle mura e la dimora del vescovo Leale su cui è ancora visibile una lapide dedicatoria quattrocentesca in pietra d’Istria.
Castelleale
Castelleale frazione di San Clemente Borgo fortificato Il borgo di Castelleale, ubicato a pochi chilometri dal castello di San Clemente, costituisce, assieme ad Agello, uno degli esempi di fattoria fortificata malatestiana (tumba) meglio conservati nel territorio riminese. Fondata nel 1388 dal vescovo riminese Leale Malatesta, figlio illegittimo di Pandoro Malatesta detto il Guastafamiglia, la fattoria sorge su una collinetta che le cronache del tempo descrivono provvista di “buoni campi e buone viti”. Agli inizi del Quattrocento il piccolo insediamento fortificato era difeso da un’alta cinta di mura merlate dominate da un’alta torre ed era circondato da un fossato. La fattoria risultava accessibile da Sud dove si trovavano due ponti levatoi con le relative porte, una carraia a sesto acuto ed una pedonale più piccola con arco trilobato, la postierla. Nel 1430 Castellelale apparteneva a Sigismondo Pandolfo Maltesta, signore di Rimini, che lo venderà a Girolamo Rodolotto, per poi passare nelle mani di Girolamo Bedellotto veneziano. Dopo i cannoneggiamenti dell’agosto del 1945 infatti, crolleranno la torre del castello, parte delle mura e la copertura della Parrocchiale. Attualmente il pittoresco insediamento conserva ancora le eleganti porte quattrocentesche, di recente restaurate, resti delle mura e la dimora del vescovo Leale su cui è ancora visibile una lapide dedicatoria quattrocentesca in pietra d’Istria.
Torre di Cagliostro San Leo È il monumento più appartato di San Leo, non per sua mole, massiccia e imponente, quanto per sua collocazione impervia ed una sorta d’innata alterigia che, ancor oggi, intimorisce ed allontana. È monumento però che connota e identifica la città, ne sconvolge il profilo, tutto rivolto al culmine-rocca, con una improvvisa, precisa, geometrica impennata. Il campanile-torre è edificio di grande bellezza, opera compiuta del romanico anzi, emblematico esempio di quello stile architettonico. Le sue murature esterne, principalmente d’arenaria ocra, sono costruite con perizia certosina, i conci sono connessi l’uno all’altro, in filari regolari, senza rivelare lo strato di malta che li incolla, così che il muro è un unico blocco compatto di pietra dalla base al culmine. Storicamente sappiamo ben poco della torre, che nell’impianto esterno è certamente contemporanea all’adiacente cattedrale del 1173. Certamente questa torre ha rivestito funzioni militari-difensive, rappresentando il più vicino rifugio per il vescovo ed i canonici della cattedrale in caso di pericolo. Essa è raffigurata in tutti i "ritratti" del masso leontino; nell’acquerello del 1626 di Francesco Mingucci vi si scorgono ben due ordini di finestroni arcuati ed un’altezza ben maggiore: come se la torre fosse munita di due soprastanti celle campanarie di cui non v’è traccia nell’originale.
Cagliostro Libero
7 SP22
Torre di Cagliostro San Leo È il monumento più appartato di San Leo, non per sua mole, massiccia e imponente, quanto per sua collocazione impervia ed una sorta d’innata alterigia che, ancor oggi, intimorisce ed allontana. È monumento però che connota e identifica la città, ne sconvolge il profilo, tutto rivolto al culmine-rocca, con una improvvisa, precisa, geometrica impennata. Il campanile-torre è edificio di grande bellezza, opera compiuta del romanico anzi, emblematico esempio di quello stile architettonico. Le sue murature esterne, principalmente d’arenaria ocra, sono costruite con perizia certosina, i conci sono connessi l’uno all’altro, in filari regolari, senza rivelare lo strato di malta che li incolla, così che il muro è un unico blocco compatto di pietra dalla base al culmine. Storicamente sappiamo ben poco della torre, che nell’impianto esterno è certamente contemporanea all’adiacente cattedrale del 1173. Certamente questa torre ha rivestito funzioni militari-difensive, rappresentando il più vicino rifugio per il vescovo ed i canonici della cattedrale in caso di pericolo. Essa è raffigurata in tutti i "ritratti" del masso leontino; nell’acquerello del 1626 di Francesco Mingucci vi si scorgono ben due ordini di finestroni arcuati ed un’altezza ben maggiore: come se la torre fosse munita di due soprastanti celle campanarie di cui non v’è traccia nell’originale.
Borgo fortificato di Cerreto frazione di Saludecio Antico borgo rurale fortificato, posto al centro di campagne scarsamente abitate, oggi borgo praticamente abbandonato, rinomato in tutta la valle del Conca in quanto anticamente era ritenuto il "paese degli sciocchi". Fino a pochi anni fa vi si svolgeva un importante carnevale, caratterizzato dall'abbruciamento del pagliaccio e da storielle che richiamavano gli aneddoti sui Cerretani. Fra le più simpatiche, quella che narra della spedizione a Rimini per acquistare l'intelligenza, a metà strada però sentendosi ormai stanchi i Cerretani fecero ritorno alle loro case dicendo che l'altra metà della strada l'avrebbero fatta all'indomani. Le poche case del borgo sono ormai quasi tutte disabitate, e nelle deserte viuzze del borgo, aleggia quella strana sensazione di un luogo dove anche il tempo, rimasto solo, si è fermato.
Cerreto di Saludecio
SP80
Borgo fortificato di Cerreto frazione di Saludecio Antico borgo rurale fortificato, posto al centro di campagne scarsamente abitate, oggi borgo praticamente abbandonato, rinomato in tutta la valle del Conca in quanto anticamente era ritenuto il "paese degli sciocchi". Fino a pochi anni fa vi si svolgeva un importante carnevale, caratterizzato dall'abbruciamento del pagliaccio e da storielle che richiamavano gli aneddoti sui Cerretani. Fra le più simpatiche, quella che narra della spedizione a Rimini per acquistare l'intelligenza, a metà strada però sentendosi ormai stanchi i Cerretani fecero ritorno alle loro case dicendo che l'altra metà della strada l'avrebbero fatta all'indomani. Le poche case del borgo sono ormai quasi tutte disabitate, e nelle deserte viuzze del borgo, aleggia quella strana sensazione di un luogo dove anche il tempo, rimasto solo, si è fermato.
Meleto Saludecio Il Castello di Meleto è un piccolo borgo fortificato distante alcuni chilometri da Saludecio, immerso fra gli olivi; si affaccia sulle vallate del Tavollo e del Foglia e da esso si può vedere uno splendido panorama con la riviera sullo sfondo; si potrebbe definire un vero e proprio “Balcone sull’Adriatico”. L’origine del luogo risale al VI sec. quando proliferarono tanti piccoli insediamenti, nati in seguito alla caduta dell’Impero Romano d’Occidente e soprattutto durante la guerra greco-gotica, per fortificare gli insediamenti di crinale. L’impianto tuttavia risale al periodo comunale, durante il quale il Castello fu conteso fra il Comune di Rimini e la S. Sede. Il censimento ordinato nel 1371 dal Cardinale Angelico, legato di Romagna, ci informa che il castello contava 25 “fumantes” ( unità tributaria) e che la sua Chiesa, intitolata a S. Maria, era soggetta alla Pieve di Saludecio. Il Castello, proprio per le sue peculiarità storiche ed architettoniche, si qualifica oggi come un caratteristico Borgo murato, il cui impianto urbanistico e la cinta muraria, pur privi della porta urbica demolita nell’immediato dopoguerra, conservano intatti i loro elementi originari. La via principale porta alla restaurata chiesa settecentesca, di proprietà comunale e recentemente restaurata. Fra le altre cose più significative vi sono da segnalare il Palazzo Priorale, con suggestive grotte ipogee, un concio d’ arenaria che reca la scritta “Die XII Maii 1563”, ed alcuni fabbricati che conservano gli originali portali in cotto a tutto sesto e le finestre con davanzale in mattoni modanati».
Meleto Castle
Meleto Saludecio Il Castello di Meleto è un piccolo borgo fortificato distante alcuni chilometri da Saludecio, immerso fra gli olivi; si affaccia sulle vallate del Tavollo e del Foglia e da esso si può vedere uno splendido panorama con la riviera sullo sfondo; si potrebbe definire un vero e proprio “Balcone sull’Adriatico”. L’origine del luogo risale al VI sec. quando proliferarono tanti piccoli insediamenti, nati in seguito alla caduta dell’Impero Romano d’Occidente e soprattutto durante la guerra greco-gotica, per fortificare gli insediamenti di crinale. L’impianto tuttavia risale al periodo comunale, durante il quale il Castello fu conteso fra il Comune di Rimini e la S. Sede. Il censimento ordinato nel 1371 dal Cardinale Angelico, legato di Romagna, ci informa che il castello contava 25 “fumantes” ( unità tributaria) e che la sua Chiesa, intitolata a S. Maria, era soggetta alla Pieve di Saludecio. Il Castello, proprio per le sue peculiarità storiche ed architettoniche, si qualifica oggi come un caratteristico Borgo murato, il cui impianto urbanistico e la cinta muraria, pur privi della porta urbica demolita nell’immediato dopoguerra, conservano intatti i loro elementi originari. La via principale porta alla restaurata chiesa settecentesca, di proprietà comunale e recentemente restaurata. Fra le altre cose più significative vi sono da segnalare il Palazzo Priorale, con suggestive grotte ipogee, un concio d’ arenaria che reca la scritta “Die XII Maii 1563”, ed alcuni fabbricati che conservano gli originali portali in cotto a tutto sesto e le finestre con davanzale in mattoni modanati».
Torre a Villa Carigi di Gattara frazione di Casteldelci Torre (mastio) di Gattara Torre del XI-XII secolo, è identificabile come mastio del castello, ristrutturata in varie epoche, la costruzione visibile dovrebbe risalire al Trecento, posizionata su di un impianto originario più antico come già detto precedentemente. La possente torre a base rettangolare testimonia la presenza di una antica fortificazione, essa poggia, con base scarpata, direttamente sulla roccia e si eleva sopra l’abitato. Attualmente la struttura è alta 10 m, poiché la parte sommitale fu abbattuta negli anni ’60, i lati 4.20 per 5.20, lasciano presumere uno sviluppo, originale, in altezza sui 18-20 m. ... La (casa) Torre di Villa Carigi sorge a mezza costa sopra l’omonimo paese, ubicato lungo la via che collegava il castello di Gattara al castello di Rofelle in Toscana. L’edificio a pianta quadrangolare presenta un lato di 4,70 metri e si sviluppa in verticale per circa 11/13 metri. La parte bassa, più antica, pare essere più larga rispetto alla parte alta, quest’ultima probabilmente molto rimaneggiata in epoca moderna. Nella parte bassa sono visibili uno scolatoio, forse una latrina, sul lato ovest e una monofora sul lato sud, entrambi questi rilievi sembrano appartenere alla prima fase di costruzione dell’edificio. La porta d’accesso si trova nel lato est in posizione rialzata. È ipotizzabile che si tratti di una costruzione del XII-XIII secolo, in loco sono state ritrovate ceramiche del XIV secolo. La casa torre sorta in posizione strategica, poiché difficile da vedere data l’ubicazione a mezzacosta, doveva essere in contatto con la torre di Gattara tramite collegamento attraverso le torri di Bascio e di Monticelli che sorgeva a mezza costa sul lato opposto del Marecchia.
Località Villa Carigi
Località Villa Carigi
Torre a Villa Carigi di Gattara frazione di Casteldelci Torre (mastio) di Gattara Torre del XI-XII secolo, è identificabile come mastio del castello, ristrutturata in varie epoche, la costruzione visibile dovrebbe risalire al Trecento, posizionata su di un impianto originario più antico come già detto precedentemente. La possente torre a base rettangolare testimonia la presenza di una antica fortificazione, essa poggia, con base scarpata, direttamente sulla roccia e si eleva sopra l’abitato. Attualmente la struttura è alta 10 m, poiché la parte sommitale fu abbattuta negli anni ’60, i lati 4.20 per 5.20, lasciano presumere uno sviluppo, originale, in altezza sui 18-20 m. ... La (casa) Torre di Villa Carigi sorge a mezza costa sopra l’omonimo paese, ubicato lungo la via che collegava il castello di Gattara al castello di Rofelle in Toscana. L’edificio a pianta quadrangolare presenta un lato di 4,70 metri e si sviluppa in verticale per circa 11/13 metri. La parte bassa, più antica, pare essere più larga rispetto alla parte alta, quest’ultima probabilmente molto rimaneggiata in epoca moderna. Nella parte bassa sono visibili uno scolatoio, forse una latrina, sul lato ovest e una monofora sul lato sud, entrambi questi rilievi sembrano appartenere alla prima fase di costruzione dell’edificio. La porta d’accesso si trova nel lato est in posizione rialzata. È ipotizzabile che si tratti di una costruzione del XII-XIII secolo, in loco sono state ritrovate ceramiche del XIV secolo. La casa torre sorta in posizione strategica, poiché difficile da vedere data l’ubicazione a mezzacosta, doveva essere in contatto con la torre di Gattara tramite collegamento attraverso le torri di Bascio e di Monticelli che sorgeva a mezza costa sul lato opposto del Marecchia.
Torre di Maciano frazione di Pennabilli La torre cilindrica priva di scarpa che si trova sulla collina che sovrasta l'abitato di Maciano è quanto rimane dell'antico apparato militare; nel 1410 il castello era amministrato direttamente dalla Chiesa; poi a seguito di una espansione malatestiana verso la Toscana il castello passò ai riminesi e poi, con l'avvento delle continue lotte ed ostilità tra i Malatesta ed i Montefeltro, fu Federico da Montefeltro in persona che nel 1458 mise a ferro e fuoco il castello; la popolazione gli resistette per otto giorni ma alla fine il castello fu raso al suolo. Oggi la torre, rimasta a testimoniare la presenza dell'edificio fortificato, manca della copertura ed è in parte lesionata» - «Torre cilindrica trecentesca sulla collina che sovrasta il centro abitato, risale al XIV secolo e domina i ruderi dell'antica rocca sorta e rimaneggiata fra il XII e XVI secolo. Non risultano notizie storiche del castello di Maciano prima della metà del XIV secolo. Alta 16,50 m è posta a 521 m s.l.m., ed è costruita con blocchi di pietra locale (alberese), posizionati senza seguire criteri regolari di progressione nella elevazione. Dal 2005 è tornata in mano pubblica ed è stata ristrutturata interamente, tanto da essere fruibile anche internamente castello».
Maciano
Torre di Maciano frazione di Pennabilli La torre cilindrica priva di scarpa che si trova sulla collina che sovrasta l'abitato di Maciano è quanto rimane dell'antico apparato militare; nel 1410 il castello era amministrato direttamente dalla Chiesa; poi a seguito di una espansione malatestiana verso la Toscana il castello passò ai riminesi e poi, con l'avvento delle continue lotte ed ostilità tra i Malatesta ed i Montefeltro, fu Federico da Montefeltro in persona che nel 1458 mise a ferro e fuoco il castello; la popolazione gli resistette per otto giorni ma alla fine il castello fu raso al suolo. Oggi la torre, rimasta a testimoniare la presenza dell'edificio fortificato, manca della copertura ed è in parte lesionata» - «Torre cilindrica trecentesca sulla collina che sovrasta il centro abitato, risale al XIV secolo e domina i ruderi dell'antica rocca sorta e rimaneggiata fra il XII e XVI secolo. Non risultano notizie storiche del castello di Maciano prima della metà del XIV secolo. Alta 16,50 m è posta a 521 m s.l.m., ed è costruita con blocchi di pietra locale (alberese), posizionati senza seguire criteri regolari di progressione nella elevazione. Dal 2005 è tornata in mano pubblica ed è stata ristrutturata interamente, tanto da essere fruibile anche internamente castello».
Torre Civica e borgo di Monte Colombo «Centro storico. Tutto l'abitato ha mantenuto una struttura medioevale ben riconoscibile: caratteristica la porta di ingresso con le sue forme malatestiane e degne di notale mura di cinta. Da visitare importante e suggestiva è la torre dell'orologio. L'insieme, come abbiamo già detto, ha una certa armonia e anche le varie trasformazioni e aggiunte avvenute nel corso di secoli non hanno compromesso un buon equilibrio urbanistico che ben restituisce le abitudini, gli usi e i costumi della vita di borgo. Torre civica di Monte Colombo (anno 1864). È stata costruita dal Comune quasi in concomitanza con la riedificazione del campanile della Chiesa di San Martino di Tours ad opera della Parrocchia. (Vedi Atti consigliari, in Matteo Del Monte, La Parrocchia di Monte Colombo. Descrizione e cronistoria). Venne innalzata sul basamento di una torre diruta della rocca».
Montescudo-Monte Colombo
Torre Civica e borgo di Monte Colombo «Centro storico. Tutto l'abitato ha mantenuto una struttura medioevale ben riconoscibile: caratteristica la porta di ingresso con le sue forme malatestiane e degne di notale mura di cinta. Da visitare importante e suggestiva è la torre dell'orologio. L'insieme, come abbiamo già detto, ha una certa armonia e anche le varie trasformazioni e aggiunte avvenute nel corso di secoli non hanno compromesso un buon equilibrio urbanistico che ben restituisce le abitudini, gli usi e i costumi della vita di borgo. Torre civica di Monte Colombo (anno 1864). È stata costruita dal Comune quasi in concomitanza con la riedificazione del campanile della Chiesa di San Martino di Tours ad opera della Parrocchia. (Vedi Atti consigliari, in Matteo Del Monte, La Parrocchia di Monte Colombo. Descrizione e cronistoria). Venne innalzata sul basamento di una torre diruta della rocca».
Borgo fortificato La nascita del castello è stata per anni fissata intorno alla metà del 1300, ma i recenti scavi archeologici (2006-2008) hanno ipotizzato che maestranze locali abbiano lavorato alla realizzazione di questo complesso già a partire dall'XI secolo. Di certo comunque la rocca di Montefiore è legata a doppio filo con i Malatesta, potente famiglia guelfa che ha dominato tutto il territorio riminese e pesarese nel Trecento e Quattrocento. Risale al 1322 un documento col quale Papa Giovanni XXII approva la cessione di Montefeltro a Malatesta soprannominato "Guastafamiglia" e al fratello Galeotto, nipoti di Mastin Vecchio, e fu proprio il Guastafamiglia che ne promuove il primo intervento atto a rinforzare la rocca e a trasformarla anche in palazzo residenziale, tanto che già nel 1347 il fabbricato risulta degno di ospitare Ludovico re d'Ungheria. Nel 1377 fra le sue mura nasce Galeotto Novello Malatesta, detto "Belfiore". Dopo di lui la proprietà passa al fratello Carlo e poi al nipote Galeotto, al quale succedono Pandolfo Malatesta e Malatesta Ungaro. È del periodo di questi ultimi regnanti l'ulteriore ampliamento ed abbellimento del manufatto, proseguito e completato poi da Sigismondo Pandolfo Malatesta, signore illuminato ed amante delle arti. L'audacia di Sigismondo e i dissapori venutosi a creare con lo stato della Chiesa, portarono ben presto al declino della famiglia dei Malatesta, scomunicati e attaccati dal loro irriducibile nemico, Federico da Montefeltro Duca di Urbino. Montefiore nel 1462 passò così sotto il dominio diretto dello Stato Pontificio, ed è di questo periodo la sostituzione degli stemmi Malatestiani posti sulla porta Curina con gli stemmi araldici del ponteficie Pio II, e la costruzione del "muro grosso". Nel periodo successivo governarono il paese i Guidi di Bagno, i Borgia (1500-1503) e i Veneziani (1504-1505). Il governo venne concesso in feudo dal 1514 al principe macedone Costantino Commeno, nel 1517 a Lorenzo di Piero de' Medici e dal 1524 ancora al Commeno che qui morì nel 1530. Subordinato alla provincia ecclesiastica di Romagna nel 1578, già nel 1600 per mancanza di manutenzione risultano documentati i primi crolli della rocca. Abbandonato e considerato ormai una cava di pietre, nel 1828 viene descritto senza tetti e pavimenti. Le strutture dell'attuale castello sono in massima parte oggetto di una ricostruzione effettuata nel secondo dopoguerra, restauri che hanno in gran parte distrutto o nascosto le antiche murature. Una campagna di scavi iniziata nel 2006 sta riportando alla luce dati e reperti relativi alle antiche strutture della rocca Malatestiana. Iniziamo la sua visita dai piedi dell'imponente fabbricato, struttura che è possibile aggirare completamente grazie ad un ampio camminamento terrazzato dal quale è possibile ammirare le torri quadrate del muro grosso e in posizione sottostante il "giardino", ampio spiazzo nel quale probabilmente in antichità si svolgevano i combattimenti.
28 personas del lugar lo recomiendan
Montefiore Conca
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Borgo fortificato La nascita del castello è stata per anni fissata intorno alla metà del 1300, ma i recenti scavi archeologici (2006-2008) hanno ipotizzato che maestranze locali abbiano lavorato alla realizzazione di questo complesso già a partire dall'XI secolo. Di certo comunque la rocca di Montefiore è legata a doppio filo con i Malatesta, potente famiglia guelfa che ha dominato tutto il territorio riminese e pesarese nel Trecento e Quattrocento. Risale al 1322 un documento col quale Papa Giovanni XXII approva la cessione di Montefeltro a Malatesta soprannominato "Guastafamiglia" e al fratello Galeotto, nipoti di Mastin Vecchio, e fu proprio il Guastafamiglia che ne promuove il primo intervento atto a rinforzare la rocca e a trasformarla anche in palazzo residenziale, tanto che già nel 1347 il fabbricato risulta degno di ospitare Ludovico re d'Ungheria. Nel 1377 fra le sue mura nasce Galeotto Novello Malatesta, detto "Belfiore". Dopo di lui la proprietà passa al fratello Carlo e poi al nipote Galeotto, al quale succedono Pandolfo Malatesta e Malatesta Ungaro. È del periodo di questi ultimi regnanti l'ulteriore ampliamento ed abbellimento del manufatto, proseguito e completato poi da Sigismondo Pandolfo Malatesta, signore illuminato ed amante delle arti. L'audacia di Sigismondo e i dissapori venutosi a creare con lo stato della Chiesa, portarono ben presto al declino della famiglia dei Malatesta, scomunicati e attaccati dal loro irriducibile nemico, Federico da Montefeltro Duca di Urbino. Montefiore nel 1462 passò così sotto il dominio diretto dello Stato Pontificio, ed è di questo periodo la sostituzione degli stemmi Malatestiani posti sulla porta Curina con gli stemmi araldici del ponteficie Pio II, e la costruzione del "muro grosso". Nel periodo successivo governarono il paese i Guidi di Bagno, i Borgia (1500-1503) e i Veneziani (1504-1505). Il governo venne concesso in feudo dal 1514 al principe macedone Costantino Commeno, nel 1517 a Lorenzo di Piero de' Medici e dal 1524 ancora al Commeno che qui morì nel 1530. Subordinato alla provincia ecclesiastica di Romagna nel 1578, già nel 1600 per mancanza di manutenzione risultano documentati i primi crolli della rocca. Abbandonato e considerato ormai una cava di pietre, nel 1828 viene descritto senza tetti e pavimenti. Le strutture dell'attuale castello sono in massima parte oggetto di una ricostruzione effettuata nel secondo dopoguerra, restauri che hanno in gran parte distrutto o nascosto le antiche murature. Una campagna di scavi iniziata nel 2006 sta riportando alla luce dati e reperti relativi alle antiche strutture della rocca Malatestiana. Iniziamo la sua visita dai piedi dell'imponente fabbricato, struttura che è possibile aggirare completamente grazie ad un ampio camminamento terrazzato dal quale è possibile ammirare le torri quadrate del muro grosso e in posizione sottostante il "giardino", ampio spiazzo nel quale probabilmente in antichità si svolgevano i combattimenti.
Torre Civica di Montescudo Siamo nella parte media della Valconca, ai confini della Signoria dei Malatesta verso la Repubblica di S. Marino e verso il Montefeltro. Siamo su un crinale che divide la piana riminese dalla via che conduce verso i primi monti dell’Appennino, dominati in questa zona dal Monte Carpegna.Montescudo è stato dunque punto assolutamente strategico per il controllo del territorio, ed oggi è punto strategico per conoscere le parti più interne della Signoria, quelle forse più nascoste. ... Una citazione di Montescutulum la troviamo nel diploma di Ottone I ai Carpegna, i più potenti e antichi signori delle terre alte della Valconca. Siamo nel 962, all’alba di quel Medioevo che vedrà solo più tardi la nascita e affermazione anche in questi luoghi del potere malatestiano. I Malatesta attribuirono al luogo una fondamentale funzione nel loro sistema di difesa, essendo questi luoghi in continua contesa con il confinante Montefeltro che aveva costellato tutte le colline vicine di torri e fortezze potenti, come quella di Sassofeltrio distante solo pochi chilometri da Montescudo. Sigismondo Pandolfo volle edificare qui nel 1460 una robusta rocca a scudo della città di Rimini, come afferma una lapide posta sul bastione meridionale. Di quest’epoca si è trovata una straordinaria testimonianza: durante i lavori di restauro delle mura di cinta è stata rinvenuta un’anfora contenente 22 medaglie che rappresentano il Tempio Malatestiano di Rimini e Sigismondo Pandolfo. Torre Civica. Sec. XIII. Una bella torre che pur rimaneggiata mantiene sostanzialmente la sua struttura trecentesca. Ghiacciaia. Un raro esempio di ghiacciaia di epoca malatestiana: si trova sul fianco del piazzale principale. Molto interessante la sua tecnica costruttiva. Mura di cinta. Si tratta dei resti delle forti mura erette da Sigismondo. Con la loro altezza e inclinazione dovevano rendere imprendibile il castello».
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Montescudo
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Torre Civica di Montescudo Siamo nella parte media della Valconca, ai confini della Signoria dei Malatesta verso la Repubblica di S. Marino e verso il Montefeltro. Siamo su un crinale che divide la piana riminese dalla via che conduce verso i primi monti dell’Appennino, dominati in questa zona dal Monte Carpegna.Montescudo è stato dunque punto assolutamente strategico per il controllo del territorio, ed oggi è punto strategico per conoscere le parti più interne della Signoria, quelle forse più nascoste. ... Una citazione di Montescutulum la troviamo nel diploma di Ottone I ai Carpegna, i più potenti e antichi signori delle terre alte della Valconca. Siamo nel 962, all’alba di quel Medioevo che vedrà solo più tardi la nascita e affermazione anche in questi luoghi del potere malatestiano. I Malatesta attribuirono al luogo una fondamentale funzione nel loro sistema di difesa, essendo questi luoghi in continua contesa con il confinante Montefeltro che aveva costellato tutte le colline vicine di torri e fortezze potenti, come quella di Sassofeltrio distante solo pochi chilometri da Montescudo. Sigismondo Pandolfo volle edificare qui nel 1460 una robusta rocca a scudo della città di Rimini, come afferma una lapide posta sul bastione meridionale. Di quest’epoca si è trovata una straordinaria testimonianza: durante i lavori di restauro delle mura di cinta è stata rinvenuta un’anfora contenente 22 medaglie che rappresentano il Tempio Malatestiano di Rimini e Sigismondo Pandolfo. Torre Civica. Sec. XIII. Una bella torre che pur rimaneggiata mantiene sostanzialmente la sua struttura trecentesca. Ghiacciaia. Un raro esempio di ghiacciaia di epoca malatestiana: si trova sul fianco del piazzale principale. Molto interessante la sua tecnica costruttiva. Mura di cinta. Si tratta dei resti delle forti mura erette da Sigismondo. Con la loro altezza e inclinazione dovevano rendere imprendibile il castello».
Torre campanaria e torre del Monte a Casteldelci La Torre Campanaria. Situata nel centro storico del paese, risale al 1100 ed è la più alta delle torri civiche del comune. Originariamente dotata di funzione difensiva, in seguito divenne un campanile Torre del Monte La torre, databile al XIII sec, si trova a mezza costa, a sud dell’agglomerato rurale di Monte, piccola frazione del comune di Casteldelci. Questa torre è considerata una delle più atipiche del Montefeltro; non è ubicata all’apice di un rilievo, al contrario di altri analoghi punti di avvistamento è nascosta e mimetizzata nel paesaggio. Più volte rimaneggiata nel corso dei secoli presenta una copertura conica, con tetto di lastre. In documenti del XII sec. è citato come Casale d´Ilice e, prima di passare ai Della Faggiola, fu sotto il dominio temporale dei vescovi del Montefeltro. I Della Faggiola esercitarono il loro potere sin verso il 1400: nel castello che porta il loro nome nacque il celebre condottiero Uguccione, in cui alcuni identificarono il "veltro" dantesco. Fu poi di Nicolò dei Perfetti e quindi entrò a far parie dello Stato Urbinate seguendone le sorti. Prindpali attrattive artistico-culturali: la chiesa gotica di S. Nicolò, il Ponte Vecchio sul torrente Senatello, la Torre di Monte e la torre campanaria (ultima delle quattro che munivano il castello), e gli affreschi di scuola riminese nella chiesa di S. Maria di Sasseto.
Torre Campanaria
Torre campanaria e torre del Monte a Casteldelci La Torre Campanaria. Situata nel centro storico del paese, risale al 1100 ed è la più alta delle torri civiche del comune. Originariamente dotata di funzione difensiva, in seguito divenne un campanile Torre del Monte La torre, databile al XIII sec, si trova a mezza costa, a sud dell’agglomerato rurale di Monte, piccola frazione del comune di Casteldelci. Questa torre è considerata una delle più atipiche del Montefeltro; non è ubicata all’apice di un rilievo, al contrario di altri analoghi punti di avvistamento è nascosta e mimetizzata nel paesaggio. Più volte rimaneggiata nel corso dei secoli presenta una copertura conica, con tetto di lastre. In documenti del XII sec. è citato come Casale d´Ilice e, prima di passare ai Della Faggiola, fu sotto il dominio temporale dei vescovi del Montefeltro. I Della Faggiola esercitarono il loro potere sin verso il 1400: nel castello che porta il loro nome nacque il celebre condottiero Uguccione, in cui alcuni identificarono il "veltro" dantesco. Fu poi di Nicolò dei Perfetti e quindi entrò a far parie dello Stato Urbinate seguendone le sorti. Prindpali attrattive artistico-culturali: la chiesa gotica di S. Nicolò, il Ponte Vecchio sul torrente Senatello, la Torre di Monte e la torre campanaria (ultima delle quattro che munivano il castello), e gli affreschi di scuola riminese nella chiesa di S. Maria di Sasseto.
Torre Cilindrica di Saiano frazione di Poggio Torriana
Via Saiano
Via Saiano
Torre Cilindrica di Saiano frazione di Poggio Torriana
Bascio frazione di Pennabilli Bascio del XIII secolo. La torre, che si erge a 700 m s.l.m. all´apice di un borgo medievale, domina la valle del torrente Torbello; è stata restaurata nel 1958. Essa risale ai primi del Duecento. A Bascio nacque il famoso Matteo di Bascio, fondatore dei Capuccini e da quassù, impazzendo di solitudine, la nobilissima principessa francese Fanina Condè, imparentata coi Borboni, gridò al vento: "Paris, Paris, aiuto!" Attualmente ai piedi della torre è possibile osservare i "giardini pietrificati", opera del poeta-sceneggiatore Tonino Guerra. Proprietà: comunale, pianta: quadrata di lato 5,30, sviluppo: parallelepipedo, altezza: 21 m. L´interno non è attualmente fruibile. Particolarmente consigliata ad escursionisti poiché sito estremamente suggestivo» - «Del castrum Bascii o Biscii, in origine di pertinenza degli Olivi di Pignano, si ha notizia sin dal 1145, citato fra le terre confermate da papa Eugenio III al monastero Camaldolese di San Salvatore di Monte Acuto. Verso la metà del XIII secolo a seguito della divisione interna dei beni operata dalla famiglia dei Carpegna, risulta di proprietà del ramo dei conti di Gattara discendenti di Rainaldo di Carpegna. Con l'estinzione dei Carpegna di Gattara avvenuta nel 1409 il castello assieme a quelli di Gattara e Miratoio passa a Galeazzo Malatesta signore di Pesaro. Riacquistato dai conti di Carpegna nel 1420 e successivamente a seguito di una ulteriore divisione dei beni avvenuta nel 1463 risulta in proprietà a Francesco di Carpegna. Eretto in principato nel 1685 dall'imperatore Leopoldo I, rimase autonomo fino al 1819 anno dell'annessione allo stato Pontificio. La torre, di proprietà comunale, è stata restaurata nel 1958.
Torre di Bascio
Bascio frazione di Pennabilli Bascio del XIII secolo. La torre, che si erge a 700 m s.l.m. all´apice di un borgo medievale, domina la valle del torrente Torbello; è stata restaurata nel 1958. Essa risale ai primi del Duecento. A Bascio nacque il famoso Matteo di Bascio, fondatore dei Capuccini e da quassù, impazzendo di solitudine, la nobilissima principessa francese Fanina Condè, imparentata coi Borboni, gridò al vento: "Paris, Paris, aiuto!" Attualmente ai piedi della torre è possibile osservare i "giardini pietrificati", opera del poeta-sceneggiatore Tonino Guerra. Proprietà: comunale, pianta: quadrata di lato 5,30, sviluppo: parallelepipedo, altezza: 21 m. L´interno non è attualmente fruibile. Particolarmente consigliata ad escursionisti poiché sito estremamente suggestivo» - «Del castrum Bascii o Biscii, in origine di pertinenza degli Olivi di Pignano, si ha notizia sin dal 1145, citato fra le terre confermate da papa Eugenio III al monastero Camaldolese di San Salvatore di Monte Acuto. Verso la metà del XIII secolo a seguito della divisione interna dei beni operata dalla famiglia dei Carpegna, risulta di proprietà del ramo dei conti di Gattara discendenti di Rainaldo di Carpegna. Con l'estinzione dei Carpegna di Gattara avvenuta nel 1409 il castello assieme a quelli di Gattara e Miratoio passa a Galeazzo Malatesta signore di Pesaro. Riacquistato dai conti di Carpegna nel 1420 e successivamente a seguito di una ulteriore divisione dei beni avvenuta nel 1463 risulta in proprietà a Francesco di Carpegna. Eretto in principato nel 1685 dall'imperatore Leopoldo I, rimase autonomo fino al 1819 anno dell'annessione allo stato Pontificio. La torre, di proprietà comunale, è stata restaurata nel 1958.
Dopo le invasioni e le ruberie dei pirati turchi negli ultimi anni del XVI secolo, lo Stato Pontificio decise di costruire un serie di torri, lungo la marina, dal Tavollo fino a Bellaria, per difendere gli abitanti della costa. All'interno di esse, a quell'epoca altissime sulle dune e sulla spiaggia, si trovava una guarnigione di cinque soldati e un comandante, munita di "archibugi, spingarde, polveri e micce". Al suono della campana, in caso di pericolo, gli abitanti potevano "rifugiarvisi" dentro e organizzarsi per la difesa. Unica rimasta pressocché immutata delle sei torri tuttora presenti, la torre di Bellaria era collocata all'epoca in prossimità della spiaggia (attualmente in posizione più avanzata) e con un ampio raggio di visuale, ospitava un piccolo gruppo di soldati ben armati con il compito di perlustrare il territorio di propria competenza e di dare l'allarme in caso di pericolo con il suono di una campana. Venuta meno l'esigenza militare, fu utilizzata in seguito come punto di vedetta contro il traffico di contrabbando e per accogliere in quarantena i marinai in sospetto di contagio di malattie trasmissibili. Più recentemente è stata utilizzata anche come caserma della Guardia di Finanza. È composta da tre piani accessibili con una scala a chiocciola interna. Attualmente ospita nei piani superiori un un museo micologico con una ricchissima collezione di conchiglie e resti fossili di molluschi, invertebrati marini, crostacei, testimonianze di animali marini e scheletri provenienti da tutto il mondo e appartenuti ad ogni era geologica, ed è inoltre mostra di carta moneta.
Torre Saracena
75 Via Torre
Dopo le invasioni e le ruberie dei pirati turchi negli ultimi anni del XVI secolo, lo Stato Pontificio decise di costruire un serie di torri, lungo la marina, dal Tavollo fino a Bellaria, per difendere gli abitanti della costa. All'interno di esse, a quell'epoca altissime sulle dune e sulla spiaggia, si trovava una guarnigione di cinque soldati e un comandante, munita di "archibugi, spingarde, polveri e micce". Al suono della campana, in caso di pericolo, gli abitanti potevano "rifugiarvisi" dentro e organizzarsi per la difesa. Unica rimasta pressocché immutata delle sei torri tuttora presenti, la torre di Bellaria era collocata all'epoca in prossimità della spiaggia (attualmente in posizione più avanzata) e con un ampio raggio di visuale, ospitava un piccolo gruppo di soldati ben armati con il compito di perlustrare il territorio di propria competenza e di dare l'allarme in caso di pericolo con il suono di una campana. Venuta meno l'esigenza militare, fu utilizzata in seguito come punto di vedetta contro il traffico di contrabbando e per accogliere in quarantena i marinai in sospetto di contagio di malattie trasmissibili. Più recentemente è stata utilizzata anche come caserma della Guardia di Finanza. È composta da tre piani accessibili con una scala a chiocciola interna. Attualmente ospita nei piani superiori un un museo micologico con una ricchissima collezione di conchiglie e resti fossili di molluschi, invertebrati marini, crostacei, testimonianze di animali marini e scheletri provenienti da tutto il mondo e appartenuti ad ogni era geologica, ed è inoltre mostra di carta moneta.
Morciano di Romagna Qui si nomina un "fundus Morciani" che significa un appezzamento di terra chiamato Morciano appartenente forse a qualche proprietario riminese. Era sicuramente abitato (da chi sull'appezzamento lavorava), ma non aveva alcuna esistenza politica o civile. In seguito Morciano diventa un "castrum" come ci attesta l'atto, datato 1014,con cui il feudatario riminese Bennone di Vitaliano cede al figlio Pietro il "castrum integrum quod vocatur Morcianum cum Capella ibi fundata cui vocabulus est S. Johannes": c'è stata quindi una crescita quantitativa e qualitativa dal precedente "fundus", in cui la comunità morcianese ha definito un proprio territorio e si è data una struttura civile e religiosa. Certamente qui per "castrum" s'intende un castello rurale, cioè un insieme di edifici posti a difesa del borgo abitato e centro di raccolta dei prodotti del suo territorio. Molto probabilmente, con il costruirsi di un borgo e di un sistema difensivo, Morciano sviluppa anche un attività commerciale e mercantile: la sua posizione centrale e facilmente raggiungibile dai maggiori centri della Valconca favorì la nascita sulle sue terre di importanti mercati e fiere di bestiame e di prodotti agricoli che ancor oggi si tengono con grande concorso di pubblico. Il mercato si teneva ogni giovedì e nel primo martedì di ogni mese e in tutti quelli di settembre si teneva anche la fiera. Nel 1061 san Pier Damiani, della congregazione di Fonte Avellana, fonda, a 2 km circa dal centro di Morciano, sulla riva destra del Conca l'Abbazia dedicata a San Gregorio, la quale diviene ben presto punto di riferimento della vita religiosa ed economica della bassa Valconca. Morciano perde progressivamente importanza e la sua popolazione si trasferisce sulle circostanti colline o va alle dipendenze del monastero di San Gregorio. Nel 1069 Pietro di Benno, con il consenso di Erigunda sua moglie, fa donazione al monastero di una cospicua quantità di beni fra cui il castello di Morciano e li castello di Mondaino. Da questo momento Morciano è alle dipendenze dell'Abbazia di San Gregorio e qui viene trasferita parte dei mercati che si svolgevano nel suo borgo. L'Abbazia, con la sua struttura e il suo prestigio, diviene il luogo più sicuro ove effettuare scambi commerciali. È qui che nasce e si sviluppa la tradizionale fiera di San Gregorio che ancor oggi si tiene nella seconda settimana di marzo. Dell'antico borgo di Morciano e della chiesa dedicata a San Giovanni oggi quasi nulla è rimasto. Forse l'insieme di edifici che viene chiamato la "castlacia" rappresenta l'estremo lembo di quell'antico Morciano che quindi doveva svilupparsi a ovest dell'attuale paese; mentre per quanto riguarda la cappella di San Giovanni fino a cinquant'anni fa era conservato lungo il fiume in zona "greppa" un grosso masso, detto in dialetto "e sasson", che molto probabilmente era un brandello di muro dell'antica chiesa e sul quale era stata posta un' imponente croce. Il primo Morciano era ancora esistente nel 1202, anno in cui il vescovo di Rimini entra in possesso della sua chiesa. Questa è l'ultima notizia riguardante l'esistenza di Morciano, dopodiché si ha un vuoto storico che si prolunga fino al sec. XVII quando, cioè, un nuovo borgo, l'attuale parte vecchia del paese, aveva già preso a svilupparsi. La scomparsa del "Castrum Morciani" probabilmente avvenne nella seconda metà del sec. XIII e fu causata dalle impetuose piene del fiume Conca che spazzarono via letteralmente ogni traccia di quel paese già in decadenza e in parte abbandonato. Ma se Morciano aveva ormai perduto ogni rilevanza politica, continuava però ad essere interessante dal punto di vista commerciale, tant'è che il suo territorio continuò ad essere conteso tra le più potenti comunità delle colline della Valconca. ...
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Morciano di Romagna
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Morciano di Romagna Qui si nomina un "fundus Morciani" che significa un appezzamento di terra chiamato Morciano appartenente forse a qualche proprietario riminese. Era sicuramente abitato (da chi sull'appezzamento lavorava), ma non aveva alcuna esistenza politica o civile. In seguito Morciano diventa un "castrum" come ci attesta l'atto, datato 1014,con cui il feudatario riminese Bennone di Vitaliano cede al figlio Pietro il "castrum integrum quod vocatur Morcianum cum Capella ibi fundata cui vocabulus est S. Johannes": c'è stata quindi una crescita quantitativa e qualitativa dal precedente "fundus", in cui la comunità morcianese ha definito un proprio territorio e si è data una struttura civile e religiosa. Certamente qui per "castrum" s'intende un castello rurale, cioè un insieme di edifici posti a difesa del borgo abitato e centro di raccolta dei prodotti del suo territorio. Molto probabilmente, con il costruirsi di un borgo e di un sistema difensivo, Morciano sviluppa anche un attività commerciale e mercantile: la sua posizione centrale e facilmente raggiungibile dai maggiori centri della Valconca favorì la nascita sulle sue terre di importanti mercati e fiere di bestiame e di prodotti agricoli che ancor oggi si tengono con grande concorso di pubblico. Il mercato si teneva ogni giovedì e nel primo martedì di ogni mese e in tutti quelli di settembre si teneva anche la fiera. Nel 1061 san Pier Damiani, della congregazione di Fonte Avellana, fonda, a 2 km circa dal centro di Morciano, sulla riva destra del Conca l'Abbazia dedicata a San Gregorio, la quale diviene ben presto punto di riferimento della vita religiosa ed economica della bassa Valconca. Morciano perde progressivamente importanza e la sua popolazione si trasferisce sulle circostanti colline o va alle dipendenze del monastero di San Gregorio. Nel 1069 Pietro di Benno, con il consenso di Erigunda sua moglie, fa donazione al monastero di una cospicua quantità di beni fra cui il castello di Morciano e li castello di Mondaino. Da questo momento Morciano è alle dipendenze dell'Abbazia di San Gregorio e qui viene trasferita parte dei mercati che si svolgevano nel suo borgo. L'Abbazia, con la sua struttura e il suo prestigio, diviene il luogo più sicuro ove effettuare scambi commerciali. È qui che nasce e si sviluppa la tradizionale fiera di San Gregorio che ancor oggi si tiene nella seconda settimana di marzo. Dell'antico borgo di Morciano e della chiesa dedicata a San Giovanni oggi quasi nulla è rimasto. Forse l'insieme di edifici che viene chiamato la "castlacia" rappresenta l'estremo lembo di quell'antico Morciano che quindi doveva svilupparsi a ovest dell'attuale paese; mentre per quanto riguarda la cappella di San Giovanni fino a cinquant'anni fa era conservato lungo il fiume in zona "greppa" un grosso masso, detto in dialetto "e sasson", che molto probabilmente era un brandello di muro dell'antica chiesa e sul quale era stata posta un' imponente croce. Il primo Morciano era ancora esistente nel 1202, anno in cui il vescovo di Rimini entra in possesso della sua chiesa. Questa è l'ultima notizia riguardante l'esistenza di Morciano, dopodiché si ha un vuoto storico che si prolunga fino al sec. XVII quando, cioè, un nuovo borgo, l'attuale parte vecchia del paese, aveva già preso a svilupparsi. La scomparsa del "Castrum Morciani" probabilmente avvenne nella seconda metà del sec. XIII e fu causata dalle impetuose piene del fiume Conca che spazzarono via letteralmente ogni traccia di quel paese già in decadenza e in parte abbandonato. Ma se Morciano aveva ormai perduto ogni rilevanza politica, continuava però ad essere interessante dal punto di vista commerciale, tant'è che il suo territorio continuò ad essere conteso tra le più potenti comunità delle colline della Valconca. ...
Borgo fortificato. La cosiddetta via di mezzo, su cui si affacciano mirabili edifici settecenteschi e ottocenteschi, è anche asse di simmetria per le strade secondarie che si svolgono menzionate come contrada di sotto (lato mare) e contrada di sopra (lato monte). Vicoli e androni articolano e completano l’assetto urbano con una fitta trama di percorsi e collegamenti. L’impianto urbanistico di fondazione che risale al Duecento, fu ristrutturato e fortificato in epoca malatestiana (1438 – 1442). Tutto il borgo costellato di fosse ipogee destinate alla conservazione del grano ben evidenziate nel corso di una recente opera di recupero e, in parte, rese visibili anche al loro interno. Tali fosse valsero nei secoli, a San Giovanni in Marignano, l’appellativo di Granaio dei Malatesta, ad indicare una produzione agricola di notevole quantità e qualità. Torre Civica. Le due torri portaie del castello risalgono al periodo 1438 – 1442 durante il quale Sigismondo Pandolfo dè Malatesti fortificò l’antico insediamento duecentesco. Una di esse (quella a nord) fu abbattuta nel 1854, l’altra è integra e, sapientemente restaurata, svetta sulla piazza principale con i suoi 24 metri di altezza. Nel corso dei secoli è stata sopraelevata per alloggiare il vano dell’orologio pubblico e la cella campanaria, come visibile dal cambio di colore della muratura. Al di sotto della sopraelevatura segni di beccatelli allungati denunciano la quota di terminazione medievale e sono ancora visibili i due fori laterali che consentivano il passaggio delle catene del ponte levatoio a sollevamento diretto ed infine l’arco di ingresso a sesto acuto».
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San Giovanni in Marignano
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Borgo fortificato. La cosiddetta via di mezzo, su cui si affacciano mirabili edifici settecenteschi e ottocenteschi, è anche asse di simmetria per le strade secondarie che si svolgono menzionate come contrada di sotto (lato mare) e contrada di sopra (lato monte). Vicoli e androni articolano e completano l’assetto urbano con una fitta trama di percorsi e collegamenti. L’impianto urbanistico di fondazione che risale al Duecento, fu ristrutturato e fortificato in epoca malatestiana (1438 – 1442). Tutto il borgo costellato di fosse ipogee destinate alla conservazione del grano ben evidenziate nel corso di una recente opera di recupero e, in parte, rese visibili anche al loro interno. Tali fosse valsero nei secoli, a San Giovanni in Marignano, l’appellativo di Granaio dei Malatesta, ad indicare una produzione agricola di notevole quantità e qualità. Torre Civica. Le due torri portaie del castello risalgono al periodo 1438 – 1442 durante il quale Sigismondo Pandolfo dè Malatesti fortificò l’antico insediamento duecentesco. Una di esse (quella a nord) fu abbattuta nel 1854, l’altra è integra e, sapientemente restaurata, svetta sulla piazza principale con i suoi 24 metri di altezza. Nel corso dei secoli è stata sopraelevata per alloggiare il vano dell’orologio pubblico e la cella campanaria, come visibile dal cambio di colore della muratura. Al di sotto della sopraelevatura segni di beccatelli allungati denunciano la quota di terminazione medievale e sono ancora visibili i due fori laterali che consentivano il passaggio delle catene del ponte levatoio a sollevamento diretto ed infine l’arco di ingresso a sesto acuto».

Castelli e Rocche provincia di Forlì

Calbano frazione di Sarsina Nonostante l’impietoso logorio dei secoli e le recenti deturpazioni degli uomini, il borgo di Calbano – chiuso a fortezza nel medioevo – sa offrire al visitatore immagini e sensazioni di tempi lontani. In cima al colle, che invita all’espansione edilizia la Sarsina moderna, Calbano fu certamente per i Romani – come probabilmente lo era stato prima per gli Umbri – un’arce di sicura difesa. Lo attestano i blocchi di arenaria e i numerosi mattoni d’età romana, rosseggianti fra le grigie pietre della cinta muraria medioevale, ancora visibile in molti tratti. Nel 1267 il vescovo Grazia vi tenne i "comizi generali" per deliberare sui diritti d’investitura e sui canoni enfiteutici. La Chiesa sarsinate, per concessione dell’imperatore Federico II, era venuta in possesso del castrum Calbane (antico dominio del vescovo di Ravenna) sin dal 1220, consegnandolo solo, ma per breve tempo, nel 1406 ai bellicosi Malatesta di Cesena. Nel 1371 l’Anglico vi censì 12 "fuochi" e, più o meno, vi dimoravano le stesse famiglie nel 1733 allorché il novello vescovo Vendemini, proveniente da Ciola, sostò presso la residenza turrita del governatore Zambini. Ora la muraglia rimasta del "maschio" continua a spiare Sarsina e gli escursionisti che risalgono la collina. Ma la secentesca chiesa di Sant’Antonio, che s’addossa sul fianco, ne attenua l’ardore guerresco. Vigilano, a nord-ovest, l’ingresso alla rocca due torri circolari che, mozzate ed avvilite ad usi diversi, si presentano tronco-coniche in basso e cilindriche in alto. Dentro, le basse abitazioni s’allineano nel perimetro antico e si guardano dai gradini di pietra»
Calbano
48 SP128
Calbano frazione di Sarsina Nonostante l’impietoso logorio dei secoli e le recenti deturpazioni degli uomini, il borgo di Calbano – chiuso a fortezza nel medioevo – sa offrire al visitatore immagini e sensazioni di tempi lontani. In cima al colle, che invita all’espansione edilizia la Sarsina moderna, Calbano fu certamente per i Romani – come probabilmente lo era stato prima per gli Umbri – un’arce di sicura difesa. Lo attestano i blocchi di arenaria e i numerosi mattoni d’età romana, rosseggianti fra le grigie pietre della cinta muraria medioevale, ancora visibile in molti tratti. Nel 1267 il vescovo Grazia vi tenne i "comizi generali" per deliberare sui diritti d’investitura e sui canoni enfiteutici. La Chiesa sarsinate, per concessione dell’imperatore Federico II, era venuta in possesso del castrum Calbane (antico dominio del vescovo di Ravenna) sin dal 1220, consegnandolo solo, ma per breve tempo, nel 1406 ai bellicosi Malatesta di Cesena. Nel 1371 l’Anglico vi censì 12 "fuochi" e, più o meno, vi dimoravano le stesse famiglie nel 1733 allorché il novello vescovo Vendemini, proveniente da Ciola, sostò presso la residenza turrita del governatore Zambini. Ora la muraglia rimasta del "maschio" continua a spiare Sarsina e gli escursionisti che risalgono la collina. Ma la secentesca chiesa di Sant’Antonio, che s’addossa sul fianco, ne attenua l’ardore guerresco. Vigilano, a nord-ovest, l’ingresso alla rocca due torri circolari che, mozzate ed avvilite ad usi diversi, si presentano tronco-coniche in basso e cilindriche in alto. Dentro, le basse abitazioni s’allineano nel perimetro antico e si guardano dai gradini di pietra»
San Martino in Appozzo frazione di Sarsina Forse non a tutti è nota l’esistenza e conosciuta la storia del Castello di Casalecchio, unico castello nella Valle del Savio, ubicato in parrocchia di San Martino in Appozzo, nel Comune di Sarsina, a 403 metri s.l.m. Per arrivare al castello da Sarsina si va in direzione Bagno di Romagna. Dopo circa 1,5 km si prende il bivio a sinistra in direzione San Martino-Monteriolo-Tavolicci, si percorrono 2,5 km e si arriva al bivio per il castello, contrassegnato dal cartello “Casalecchio”. Le prime notizie certe si hanno nel 1179, quando apparteneva al vescovo di Sarsina. Recenti studi collocano la costruzione dell’elegante edificio nel corso dello stesso dodicesimo secolo. Nel 1327 fu dato in feudo a Riccardo Rigoni di Monteriolo, ma ritornò alla Chiesa di Sarsina nel 1350, alla sua morte. Nel 1371 apparteneva al giovane Antonio Succi e c’erano “8 fuochi”, vi abitavano cioè 8 famiglie. Nel 1373 ritornò al Vescovo che lo consegnò definitivamente ai conti Bernardini di Rimini nel 1420. L’ultima contessa, Antonia Bernardini, morì nel suo castello “per morbo apoplettico” il 19/08/1800, all’età di 72 anni, come leggiamo nel “Libro dei morti” della parrocchia di San Martino in Appozzo. L’attuale proprietario, Angelo Marini di Sarsina, racconta: “I nostri antenati provenivano da Quarto, dove nel 1812 ci fu la rovinosa frana che distrusse tutta la frazione. I quattro fratelli si divisero: uno rimase a Quarto, uno si trasferì Sarsina, uno a Tomba mentre Annibale Marini acquistò il castello di Casalecchio, passato poi di padre in figlio fino a noi. ...”. Ciò che colpisce subito il visitatore è certamente la maestosità del palazzo, chiamato dalla gente “il palazzo dalle 100 finestre” anche se sono un po’ meno, l’ampiezza del cortile, con la cappella dedicata a San Nicola e il grande pozzo, che fanno percepire un’atmosfera austera e quasi claustrale. La campana, posta nel campaniletto a vela, venne fusa dalla ditta Balestra di Longiano nel 1826 ed è firmata da Annibale Marini. L’ingresso della Cappella è affrescato con l’emblema raggiante di Cristo “IHS” e lo stemma dei Bernardini, con due leoni e il leccio, una pianta un tempo molto numerosa in questo luogo, che ha dato il nome alla località “Casalecchio”. All’interno desta interesse il grande camino in pietra lavorata, cinquecentesco, posto nel salone di 70 metri quadrati su cui è scolpito lo stemma coronato dei Bernardini, dove vi son raffigurati due lecci, due aquile e tre stelle. Il bordo è tutto riccamente ornato, compresi i due finti bracieri in pietra posti a sinistra e a destra. Sulle pareti c’erano affreschi, dei quali si vede qualche traccia, che però sono andati perduti. Diverse stanze hanno le volte decorate e vi si trovano vari camini “minori” ma pur sempre degni di nota. Curiosa la piccola stanza-dispensa ritornata alla luce da qualche decennio, era infatti murata. Al piano terreno la grande cucina con ampio forno e camino, non usati da tempo, testimonia la presenza di tante persone residenti. Meritano una visita anche le ampie cantine e le stanze per il ricovero degli animali, con mangiatoie ben conservate. Ultimamente lo stabile ha ospitato una mostra del sarsinate Lucio Cangini ...».
Casalecchio
54 Via san Martino
San Martino in Appozzo frazione di Sarsina Forse non a tutti è nota l’esistenza e conosciuta la storia del Castello di Casalecchio, unico castello nella Valle del Savio, ubicato in parrocchia di San Martino in Appozzo, nel Comune di Sarsina, a 403 metri s.l.m. Per arrivare al castello da Sarsina si va in direzione Bagno di Romagna. Dopo circa 1,5 km si prende il bivio a sinistra in direzione San Martino-Monteriolo-Tavolicci, si percorrono 2,5 km e si arriva al bivio per il castello, contrassegnato dal cartello “Casalecchio”. Le prime notizie certe si hanno nel 1179, quando apparteneva al vescovo di Sarsina. Recenti studi collocano la costruzione dell’elegante edificio nel corso dello stesso dodicesimo secolo. Nel 1327 fu dato in feudo a Riccardo Rigoni di Monteriolo, ma ritornò alla Chiesa di Sarsina nel 1350, alla sua morte. Nel 1371 apparteneva al giovane Antonio Succi e c’erano “8 fuochi”, vi abitavano cioè 8 famiglie. Nel 1373 ritornò al Vescovo che lo consegnò definitivamente ai conti Bernardini di Rimini nel 1420. L’ultima contessa, Antonia Bernardini, morì nel suo castello “per morbo apoplettico” il 19/08/1800, all’età di 72 anni, come leggiamo nel “Libro dei morti” della parrocchia di San Martino in Appozzo. L’attuale proprietario, Angelo Marini di Sarsina, racconta: “I nostri antenati provenivano da Quarto, dove nel 1812 ci fu la rovinosa frana che distrusse tutta la frazione. I quattro fratelli si divisero: uno rimase a Quarto, uno si trasferì Sarsina, uno a Tomba mentre Annibale Marini acquistò il castello di Casalecchio, passato poi di padre in figlio fino a noi. ...”. Ciò che colpisce subito il visitatore è certamente la maestosità del palazzo, chiamato dalla gente “il palazzo dalle 100 finestre” anche se sono un po’ meno, l’ampiezza del cortile, con la cappella dedicata a San Nicola e il grande pozzo, che fanno percepire un’atmosfera austera e quasi claustrale. La campana, posta nel campaniletto a vela, venne fusa dalla ditta Balestra di Longiano nel 1826 ed è firmata da Annibale Marini. L’ingresso della Cappella è affrescato con l’emblema raggiante di Cristo “IHS” e lo stemma dei Bernardini, con due leoni e il leccio, una pianta un tempo molto numerosa in questo luogo, che ha dato il nome alla località “Casalecchio”. All’interno desta interesse il grande camino in pietra lavorata, cinquecentesco, posto nel salone di 70 metri quadrati su cui è scolpito lo stemma coronato dei Bernardini, dove vi son raffigurati due lecci, due aquile e tre stelle. Il bordo è tutto riccamente ornato, compresi i due finti bracieri in pietra posti a sinistra e a destra. Sulle pareti c’erano affreschi, dei quali si vede qualche traccia, che però sono andati perduti. Diverse stanze hanno le volte decorate e vi si trovano vari camini “minori” ma pur sempre degni di nota. Curiosa la piccola stanza-dispensa ritornata alla luce da qualche decennio, era infatti murata. Al piano terreno la grande cucina con ampio forno e camino, non usati da tempo, testimonia la presenza di tante persone residenti. Meritano una visita anche le ampie cantine e le stanze per il ricovero degli animali, con mangiatoie ben conservate. Ultimamente lo stabile ha ospitato una mostra del sarsinate Lucio Cangini ...».
Terra del Sole CASTELLO DEL CAPITANO DELLE ARTIGLIERIE Il Castello del Capitano delle Artiglierie sorge nel dolce paesaggio collinare dell'Appennino tra Toscana e Romagna, vicino alle terme di Castrocaro, parte integrante della città fortezza di Terra del Sole. Nato come struttura militare oggi si presenta ai visitatori come un bellissimo maniero con saloni dai soffitti lignei o arricchiti da affreschi di Felice Giani: nel castello è possibile gustare, immersi in un’atmosfera dal fascino antico, specialità gastronomiche e pregiati vini tosco-romagnoli. Le gallerie dove vi erano un tempo i posti di guardia, oggi vengono utilizzate per eventi, conferenze e convegni, mentre dal grande terrazzo che sovrasta il rigoglioso parco gli ospiti della suite possono contemplare il manto stellato con la luna che illumina le colline. Il Castello del Capitano fa parte di Castelli Emilia Romagna e oltre alle visite guidate offre la possibilità di: eventi, dormire nel maniero, festeggiare matrimoni e cerimonie, ospitare meeting di lavoro e congressi, raduni d’auto e moto d’epoca, concerti e balletti, cene e pranzi a tema, mostre d’arte
Castle of the Artillery Captain
4 Via Felice Cavallotti
Terra del Sole CASTELLO DEL CAPITANO DELLE ARTIGLIERIE Il Castello del Capitano delle Artiglierie sorge nel dolce paesaggio collinare dell'Appennino tra Toscana e Romagna, vicino alle terme di Castrocaro, parte integrante della città fortezza di Terra del Sole. Nato come struttura militare oggi si presenta ai visitatori come un bellissimo maniero con saloni dai soffitti lignei o arricchiti da affreschi di Felice Giani: nel castello è possibile gustare, immersi in un’atmosfera dal fascino antico, specialità gastronomiche e pregiati vini tosco-romagnoli. Le gallerie dove vi erano un tempo i posti di guardia, oggi vengono utilizzate per eventi, conferenze e convegni, mentre dal grande terrazzo che sovrasta il rigoglioso parco gli ospiti della suite possono contemplare il manto stellato con la luna che illumina le colline. Il Castello del Capitano fa parte di Castelli Emilia Romagna e oltre alle visite guidate offre la possibilità di: eventi, dormire nel maniero, festeggiare matrimoni e cerimonie, ospitare meeting di lavoro e congressi, raduni d’auto e moto d’epoca, concerti e balletti, cene e pranzi a tema, mostre d’arte
Ciola Araldi frazione di Roncofreddo
Castello Di Ciola Araldi
Ciola Araldi frazione di Roncofreddo
Cusercoli frazione di Civitella di Romagna Sorto in età medievale, intorno al XII sec., e presumibilmente sulle basi di una preesistente struttura fortificata di periodo tardo romano, fu abitato inizialmente dai Conti Ghiaggiolo primi feudatari del castello fino al 1269 quando l’unica figlia del conte Uberto, Orabile Beatrice, andando in sposa a Paolo Malatesta, detto “il Bello”, porta ai Signori di Rimini anche il Castello di Cusercoli. Si tratta proprio di quel Paolo Malatesta famoso in tutto il mondo per la storia d’amore, cantata da Dante Alighieri nel Quinto Canto dell’Inferno della Divina Commedia, con Francesca da Polenta, figlia di Guido da Polenta, signore di Ravenna, andata in sposa per procura al fratello Giovanni Malatesta. Paolo e Francesca, benché cognati, si innamorarono perdutamente. Il marito Giovanni, li sorprese e li uccise. Pare sia proprio fra le mura dei Castelli di Ghiaggiolo e di Cusercoli che ebbe inizio la loro storia d’amore e anche dove si concluse nel modo tragico che tutti conosciamo. Resta un fatto storico ed importante: Paolo Malatesta era anche Conte di Ghiaggiolo quando fu ucciso. Ai Malatesta si deve un primo significativo intervento di ampliamento realizzato nel corso del XIV secolo quando, accanto alla fortificazione iniziale, viene costruito un palazzo, anch’esso fortificato, residenza del feudatario. Nella Torre della Meridiana, all’interno del Castello di Cusercoli, una sala è stata totalmente ristrutturata per l’esposizione permanente di straordinarie opere ceramiche. Si tratta di 14 formelle in ceramica policroma realizzate verso la metà del Seicento che rappresentano le stazioni della Via Crucis e costituiscono un vanto per la comunità locale. Sono opere ceramiche di singolare pregio storico artistico e di eccezionale rarità proprio perché l’intero nucleo di 14 formelle ci è pervenuto completo fino ai giorni nostri. La storia di queste formelle è avvolta nel mistero. Unico fatto noto è che le formelle giungono a Cusercoli alla fine del Settecento, per volere di Giovanfrancesco Guidi di Bagno, con il preciso intento di collocarle nelle cellette lungo le mura di cinta del cimitero, che racchiudono la chiesetta dedicata a Sant'Emidio e alle anime purganti, risalente al 1788. Lì le preziose formelle rimangono fino al 1994, anno in cui vengono nottetempo trafugate da una banda di malviventi e poi recuperate nel giro di poche ore. Proprio questo evento solleva, per la prima volta, nuove attenzioni verso il pregio e la bellezza di queste opere. Le modalità del furto ed i segni di secoli di esposizione alle intemperie avevano gravemente danneggiato i manufatti ceramici. A seguito del ritrovamento, l’amministrazione ha sollecitato collaborazioni ed impiegato risorse per il loro recupero conservativo e la loro piena valorizzazione. Grazie all’intervento dell’Istituto per i Beni Culturali della Regione Emilia-Romagna è stato promosso un articolato progetto pluriennale che ha previsto sia un accurato restauro delle formelle della Via Crucis, sia il loro rifacimento in copia. Il complesso intervento, coordinato e finanziato dall’Istituto regionale, è stato realizzato nella forma partecipata del cantiere scuola. Le opere originali si possono ora ammirare in una sala espositiva del Castello, mentre le copie, difficilmente riconoscibili dagli originali, sono visibili al cimitero storico di Cusercoli, collocate all’interno delle cellette in arenaria della Via Crucis, risalenti al XVIII sec..
Castello di Cusercoli
37 Via S. Biagio
Cusercoli frazione di Civitella di Romagna Sorto in età medievale, intorno al XII sec., e presumibilmente sulle basi di una preesistente struttura fortificata di periodo tardo romano, fu abitato inizialmente dai Conti Ghiaggiolo primi feudatari del castello fino al 1269 quando l’unica figlia del conte Uberto, Orabile Beatrice, andando in sposa a Paolo Malatesta, detto “il Bello”, porta ai Signori di Rimini anche il Castello di Cusercoli. Si tratta proprio di quel Paolo Malatesta famoso in tutto il mondo per la storia d’amore, cantata da Dante Alighieri nel Quinto Canto dell’Inferno della Divina Commedia, con Francesca da Polenta, figlia di Guido da Polenta, signore di Ravenna, andata in sposa per procura al fratello Giovanni Malatesta. Paolo e Francesca, benché cognati, si innamorarono perdutamente. Il marito Giovanni, li sorprese e li uccise. Pare sia proprio fra le mura dei Castelli di Ghiaggiolo e di Cusercoli che ebbe inizio la loro storia d’amore e anche dove si concluse nel modo tragico che tutti conosciamo. Resta un fatto storico ed importante: Paolo Malatesta era anche Conte di Ghiaggiolo quando fu ucciso. Ai Malatesta si deve un primo significativo intervento di ampliamento realizzato nel corso del XIV secolo quando, accanto alla fortificazione iniziale, viene costruito un palazzo, anch’esso fortificato, residenza del feudatario. Nella Torre della Meridiana, all’interno del Castello di Cusercoli, una sala è stata totalmente ristrutturata per l’esposizione permanente di straordinarie opere ceramiche. Si tratta di 14 formelle in ceramica policroma realizzate verso la metà del Seicento che rappresentano le stazioni della Via Crucis e costituiscono un vanto per la comunità locale. Sono opere ceramiche di singolare pregio storico artistico e di eccezionale rarità proprio perché l’intero nucleo di 14 formelle ci è pervenuto completo fino ai giorni nostri. La storia di queste formelle è avvolta nel mistero. Unico fatto noto è che le formelle giungono a Cusercoli alla fine del Settecento, per volere di Giovanfrancesco Guidi di Bagno, con il preciso intento di collocarle nelle cellette lungo le mura di cinta del cimitero, che racchiudono la chiesetta dedicata a Sant'Emidio e alle anime purganti, risalente al 1788. Lì le preziose formelle rimangono fino al 1994, anno in cui vengono nottetempo trafugate da una banda di malviventi e poi recuperate nel giro di poche ore. Proprio questo evento solleva, per la prima volta, nuove attenzioni verso il pregio e la bellezza di queste opere. Le modalità del furto ed i segni di secoli di esposizione alle intemperie avevano gravemente danneggiato i manufatti ceramici. A seguito del ritrovamento, l’amministrazione ha sollecitato collaborazioni ed impiegato risorse per il loro recupero conservativo e la loro piena valorizzazione. Grazie all’intervento dell’Istituto per i Beni Culturali della Regione Emilia-Romagna è stato promosso un articolato progetto pluriennale che ha previsto sia un accurato restauro delle formelle della Via Crucis, sia il loro rifacimento in copia. Il complesso intervento, coordinato e finanziato dall’Istituto regionale, è stato realizzato nella forma partecipata del cantiere scuola. Le opere originali si possono ora ammirare in una sala espositiva del Castello, mentre le copie, difficilmente riconoscibili dagli originali, sono visibili al cimitero storico di Cusercoli, collocate all’interno delle cellette in arenaria della Via Crucis, risalenti al XVIII sec..
Montebello frazione di Poggio Torriana È conosciuto da tutti come il Castello di Azzurrina. Questo luogo, infatti, è avvolto da una leggenda che ha per protagonista una bimba scomparsa nel 1375 tra le mura del castello e tutt’oggi affascina e richiama tanti visitatori. Suggestive le visite notturna, durante le quali alcuni testimoniano di aver sentito la presenza del fantasma della piccola Azzurrina!
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Castello di Montebello
7 Via Castello di Montebello
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Montebello frazione di Poggio Torriana È conosciuto da tutti come il Castello di Azzurrina. Questo luogo, infatti, è avvolto da una leggenda che ha per protagonista una bimba scomparsa nel 1375 tra le mura del castello e tutt’oggi affascina e richiama tanti visitatori. Suggestive le visite notturna, durante le quali alcuni testimoniano di aver sentito la presenza del fantasma della piccola Azzurrina!
Castello di Montenovo
Montenovo
Montiano La Rocca imponente e ben visibile sovrasta il paese, la piazza Maggiore e gli altri edifici storici di Montiano fra i quali degni di nota sono il Palazzo Comunale, la Torre Civica, costruita nell’anno 1872 e dedicata a Re Vittorio Emanuele II, lo Stallone, antica scuderia della famiglia Malatesta risalente al XVI secolo. Il castello il cui impianto è a forma di cuore, ha possenti ed alte mura, recentemente ristrutturate e presenta sul lato sud est un torrione circolare. L'accesso al fortilizio avviene dal lato Ovest tramite una larga rampa che conduce ad un portoncino in legno. L'impianto originario, del quale non restano tracce, risale al IX secolo, mentre la parte più consistente della costruzione risale al XVI secolo ad opera della famiglia Malatesta. Gravemente lesionato nell'ultimo conflitto mondiale, è stato in parte ricostruito. L'edificio che sovrasta le mura, riedificato nel dopoguerra, è sede di un asilo privato. La visita è limitata al piazzale/giardino sulla sommità delle mura, dalle quali comunque si può ammirare un ampio panorama sulla sottostante pianura, e sull'intero paese. Storia Le prime attestazioni sul castello risalgono ad contratto di livello del 968 che lo citano come castello con funzioni di raccolta dei canoni delle proprietà Arvìcivescovili. (Currari 1984, p. 204) Citata nella Descriptio Romandiole del 1371 Vicariatus Sancti Archangeli: Castrum Montigliani situm in quodam parvo monte (situato in una piccola montagna), in quo sun focularia XX. Castello a lungo conteso per la sua posizione in confine fra Cesena e Rimini, posto in posizione collinare e dominante, conquistato dai Malatesta alla fine del ‘300, saccheggiato nel 1355 dal forlivese Ludovico degli Ordelaffi, torna pochi anni dopo sotto la Curia di Ravenna che lo regge fra alterne vicende fino al 1566 quando, per volontà di Papa Pio V, viene ceduto ai Malatesta del ramo di Sogliano. E' di questa epoca a cura di Giacomo Malatesta (1530-1600), nipote di Sigismondo, la costruzione dell’imponente Rocca e della porta di accesso al borgo, conosciuta oggi come Arco degli Spada. Estinto il ramo dei Malatesta, Montiano passa alla famiglia Spada di Bologna che lo amministra fino al 1797, quando ritorna nuovamente sotto il dominio della Santa Sede che lo regge fino all’Unità di Italia.
Castello di Montiano
18 Via Vittorio Veneto
Montiano La Rocca imponente e ben visibile sovrasta il paese, la piazza Maggiore e gli altri edifici storici di Montiano fra i quali degni di nota sono il Palazzo Comunale, la Torre Civica, costruita nell’anno 1872 e dedicata a Re Vittorio Emanuele II, lo Stallone, antica scuderia della famiglia Malatesta risalente al XVI secolo. Il castello il cui impianto è a forma di cuore, ha possenti ed alte mura, recentemente ristrutturate e presenta sul lato sud est un torrione circolare. L'accesso al fortilizio avviene dal lato Ovest tramite una larga rampa che conduce ad un portoncino in legno. L'impianto originario, del quale non restano tracce, risale al IX secolo, mentre la parte più consistente della costruzione risale al XVI secolo ad opera della famiglia Malatesta. Gravemente lesionato nell'ultimo conflitto mondiale, è stato in parte ricostruito. L'edificio che sovrasta le mura, riedificato nel dopoguerra, è sede di un asilo privato. La visita è limitata al piazzale/giardino sulla sommità delle mura, dalle quali comunque si può ammirare un ampio panorama sulla sottostante pianura, e sull'intero paese. Storia Le prime attestazioni sul castello risalgono ad contratto di livello del 968 che lo citano come castello con funzioni di raccolta dei canoni delle proprietà Arvìcivescovili. (Currari 1984, p. 204) Citata nella Descriptio Romandiole del 1371 Vicariatus Sancti Archangeli: Castrum Montigliani situm in quodam parvo monte (situato in una piccola montagna), in quo sun focularia XX. Castello a lungo conteso per la sua posizione in confine fra Cesena e Rimini, posto in posizione collinare e dominante, conquistato dai Malatesta alla fine del ‘300, saccheggiato nel 1355 dal forlivese Ludovico degli Ordelaffi, torna pochi anni dopo sotto la Curia di Ravenna che lo regge fra alterne vicende fino al 1566 quando, per volontà di Papa Pio V, viene ceduto ai Malatesta del ramo di Sogliano. E' di questa epoca a cura di Giacomo Malatesta (1530-1600), nipote di Sigismondo, la costruzione dell’imponente Rocca e della porta di accesso al borgo, conosciuta oggi come Arco degli Spada. Estinto il ramo dei Malatesta, Montiano passa alla famiglia Spada di Bologna che lo amministra fino al 1797, quando ritorna nuovamente sotto il dominio della Santa Sede che lo regge fino all’Unità di Italia.
Savignano sul Rubicone Il Castello di Ribano, sorse in epoca medievale quale curtis fortificata. Già proprietà della chiesa ravennate, nel 1580 passò ai monaci camaldolesi che lo trasformarono in residenza estiva alle dipendenze del convento ravennate. In seguito alla soppressione napoleonica degli ordini ecclesiastici, il monastero venne espropriato e venduto a privati finché, dopo varie vicende giunse alla famiglia savignanese Vallicelli che lo concesse in eredità al conte Gioachino Rasponi, nipote del re di Napoli e membro del patriziato liberale ravennate più in vista dell’epoca. Oggi il castello è di proprietà del dott. Giovanni Colonna principe di Paliano, nipote del conte Gianbattista Spalletti ed è divenuto sede di un’importante azienda enologica che prosegue l’antica tradizione enologica.
Castello di Ribano
100 Via Sogliano
Savignano sul Rubicone Il Castello di Ribano, sorse in epoca medievale quale curtis fortificata. Già proprietà della chiesa ravennate, nel 1580 passò ai monaci camaldolesi che lo trasformarono in residenza estiva alle dipendenze del convento ravennate. In seguito alla soppressione napoleonica degli ordini ecclesiastici, il monastero venne espropriato e venduto a privati finché, dopo varie vicende giunse alla famiglia savignanese Vallicelli che lo concesse in eredità al conte Gioachino Rasponi, nipote del re di Napoli e membro del patriziato liberale ravennate più in vista dell’epoca. Oggi il castello è di proprietà del dott. Giovanni Colonna principe di Paliano, nipote del conte Gianbattista Spalletti ed è divenuto sede di un’importante azienda enologica che prosegue l’antica tradizione enologica.
Sorrivoli Dentro il Castello, da molti anni, è presente una trattoria. Dal 2010 La Trattoria del Castello è gestita dalla Cooperativa Sociale Terra dei Miti. Abbiamo un duplice obbiettivo. Da un lato servire i cibi di stagione e il più possibile prodotti locali a km zero; i nostri primi sono fatti ancora con il mattarello, come comanda la tradizione. D'altro lato, creare nuovi posti di lavoro, principalmente a favore di coloro che con le loro particolari condizioni non riuscirebbero a trovare un'occupazione sicura ed onesta. La trattoria reinveste i propri ricavati nel Castello e in nuovi ed equi contratti di lavoro.Per questo molti di noi sono volontari. Aiutateci anche voi! Siamo una O.N.L.U.S. e per questo possiamo ricevere il vostro 5x1000.
Castillo de Sorrivoli
55 Via del Castello
Sorrivoli Dentro il Castello, da molti anni, è presente una trattoria. Dal 2010 La Trattoria del Castello è gestita dalla Cooperativa Sociale Terra dei Miti. Abbiamo un duplice obbiettivo. Da un lato servire i cibi di stagione e il più possibile prodotti locali a km zero; i nostri primi sono fatti ancora con il mattarello, come comanda la tradizione. D'altro lato, creare nuovi posti di lavoro, principalmente a favore di coloro che con le loro particolari condizioni non riuscirebbero a trovare un'occupazione sicura ed onesta. La trattoria reinveste i propri ricavati nel Castello e in nuovi ed equi contratti di lavoro.Per questo molti di noi sono volontari. Aiutateci anche voi! Siamo una O.N.L.U.S. e per questo possiamo ricevere il vostro 5x1000.
Gatteo Il castello di Gatteo sorge nel XIII secolo presumibilmente sul luogo di un preesistente accampamento romano. Nel corso dei secoli è stato soggetto a diverse trasformazioni. Ha una configurazione pressoché quadrangolare, è munito di una torre e cinque baluardi ed è circondato da una larga fossa, in origine piena d'acqua, oltrepassabile solo grazie ad un ponte levatoio. Nel lato orientale della cinta muraria si trova l'ingresso del castello, costituito da un arco a tutto sesto sormontato da una torre quadrata, il cassero, dove sono ancora oggi visibili le corsie per lo scorrimento delle travi che azionavano il ponte levatoio; sulla sommità del cassero vi è la seicentesca torre civica. Nella seconda metà del '700 le mura, ad eccezione del lato orientale che conserva resti dei beccatelli e della muratura, vengono abbassate e di conseguenza la fossa circondante il castello completamente riempita di terra ed il ponte levatoio, sostituito da un ponte in pietra. Il Castello è stato soggetto a un lungo restauro conclusosi nel 2003, grazie al quale è ora possibile effettuare un'insolita passeggiata sulle mura di cinta. In agosto la corte del castello viene utilizzata per l'allestimento di una parte della tradizionale
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Castello malatestiano
4 Via della Rocca
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Gatteo Il castello di Gatteo sorge nel XIII secolo presumibilmente sul luogo di un preesistente accampamento romano. Nel corso dei secoli è stato soggetto a diverse trasformazioni. Ha una configurazione pressoché quadrangolare, è munito di una torre e cinque baluardi ed è circondato da una larga fossa, in origine piena d'acqua, oltrepassabile solo grazie ad un ponte levatoio. Nel lato orientale della cinta muraria si trova l'ingresso del castello, costituito da un arco a tutto sesto sormontato da una torre quadrata, il cassero, dove sono ancora oggi visibili le corsie per lo scorrimento delle travi che azionavano il ponte levatoio; sulla sommità del cassero vi è la seicentesca torre civica. Nella seconda metà del '700 le mura, ad eccezione del lato orientale che conserva resti dei beccatelli e della muratura, vengono abbassate e di conseguenza la fossa circondante il castello completamente riempita di terra ed il ponte levatoio, sostituito da un ponte in pietra. Il Castello è stato soggetto a un lungo restauro conclusosi nel 2003, grazie al quale è ora possibile effettuare un'insolita passeggiata sulle mura di cinta. In agosto la corte del castello viene utilizzata per l'allestimento di una parte della tradizionale
Longiano Si sa per certo che il castello di Longiano non esisteva ancora nel V secolo; la sua fondazione si può far risalire al periodo fra i secoli VII e VIII. Una pergamena del 1059 attesta che era stato edificato nella zona un importante castello a scopo di difesa, che alla fine del Secolo XII venne utilizzata in particolar modo contro i cesenati, che cercarono più volte di conquistare Longiano, per strappare ai riminesi una posizione strategicamente vantaggiosa. Dal 1290 fino al 1463 questo castello fu residenza dei Malatesta, Signori di Rimini, cui si devono la fortificazione e l'ampliamento del Castello, effettuate in particolar modo attraverso l'aggiunta di nuovi bastioni. Il conte Guido Rangoni di Modena, avendo nel 1519 ricevuto Longiano da papa Leone X in feudo perpetuo, provvide a modificare la struttura del Castello, eliminando in parte le fortificazioni malatestiane (ne rimane a testimonianza il bastione a fianco dell'ex pescheria, ora Ufficio Turistico) e costruendo la loggetta percorribile ancora oggi. Al tempo del conte Rangoni risale anche l'affresco sul soffitto dello studiolo. Nel diciannovesimo secolo il Castello è stato notevolmente modificato al suo interno, in particolare la Sala dell'Arengo e quelle adiacenti, i cui soffitti furono completamente ricostruiti e decorati dai pittori Giovanni Canepa e Girolamo Bellani, che fra l'altro vi ritrassero personaggi illustri della storia Longianese. Il Castello è stato sede del Municipio fino al 1989, ed è oggi sede permanente della Fondazione Tito Balestra.
Castello Malatestiano
1 Piazza Malatestiana
Longiano Si sa per certo che il castello di Longiano non esisteva ancora nel V secolo; la sua fondazione si può far risalire al periodo fra i secoli VII e VIII. Una pergamena del 1059 attesta che era stato edificato nella zona un importante castello a scopo di difesa, che alla fine del Secolo XII venne utilizzata in particolar modo contro i cesenati, che cercarono più volte di conquistare Longiano, per strappare ai riminesi una posizione strategicamente vantaggiosa. Dal 1290 fino al 1463 questo castello fu residenza dei Malatesta, Signori di Rimini, cui si devono la fortificazione e l'ampliamento del Castello, effettuate in particolar modo attraverso l'aggiunta di nuovi bastioni. Il conte Guido Rangoni di Modena, avendo nel 1519 ricevuto Longiano da papa Leone X in feudo perpetuo, provvide a modificare la struttura del Castello, eliminando in parte le fortificazioni malatestiane (ne rimane a testimonianza il bastione a fianco dell'ex pescheria, ora Ufficio Turistico) e costruendo la loggetta percorribile ancora oggi. Al tempo del conte Rangoni risale anche l'affresco sul soffitto dello studiolo. Nel diciannovesimo secolo il Castello è stato notevolmente modificato al suo interno, in particolare la Sala dell'Arengo e quelle adiacenti, i cui soffitti furono completamente ricostruiti e decorati dai pittori Giovanni Canepa e Girolamo Bellani, che fra l'altro vi ritrassero personaggi illustri della storia Longianese. Il Castello è stato sede del Municipio fino al 1989, ed è oggi sede permanente della Fondazione Tito Balestra.
Castello Conti Guidi a Dovadola La Rocca di Dovadola, conosciuta anche come la Rocca dei Conti Guidi in memoria dell'antica famiglia Guidi, è un fortilizio che sorge ai margini del centro di abitato di Dovadola, in provincia di Forlì. La rocca venne edificata in una zona che fino dall'antichità rivestiva un ruolo di primaria importanza nel controllo dei valichi appenninici. Già probabilmente sede di un castrum romano, l'attuale rocca si erge in prossimità di baluardi longobardi che sorvegliavano le zone in prossimità dei territori bizantini. Le prime attestazioni della rocca risalgono al 1021 sebbene l'edificio attuale si debba far risalire al XIII secolo. La rocca, che sorge su uno sperone di roccia puddinga, che domina centro del paese. Sebbene l'incuria degli ultimi secoli abbia danneggiato la rocca in numerosi punti essa rimane, tra tutte le fortificazioni appartenute ai conti Guidi, quella nel miglior stato di conservazione. La rocca è intatta per quanto riguarda alcune strutture quali cortine, i bastioni ed il mastio, ma le rimanenti strutture versano in grave stato di abbandono. La fortezza consta di tre piani o meglio di tre blocchi sovrapposti e concatenati da passaggi obbligati che collegano l'ingresso principale alla sommità del mastio. L'ingresso era munito di ponte levatoio di cui sono ancora visibili le corsie delle travi di sollevamento. L'ingresso, al quale si accede tramite il ponte, conduce nel cortile interno circondato dal mastio e dalle cortine difensive. Il mastio è costruito su 5 piani, di cui due sotterranei.
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Dovadola
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Castello Conti Guidi a Dovadola La Rocca di Dovadola, conosciuta anche come la Rocca dei Conti Guidi in memoria dell'antica famiglia Guidi, è un fortilizio che sorge ai margini del centro di abitato di Dovadola, in provincia di Forlì. La rocca venne edificata in una zona che fino dall'antichità rivestiva un ruolo di primaria importanza nel controllo dei valichi appenninici. Già probabilmente sede di un castrum romano, l'attuale rocca si erge in prossimità di baluardi longobardi che sorvegliavano le zone in prossimità dei territori bizantini. Le prime attestazioni della rocca risalgono al 1021 sebbene l'edificio attuale si debba far risalire al XIII secolo. La rocca, che sorge su uno sperone di roccia puddinga, che domina centro del paese. Sebbene l'incuria degli ultimi secoli abbia danneggiato la rocca in numerosi punti essa rimane, tra tutte le fortificazioni appartenute ai conti Guidi, quella nel miglior stato di conservazione. La rocca è intatta per quanto riguarda alcune strutture quali cortine, i bastioni ed il mastio, ma le rimanenti strutture versano in grave stato di abbandono. La fortezza consta di tre piani o meglio di tre blocchi sovrapposti e concatenati da passaggi obbligati che collegano l'ingresso principale alla sommità del mastio. L'ingresso era munito di ponte levatoio di cui sono ancora visibili le corsie delle travi di sollevamento. L'ingresso, al quale si accede tramite il ponte, conduce nel cortile interno circondato dal mastio e dalle cortine difensive. Il mastio è costruito su 5 piani, di cui due sotterranei.
Castrocaro Terme Nel cuore della Romagna forlivese, dove il fiume Montone scorre lento e sinuoso, e la valle si dilarga tra le pendici degli ultimi contrafforti dell'Appennino, si erge la caratteristica rupe su cui, da oltre un millennio, vigila la Fortezza di Castrocaro. Questo singolare ed accentuato affioramento di roccia carsica, detto localmente sasso spungone, è ciò che resta di una antichissima scogliera sottomarina di età pliocenica (10 milioni di anni fa), formata da calcarei arenacei organogeni, ricchissimi di resti fossili marini di notevole interesse geologico. Grazie alla sua posizione elevata e di difficile accesso, quindi facilmente difendibile, la rupe ebbe valore strategico sin dalla preistoria, offrendo, nelle diverse grotte ancora visibili, un sicuro rifugio ai suoi abitatori. Di essi è attestata la presenza fin dal neolitico, palesata dal ritrovamento in loco di numerosi reperti, tra cui una bella accetta in diorite verde. La rupe assolveva inoltre molto efficacemente alla funzione di avvistamento, necessaria per sorvegliare il passaggio di uomini all'imbocco della vallata. Il periodo imperiale (sec. X-1282) Nell'alto medioevo la rupe su cui si erge la Fortezza segnava il confine che divideva il regno Longobardo dai domini bizantini. E' in questo periodo che probabilmente vennero poste le prime pietre della torre che ancora oggi domina il paese. La prima testimonianza scritta dell'esistenza del “castrum Aukario” risale al 961. Dal 1118 il castello risulta appartenere ai Conti di Castrocaro, infeudati dall'Arcivescovo di Ravenna, vassallo, a sua volta, dell'imperatore. Questa famiglia, una delle più agguerrite dell'Appennino romagnolo, trasformò la primitiva struttura in una solida rocca, in grado di ospitare e proteggere la corte feudale, amministrare politicamente ed economicamente il territorio, controllare militarmente l'accesso alla valle. In breve il castello di Castrocaro raggiunse una determinante rilevanza strategica, tanto che nel 1160 e nel 1164 ospitò anche l'imperatore Federico Barbarossa, a conferma dell'importanza che il fortilizio aveva ormai acquisito. Un documento del 1177 ci ricorda l'alleanza dei Conti di Castrocaro con il Barbarossa contro la Lega lombarda. Altri documenti ci ricordano che nel 1188 la Rocca era abitata dal conte Bonifacio. Per la sua rilevanza strategica la Rocca fu sempre nelle mire del Papato, che più volte ne reclamò invano i diritti. Per questo motivo nel 1212 l'imperatore Ottone e i Conti di Castrocaro incorsero addirittura nella scomunica. Nel 1220 l'imperatore Federico II riconfermò il feudo al conte Bonifacio. Lo stesso anno il cancelliere imperiale Cristiano di Magonza dispose che il rettore imperiale della Romagna dovesse insediarsi nella Rocca di Castrocaro. Il periodo della Chiesa (1282-1403) Il periodo della Chiesa (1282-1403) Con la morte di Federico II (1253) e il disorientamento imperiale che ne seguì, il potere papale assunse maggior prestigio, e grazie all'aiuto militare angioino gran parte della Romagna finì sotto il potere temporale della Chiesa. Nel 1282 fu la volta dei Conti di Castrocaro, che furono costretti a sottomettersi al papa Martino IV. Quell'anno il castello passò sotto il diretto controllo della Chiesa, che vi insediò proprie milizie ed un castellano. E' questa una data storica per Castrocaro, poiché la Fortezza cessa di essere residenza feudale, per divenire presidio militare e sede di tribunale. Per diversi anni la Rocca fu sede del Rettore di Romagna, individuato dal papa nella persona del Re di Napoli Roberto d'Angiò. Sono di questo periodo sostanziali trasformazioni al complesso, che lo renderanno inespugnabile, se non col tradimento: “ il detto castello non si potea combattere … ed era molto forte di sito in tale modo che non si vedea che per battaglia si potesse vincere” (Anonimo fiorentino). Nel Trecento, per la sua strategica posizione, la Rocca fu oggetto di aspre contese tra i signori locali e lo Stato della Chiesa. Subì assedi nel 1310, 1334 e nel 1350. Nel 1371 la Rocca era ancora presidiata dalle milizie papali, come risulta dalla precisa Descriptio Romandiolae del cardinale Anglic. Negli anni seguenti la situazione sociale e politica della Romagna peggiorò ulteriormente, a tal punto da rendere impossibile un efficace controllo militare della Romandiola. Papa Bonifacio IX, col proposito di rimpinguare le Casse della Camera Apostolica, nel 1394 impegnò ai Fiorentini il castello e il contado di Castrocaro per la somma di 18.000 fiorini d'oro. Ma al momento di consegnare la Rocca ai Fiorentini il castellano pontificio, che reclamava il pagamento di mensilità arretrate, si oppose. I Fiorentini tentarono quindi di conquistare la rocca con l'uso delle armi, ma inutilmente. Solo nel 1403, dopo lunghe trattative, e con il pagamento di altri 2000 fiorini, Firenze poté entrare in possesso dell'ambito fortilizio. La storica consegna della Rocca ai Fiorentini avvenne “Sabati die 19 mensis madii: et fuit in dicto Castro gaudium magnum, et nos de Forlivio e converso doluimus”. Il periodo fiorentino (1403-1676) Il periodo fiorentino (1403-1676) Nel 1403, con la definitiva annessione alla Repubblica di Firenze, inizia per Castrocaro un periodo ricco di eventi di rilievo, sul piano politico, culturale e sociale. Grazie alla sua posizione decentrata rispetto alla capitale, sui confini con il dominio papale, Castrocaro fu elevata a capoluogo dei territori fiorentini in terra romagnola,: la Provinciae Florentinae in partibus Romandiolae , con sede di capitanato e tribunale. E' l'atto di nascita della Romagna fiorentina, che darà modo ai fiorentini di inserirsi definitivamente nella vita politica romagnola, aprendo una importante via commerciale verso l'Adriatico. Per circa 200 anni Castrocaro sarà il capoluogo della cosiddetta Romagna fiorentina. Secondo gli Statuti del Comune di Firenze del 1415 nella Fortezza era di stanza una guarnigione di 8 uomini, al comando di un castellano, chiamato il Capitano del Cassero di Castrocaro. Per tutto il Quattrocento e la prima metà del Cinquecento il grande fortilizio rupestre fu interessato da importanti modifiche strutturali, fatte apportare dagli architetti militari fiorentini per adeguarla alle nuove esigenze belliche, sorte in seguito all'introduzione delle armi da fuoco. La Fortezza dette infatti buone prove della propria efficienza, resistendo efficacemente all'assalto di diversi eserciti al soldo della Chiesa, che a più riprese tentarono invano di conquistarla. Fu l'unica tra le rocche della Romagna toscana a resistere agli assedi del 1425, 1450, 1467 e 1529. Di questo periodo sono gli Arsenali Medicei, straordinaria e ciclopica costruzione cinquecentesca, (unica in Italia per ampiezza e tipologia, oggi la definiremmo un prototipo) alla cui costruzione contribuirono famosi architetti come Antonio da Sangallo il Vecchio, Giovan Battista Belluzzi (detto il Sammarino), Gabrio Serbelloni, Bernardo Buontanenti. Tre secoli di abbandono Tre secoli di abbandono Agli inizi del Seicento, in seguito alla nuova politica territoriale del Granduca di Toscana, che si espresse nella “rifondazione portuale” di Livorno (1587-1609), la Romagna toscana venne relegata definitivamente ai margini dello Stato mediceo. La Fortezza di Castrocaro iniziò il progressivo disarmo e l'inesorabile abbandono. Nel 1676 venne ceduta a livello, e nel 1782 venduta a privati. Nei secoli successivi non venne mai più utilizzata, né per scopi militari, né per usi residenziali e abitativi, non subendo, quindi, modifiche né superfetazioni. Venne invece utilizzata come cava di pietre, e alcune sue parti subirono così lo scempio degli indifferenti e le offese del tempo. Il suo inutilizzo ha comunque preservato il grande maniero dalle pesanti trasformazioni strutturali che invece hanno interessato numerosi castelli italiani, la cui funzione residenziale ha portato a inevitabili modifiche, eseguite secondo il gusto, gli stilemi dell'epoca e le esigenze del vivere quotidiano. Per questo motivo la Fortezza di Castrocaro è rimasta pressoché immutata, e così oggi ci troviamo di fronte ad un unicum di notevole pregio architettonico, un autentico complesso fortificato medievale che si è salvato dall'oblio del tempo, come se fosse stato “congelato” per secoli. La rinascita La rinascita Nel 1923 la Fortezza venne acquistata dal Comune, che nel 1980 delibererà il restauro dell'imponente struttura fortificata. Nel 1982 ebbero inizio i lavori di restauro, individuandone il nuovo destino in un utilizzo culturale e turistico. A lavori ultimati (1999) il Comune ha emesso un bando pubblico per l'utilizzo culturale del grande complesso fortificato. Tra i vari progetti presentati, una commissione di esperti del Comune, Provincia e Regione ha scelto quello elaborato dalla ProLoco di Castrocaro, che prevedeva l'allestimento di un Museo storico-archeologico, lo svolgimento di iniziative di valorizzazione dell'enogastronomia locale locale, convegni e intrattenimenti culturali, stages e spettacoli di vario genere, culturali e turistici. Nella primavera del 2000 la Fortezza è stata dunque affidata in gestione alla Proloco di Castrocaro affinché vi realizzasse il progetto di riuso culturale e turistico dalla stessa redatto.
Fortezza di Castrocaro Terme
1 Via Fortezza
Castrocaro Terme Nel cuore della Romagna forlivese, dove il fiume Montone scorre lento e sinuoso, e la valle si dilarga tra le pendici degli ultimi contrafforti dell'Appennino, si erge la caratteristica rupe su cui, da oltre un millennio, vigila la Fortezza di Castrocaro. Questo singolare ed accentuato affioramento di roccia carsica, detto localmente sasso spungone, è ciò che resta di una antichissima scogliera sottomarina di età pliocenica (10 milioni di anni fa), formata da calcarei arenacei organogeni, ricchissimi di resti fossili marini di notevole interesse geologico. Grazie alla sua posizione elevata e di difficile accesso, quindi facilmente difendibile, la rupe ebbe valore strategico sin dalla preistoria, offrendo, nelle diverse grotte ancora visibili, un sicuro rifugio ai suoi abitatori. Di essi è attestata la presenza fin dal neolitico, palesata dal ritrovamento in loco di numerosi reperti, tra cui una bella accetta in diorite verde. La rupe assolveva inoltre molto efficacemente alla funzione di avvistamento, necessaria per sorvegliare il passaggio di uomini all'imbocco della vallata. Il periodo imperiale (sec. X-1282) Nell'alto medioevo la rupe su cui si erge la Fortezza segnava il confine che divideva il regno Longobardo dai domini bizantini. E' in questo periodo che probabilmente vennero poste le prime pietre della torre che ancora oggi domina il paese. La prima testimonianza scritta dell'esistenza del “castrum Aukario” risale al 961. Dal 1118 il castello risulta appartenere ai Conti di Castrocaro, infeudati dall'Arcivescovo di Ravenna, vassallo, a sua volta, dell'imperatore. Questa famiglia, una delle più agguerrite dell'Appennino romagnolo, trasformò la primitiva struttura in una solida rocca, in grado di ospitare e proteggere la corte feudale, amministrare politicamente ed economicamente il territorio, controllare militarmente l'accesso alla valle. In breve il castello di Castrocaro raggiunse una determinante rilevanza strategica, tanto che nel 1160 e nel 1164 ospitò anche l'imperatore Federico Barbarossa, a conferma dell'importanza che il fortilizio aveva ormai acquisito. Un documento del 1177 ci ricorda l'alleanza dei Conti di Castrocaro con il Barbarossa contro la Lega lombarda. Altri documenti ci ricordano che nel 1188 la Rocca era abitata dal conte Bonifacio. Per la sua rilevanza strategica la Rocca fu sempre nelle mire del Papato, che più volte ne reclamò invano i diritti. Per questo motivo nel 1212 l'imperatore Ottone e i Conti di Castrocaro incorsero addirittura nella scomunica. Nel 1220 l'imperatore Federico II riconfermò il feudo al conte Bonifacio. Lo stesso anno il cancelliere imperiale Cristiano di Magonza dispose che il rettore imperiale della Romagna dovesse insediarsi nella Rocca di Castrocaro. Il periodo della Chiesa (1282-1403) Il periodo della Chiesa (1282-1403) Con la morte di Federico II (1253) e il disorientamento imperiale che ne seguì, il potere papale assunse maggior prestigio, e grazie all'aiuto militare angioino gran parte della Romagna finì sotto il potere temporale della Chiesa. Nel 1282 fu la volta dei Conti di Castrocaro, che furono costretti a sottomettersi al papa Martino IV. Quell'anno il castello passò sotto il diretto controllo della Chiesa, che vi insediò proprie milizie ed un castellano. E' questa una data storica per Castrocaro, poiché la Fortezza cessa di essere residenza feudale, per divenire presidio militare e sede di tribunale. Per diversi anni la Rocca fu sede del Rettore di Romagna, individuato dal papa nella persona del Re di Napoli Roberto d'Angiò. Sono di questo periodo sostanziali trasformazioni al complesso, che lo renderanno inespugnabile, se non col tradimento: “ il detto castello non si potea combattere … ed era molto forte di sito in tale modo che non si vedea che per battaglia si potesse vincere” (Anonimo fiorentino). Nel Trecento, per la sua strategica posizione, la Rocca fu oggetto di aspre contese tra i signori locali e lo Stato della Chiesa. Subì assedi nel 1310, 1334 e nel 1350. Nel 1371 la Rocca era ancora presidiata dalle milizie papali, come risulta dalla precisa Descriptio Romandiolae del cardinale Anglic. Negli anni seguenti la situazione sociale e politica della Romagna peggiorò ulteriormente, a tal punto da rendere impossibile un efficace controllo militare della Romandiola. Papa Bonifacio IX, col proposito di rimpinguare le Casse della Camera Apostolica, nel 1394 impegnò ai Fiorentini il castello e il contado di Castrocaro per la somma di 18.000 fiorini d'oro. Ma al momento di consegnare la Rocca ai Fiorentini il castellano pontificio, che reclamava il pagamento di mensilità arretrate, si oppose. I Fiorentini tentarono quindi di conquistare la rocca con l'uso delle armi, ma inutilmente. Solo nel 1403, dopo lunghe trattative, e con il pagamento di altri 2000 fiorini, Firenze poté entrare in possesso dell'ambito fortilizio. La storica consegna della Rocca ai Fiorentini avvenne “Sabati die 19 mensis madii: et fuit in dicto Castro gaudium magnum, et nos de Forlivio e converso doluimus”. Il periodo fiorentino (1403-1676) Il periodo fiorentino (1403-1676) Nel 1403, con la definitiva annessione alla Repubblica di Firenze, inizia per Castrocaro un periodo ricco di eventi di rilievo, sul piano politico, culturale e sociale. Grazie alla sua posizione decentrata rispetto alla capitale, sui confini con il dominio papale, Castrocaro fu elevata a capoluogo dei territori fiorentini in terra romagnola,: la Provinciae Florentinae in partibus Romandiolae , con sede di capitanato e tribunale. E' l'atto di nascita della Romagna fiorentina, che darà modo ai fiorentini di inserirsi definitivamente nella vita politica romagnola, aprendo una importante via commerciale verso l'Adriatico. Per circa 200 anni Castrocaro sarà il capoluogo della cosiddetta Romagna fiorentina. Secondo gli Statuti del Comune di Firenze del 1415 nella Fortezza era di stanza una guarnigione di 8 uomini, al comando di un castellano, chiamato il Capitano del Cassero di Castrocaro. Per tutto il Quattrocento e la prima metà del Cinquecento il grande fortilizio rupestre fu interessato da importanti modifiche strutturali, fatte apportare dagli architetti militari fiorentini per adeguarla alle nuove esigenze belliche, sorte in seguito all'introduzione delle armi da fuoco. La Fortezza dette infatti buone prove della propria efficienza, resistendo efficacemente all'assalto di diversi eserciti al soldo della Chiesa, che a più riprese tentarono invano di conquistarla. Fu l'unica tra le rocche della Romagna toscana a resistere agli assedi del 1425, 1450, 1467 e 1529. Di questo periodo sono gli Arsenali Medicei, straordinaria e ciclopica costruzione cinquecentesca, (unica in Italia per ampiezza e tipologia, oggi la definiremmo un prototipo) alla cui costruzione contribuirono famosi architetti come Antonio da Sangallo il Vecchio, Giovan Battista Belluzzi (detto il Sammarino), Gabrio Serbelloni, Bernardo Buontanenti. Tre secoli di abbandono Tre secoli di abbandono Agli inizi del Seicento, in seguito alla nuova politica territoriale del Granduca di Toscana, che si espresse nella “rifondazione portuale” di Livorno (1587-1609), la Romagna toscana venne relegata definitivamente ai margini dello Stato mediceo. La Fortezza di Castrocaro iniziò il progressivo disarmo e l'inesorabile abbandono. Nel 1676 venne ceduta a livello, e nel 1782 venduta a privati. Nei secoli successivi non venne mai più utilizzata, né per scopi militari, né per usi residenziali e abitativi, non subendo, quindi, modifiche né superfetazioni. Venne invece utilizzata come cava di pietre, e alcune sue parti subirono così lo scempio degli indifferenti e le offese del tempo. Il suo inutilizzo ha comunque preservato il grande maniero dalle pesanti trasformazioni strutturali che invece hanno interessato numerosi castelli italiani, la cui funzione residenziale ha portato a inevitabili modifiche, eseguite secondo il gusto, gli stilemi dell'epoca e le esigenze del vivere quotidiano. Per questo motivo la Fortezza di Castrocaro è rimasta pressoché immutata, e così oggi ci troviamo di fronte ad un unicum di notevole pregio architettonico, un autentico complesso fortificato medievale che si è salvato dall'oblio del tempo, come se fosse stato “congelato” per secoli. La rinascita La rinascita Nel 1923 la Fortezza venne acquistata dal Comune, che nel 1980 delibererà il restauro dell'imponente struttura fortificata. Nel 1982 ebbero inizio i lavori di restauro, individuandone il nuovo destino in un utilizzo culturale e turistico. A lavori ultimati (1999) il Comune ha emesso un bando pubblico per l'utilizzo culturale del grande complesso fortificato. Tra i vari progetti presentati, una commissione di esperti del Comune, Provincia e Regione ha scelto quello elaborato dalla ProLoco di Castrocaro, che prevedeva l'allestimento di un Museo storico-archeologico, lo svolgimento di iniziative di valorizzazione dell'enogastronomia locale locale, convegni e intrattenimenti culturali, stages e spettacoli di vario genere, culturali e turistici. Nella primavera del 2000 la Fortezza è stata dunque affidata in gestione alla Proloco di Castrocaro affinché vi realizzasse il progetto di riuso culturale e turistico dalla stessa redatto.
Terra del Sole è la Città Fortezza rinascimentale nell'entroterra forlivese, detta Eliopoli, dove puoi visitare liberamente la città, scoprire la Chiesa di Santa Reparata, il cortile del Palazzo Pretorio e su prenotazione entrare nel Museo, nel Castello del Governatore, alle Casematte. La costruzione iniziò l’8 dicembre del 1564, partendo dalle profonde conoscenze militari e ingegneristiche di Cosimo I De Medici - accumulate nella decennale esperienza di principe, condottiero e soldato di ventura - con l'obiettivo di sfoggiare il potere e lo splendore del Granducato di Toscana in terra di Romagna. Il borgo di Terra del Sole è cinto da alte mura di 13 metri, rettangolari con camminamento di ronda, lunghe 2 chilometri mentre un asse longitudinale unisce le due porte dell’abitato, dotato anche di quattro alti bastioni difensivi, ciascuno disposto su un angolo del rettangolo. Edificata per presidiare il confine con lo Stato Pontificio, conserva intatto il fascino della città-fortezza: è sormontata da due castelli, quello del Capitano delle Artiglierie a difesa del borgo fiorentino e quello del Governatore, a difesa del borgo romano. Da vedere la prima domenica di settembre il "Palio di Santa Reparata" con oltre 300 figuranti delle contrade storiche nei costumi del Cinquecento.
Fortezza di Terra del Sole "Eliopoli"
Terra del Sole è la Città Fortezza rinascimentale nell'entroterra forlivese, detta Eliopoli, dove puoi visitare liberamente la città, scoprire la Chiesa di Santa Reparata, il cortile del Palazzo Pretorio e su prenotazione entrare nel Museo, nel Castello del Governatore, alle Casematte. La costruzione iniziò l’8 dicembre del 1564, partendo dalle profonde conoscenze militari e ingegneristiche di Cosimo I De Medici - accumulate nella decennale esperienza di principe, condottiero e soldato di ventura - con l'obiettivo di sfoggiare il potere e lo splendore del Granducato di Toscana in terra di Romagna. Il borgo di Terra del Sole è cinto da alte mura di 13 metri, rettangolari con camminamento di ronda, lunghe 2 chilometri mentre un asse longitudinale unisce le due porte dell’abitato, dotato anche di quattro alti bastioni difensivi, ciascuno disposto su un angolo del rettangolo. Edificata per presidiare il confine con lo Stato Pontificio, conserva intatto il fascino della città-fortezza: è sormontata da due castelli, quello del Capitano delle Artiglierie a difesa del borgo fiorentino e quello del Governatore, a difesa del borgo romano. Da vedere la prima domenica di settembre il "Palio di Santa Reparata" con oltre 300 figuranti delle contrade storiche nei costumi del Cinquecento.
Modigliana La Tribuna (p.zza don Minzoni) era l'ingresso principale al castello. Di aspetto singolare, è composta da due campanili (quello di sinistra fu aggiunto nel ‘700 per simmetria con l'altro) e da un'edicola con la statua della madonna, opera dello scultore bolognese Clemente Molli (1678). Con la seconda cerchia di mura si delimitava l'abitato posto sulla sponda del fiume Tramazzo di fronte al borgo vecchio. Il torrione d'ingresso fu terminato nel 1534.
La Tribuna
1 Via Filippo Corridoni
Modigliana La Tribuna (p.zza don Minzoni) era l'ingresso principale al castello. Di aspetto singolare, è composta da due campanili (quello di sinistra fu aggiunto nel ‘700 per simmetria con l'altro) e da un'edicola con la statua della madonna, opera dello scultore bolognese Clemente Molli (1678). Con la seconda cerchia di mura si delimitava l'abitato posto sulla sponda del fiume Tramazzo di fronte al borgo vecchio. Il torrione d'ingresso fu terminato nel 1534.
Monteleone frazione di Roncofreddo Castello privato non visitabile Antichissimo, fu dei Malatesta, della Chiesa e dei Roverella, che lo tennero fino al 1745 trsformandolo in palazzo di campagna. Passato quindi ai Guiccioli, fu infine venduto ai conti Volpe (1960). E' noto per avere ospitato il poeta George Byron, ai tempi in cui era ritrovo dei carbonari, che qui ebbe forse una storia d'amore con la contessa Teresa Gamba.
Monteleone
Monteleone frazione di Roncofreddo Castello privato non visitabile Antichissimo, fu dei Malatesta, della Chiesa e dei Roverella, che lo tennero fino al 1745 trsformandolo in palazzo di campagna. Passato quindi ai Guiccioli, fu infine venduto ai conti Volpe (1960). E' noto per avere ospitato il poeta George Byron, ai tempi in cui era ritrovo dei carbonari, che qui ebbe forse una storia d'amore con la contessa Teresa Gamba.
Forlimpopoli ROCCA DI FORLIMPOPOLI La Rocca di Forlimpopoli viene fatta edificare dal cardinale Egidio Carrilla de Albornoz nella seconda metà del Trecento. E’ uno dei numerosi monumenti che si possono visitare, previa prenotazione, nella città che ha dato i natali al celeberrimo gastronomo Pellegrino Artusi, autore del manuale “La Scienza in cucina e l’Arte di mangiar bene”. La Rocca, una delle meglio conservate in terra di Romagna, domina con la sua imponente mole il centro storico cittadino e la piazza principale intitolata a Giuseppe Garibaldi. Presenta una pianta quadrangolare con possenti torrioni a sezione circolare ed è circondata, sui lati orientale e meridionale, da un fossato. Al suo interno hanno sede il Comune di Forlimpopoli, il Cinema-Teatro “Giuseppe Verdi” - teatro dell’impresa della banda del “Passatore” nella notte del 25 gennaio 1851 – e, negli ambienti a pianterreno, il Museo Archeologico Civico “Tobia Aldini” che raccoglie reperti dal Paleolitico inferiore all’epoca romana fino all’età rinascimentale.
Rocca di Forlimpopoli
Via Guglielmo Oberdan
Forlimpopoli ROCCA DI FORLIMPOPOLI La Rocca di Forlimpopoli viene fatta edificare dal cardinale Egidio Carrilla de Albornoz nella seconda metà del Trecento. E’ uno dei numerosi monumenti che si possono visitare, previa prenotazione, nella città che ha dato i natali al celeberrimo gastronomo Pellegrino Artusi, autore del manuale “La Scienza in cucina e l’Arte di mangiar bene”. La Rocca, una delle meglio conservate in terra di Romagna, domina con la sua imponente mole il centro storico cittadino e la piazza principale intitolata a Giuseppe Garibaldi. Presenta una pianta quadrangolare con possenti torrioni a sezione circolare ed è circondata, sui lati orientale e meridionale, da un fossato. Al suo interno hanno sede il Comune di Forlimpopoli, il Cinema-Teatro “Giuseppe Verdi” - teatro dell’impresa della banda del “Passatore” nella notte del 25 gennaio 1851 – e, negli ambienti a pianterreno, il Museo Archeologico Civico “Tobia Aldini” che raccoglie reperti dal Paleolitico inferiore all’epoca romana fino all’età rinascimentale.
Rocca delle Camminate ROCCA DELLE CAMINATE Il castello è situato su una collina, a 356 metri di altitudine, nel comune di Meldola in Romagna: potete vivere il percorso culturale, storico e didattico composto da 23 punti informativi grazie alla facilitazione dell'app Rocca delle Caminate, compatibile con sistema IOS e Android, che potete scaricare sullo smartphone. L'app trasforma lo smartphone in una audio guida che accompagna i visitatori. Al termine dell'ultimo punto informativo è possibile vedere un video di 23 minuti che ripercorre le tappe storiche della Rocca con particolare riferimento al Novecento. Cosa successe, infatti, tra il 1924 e il 1927? La Rocca delle Caminate fu demolita e ricostruita completamente, in stile neomedievale. Rimasero, a testimonianza dell'antico fortilizio, due bastioni sfaccettati in laterizio ai lati di una piccola cortina che ancora oggi testimonia la storia e la chiara differenza. Si trova a 4 chilometri di distanza da Predappio e a 16 chilometri da Forlì. La sua fama deriva dal fatto di essere stata residenza estiva di Benito Mussolini negli anni Trenta. Sono state fatte due ipotesi sull'origine del nome dato alla Rocca. Secondo la prima, le Caminate potrebbero essere i cammini di ronda che contornavano le mura dell'antico fortilizio; secondo un'altra ipotesi, invece, il nome potrebbe derivare dall'elevato numero di stanze caminate, cioè provviste di camino, quindi riscaldate. Oggi si svolgono ogni anno un palio rievocativo delle lotte fra le famiglie Belmonti, Malatesta e Ordelaffi, una rassegna di arti medievali (ad esempio tiro con l'arco, falconeria, scherma medievale) e la Rocca è sede dell'arrivo dell'annuale cronoscalata automobilistica Predappio-Rocca delle Caminate, valida per la Coppa Italia Montagna Nord.
Rocca delle Caminate
Strada Meldola - San Colombano
Rocca delle Camminate ROCCA DELLE CAMINATE Il castello è situato su una collina, a 356 metri di altitudine, nel comune di Meldola in Romagna: potete vivere il percorso culturale, storico e didattico composto da 23 punti informativi grazie alla facilitazione dell'app Rocca delle Caminate, compatibile con sistema IOS e Android, che potete scaricare sullo smartphone. L'app trasforma lo smartphone in una audio guida che accompagna i visitatori. Al termine dell'ultimo punto informativo è possibile vedere un video di 23 minuti che ripercorre le tappe storiche della Rocca con particolare riferimento al Novecento. Cosa successe, infatti, tra il 1924 e il 1927? La Rocca delle Caminate fu demolita e ricostruita completamente, in stile neomedievale. Rimasero, a testimonianza dell'antico fortilizio, due bastioni sfaccettati in laterizio ai lati di una piccola cortina che ancora oggi testimonia la storia e la chiara differenza. Si trova a 4 chilometri di distanza da Predappio e a 16 chilometri da Forlì. La sua fama deriva dal fatto di essere stata residenza estiva di Benito Mussolini negli anni Trenta. Sono state fatte due ipotesi sull'origine del nome dato alla Rocca. Secondo la prima, le Caminate potrebbero essere i cammini di ronda che contornavano le mura dell'antico fortilizio; secondo un'altra ipotesi, invece, il nome potrebbe derivare dall'elevato numero di stanze caminate, cioè provviste di camino, quindi riscaldate. Oggi si svolgono ogni anno un palio rievocativo delle lotte fra le famiglie Belmonti, Malatesta e Ordelaffi, una rassegna di arti medievali (ad esempio tiro con l'arco, falconeria, scherma medievale) e la Rocca è sede dell'arrivo dell'annuale cronoscalata automobilistica Predappio-Rocca delle Caminate, valida per la Coppa Italia Montagna Nord.
Bertinoro ROCCA VESCOVILE DI BERTINORO La Rocca Vescovile di Bertinoro, edificata circa alla metà del X secolo in Emilia-Romagna, a pochi chilometri da Forlimpopoli, si trova su un colle a 247 metri di altezza sul livello del mare. Mantiene ben conservata la sua originaria struttura medioevale con funzione in origine difensiva. Nella parte più antica del maniero, negli spazi delle segrete e delle cisterne, è allestito il Museo Interreligioso dedicato al dialogo tra Ebraismo, Cristianesimo e Islam. Le 15 sale del percorso offrono la possibilità di rivivere le esperienze che condussero alla nascita del monotesimo. Come Mosè, attraverso installazioni ed esperienze sensoriali, sarà possibile entrare nel Santo dei Santi e scoprire i segreti dell'Arca dell'Alleanza. Nelle suggestive sale medievali, il visitatore vedrà le originali opere d'arte delle religioni monoteistiche. Sarà possibile incontrare l'arte di grandi maestri come Rembrandt, Francesco Messina e Giacomo Manzù. La Rocca di Bertinoro dominata, tra la fine del XII e l'inizio del XIII secolo, da alcune delle più importanti famiglie ghibelline della Romagna, gli Ordelaffi, signori di Forlì e fieri oppositori alla politica espansionistica del Papato in Romagna, ospitò Dante Alighieri nei primi anni del suo esilio. E' plausibile affermare che il soggiorno di Dante nel castello fu durevole.
Rocca di Bertinoro
6 Via Aldruda Frangipane
Bertinoro ROCCA VESCOVILE DI BERTINORO La Rocca Vescovile di Bertinoro, edificata circa alla metà del X secolo in Emilia-Romagna, a pochi chilometri da Forlimpopoli, si trova su un colle a 247 metri di altezza sul livello del mare. Mantiene ben conservata la sua originaria struttura medioevale con funzione in origine difensiva. Nella parte più antica del maniero, negli spazi delle segrete e delle cisterne, è allestito il Museo Interreligioso dedicato al dialogo tra Ebraismo, Cristianesimo e Islam. Le 15 sale del percorso offrono la possibilità di rivivere le esperienze che condussero alla nascita del monotesimo. Come Mosè, attraverso installazioni ed esperienze sensoriali, sarà possibile entrare nel Santo dei Santi e scoprire i segreti dell'Arca dell'Alleanza. Nelle suggestive sale medievali, il visitatore vedrà le originali opere d'arte delle religioni monoteistiche. Sarà possibile incontrare l'arte di grandi maestri come Rembrandt, Francesco Messina e Giacomo Manzù. La Rocca di Bertinoro dominata, tra la fine del XII e l'inizio del XIII secolo, da alcune delle più importanti famiglie ghibelline della Romagna, gli Ordelaffi, signori di Forlì e fieri oppositori alla politica espansionistica del Papato in Romagna, ospitò Dante Alighieri nei primi anni del suo esilio. E' plausibile affermare che il soggiorno di Dante nel castello fu durevole.
Meldola ROCCA DI MELDOLA La rocca su uno sperone di roccia che sovrasta Meldola a pochi chilometri da Forlì - probabilmente databile al X-XI secolo - si presenta ad iniziare da via alla Rocca con una rampa di accesso a gradoni larghi e bassi. Lungo il lato sud est si sviluppano in successione il cortile dei cipressi, la torre campanaria decorata da merli e beccatelli, la torre del mastio e il piccolo torrione adiacente. Nel 1995 il Comune di Meldola ha dato inizio ai lavori di recupero dell’intero complesso architettonico, ad oggi in restauro.
Rocca di Meldola
31 Via della Rocca
Meldola ROCCA DI MELDOLA La rocca su uno sperone di roccia che sovrasta Meldola a pochi chilometri da Forlì - probabilmente databile al X-XI secolo - si presenta ad iniziare da via alla Rocca con una rampa di accesso a gradoni larghi e bassi. Lungo il lato sud est si sviluppano in successione il cortile dei cipressi, la torre campanaria decorata da merli e beccatelli, la torre del mastio e il piccolo torrione adiacente. Nel 1995 il Comune di Meldola ha dato inizio ai lavori di recupero dell’intero complesso architettonico, ad oggi in restauro.
Predappio Alta Epoca: 1283. Conservazione: in parte ristrutturato Come arrivarci: la rocca sorge a 247 mt. sul livello del mare su di una roccia detta puddinga (conglomerato naturale di ciottoli e cemento siliceo calcareo), sulle prime colline Forlivesi. Da Forlì, sulla via Emilia, occorre risalire la vallata del Rabbi con direzione Predappio. Giunti alla cittadina (l'antica Dovia, borgo ampliato e ribattezzato Predappio ai tempi di Mussolini), occorre prendere deviazione di circa 3 Km sulla destra segnalata per "Predappio alta", l'antico borgo che arroccato attorno al suo antico castello fu fino al 1927 anche sede comunale. Gli storici locali fanno risalire l'impianto del castello al 1283 ad opera di Giovanni d'Eppè o d'Appia, consigliere e comandante delle truppe del papa Martino IV inviate in Romagna per riconquistare le terre cadute sotto la dominazione ghibellina della famiglia forlivese degli Ordelaffi. Della spedizione fa cenno anche Dante nel XXVI canto dell'Inferno: «la terra che fe' già la lunga prova e di Franceschi sanguinoso mucchio», e fu proprio a seguito di questa sconfitta che Giovanni d'Eppè si ritirò sul colle di Predappio e vi fece costruire il castello sulla sommità di una roccia. Da qui deriverebbe anche il nome stesso di Predappio, da "prè" (in dialetto romagnolo pietra) d'Appia. La successiva storia del castello si identifica con le lotte feduali ed in particolare fra le famiglie dei Calboli e degli Ordelaffi di Forlì, tanto che nel 1289 risulta sotto il dominio dei Calboli del partito Guelfo, ma pochi anni dopo sono i Ghibellini Ordelaffi a controllarla. Riconquistata al controllo della chiesa nel 1359 dal cardinale Albornoz, nel 1371 fu così descritta dal Cardinal Anglico nella Descriptio romandiole: «Castrum Petre Apli si trova in un fossato al di sopra di un sasso fortissimo, è confinante con le Caminate, rocca d'Elmici e di San Casciano» (secondo una leggenda usuale per queste rocche, tramandata di padre in figlio ma non supportata da ritrovamenti, il castello era collegato tramite gallerie sotterranee con le vicine rocche). Donata da Francesco de Calboli a Firenze nel 1382 e in questa epoca eretta a comune, la ritroviamo nel 1434 nuovamente in possesso degli Ordelaffi che apportano pesanti modifiche alla struttura originaria onde metterla in grado di far fronte ai nuovi cirteri bellici. Di fatto però la rocca non fu mai direttamente al centro delle lotte, ma seguì le sorti dei castelli limitrofi nelle lotte delle famiglie che combattevano per il predominio dei territori del Forlivese e della Romagna. Tornata in possesso dello stato della Chiesa nel 1504, sembra per il tradimento del castellano, vi restò, a parte il breve dominio Napoleonico, fino all'unità d'Italia. Giunti all'abitato si attraversa la pittoresca piazza Cavour sulla quale si affacciano due chiese, attraversata la "portaccia" si accede al borgo fortificato. Una ripida strada acciottolata via Umberto I in circa cento metri ci porta ai piedi dell'imponente muro esterno della rocca. Subito si nota un torrione circolare e sul muro in posizione elevata una antica porta oggi inaccessibile ed inutilizzata. Aggirato il torrione siamo alla piccola porta d'ingresso, un tempo quasi sicuramente sopravanzata da un ponte levatoio. Tramite una lunga e ripida scala (interamente rifatta) si accede all'interno del fortilizio uscendo in un piccolissimo giardinetto con balconcino panoramico rivolto verso valle. Sul giardino si affaccia un locale recentemente ristrutturato ed utilizzato come centro degustazione dei vini prodotti dalle aziende locali. Dal giardinetto interno si può ben notare come il fortilizio sia interamente integrato con la roccia sottostante che in diversi punti si sostituisce alla costruzione. Siamo nella parte sommitale del castello; i locali sottostanti, privi di finestre come è facile rilevare anche osservando il castello dall'esterno, non sono né visibili né accessibili. Si prosegue sempre all'esterno percorrendo una serie di scalette in legno e superando un triplice terrazzamento fino a giungere, nei pressi del primo torrione, al camminamento di ronda messo in sicurezza con una moderna cancellata in ferro. Il coronamento della cinta muraria e dei torrioni risulta piano, si nota la totale assenza di merlatura, anche se in antichi disegni il castello era riprodotto con merlatura ghibellina (a coda di rondine). Proseguendo sul camminamento si giunge al secondo torrione sul quale è stato ricavato un terrazzo panoramico dal quale si domina piazza Cavour. Al centro del castello si nota la parte apicale dell'imponente masso di puddinga sul quale poggia l'intera struttura, circondato da alti cipressi. La pianta del castello, pur se irregolare, può considerarsi quadrilatera, con il lato rivolto verso monte terminato alle due estremità da due torrioni dal diametro di circa 7 metri.
Rocca di Predappio
21 Via Umberto I
Predappio Alta Epoca: 1283. Conservazione: in parte ristrutturato Come arrivarci: la rocca sorge a 247 mt. sul livello del mare su di una roccia detta puddinga (conglomerato naturale di ciottoli e cemento siliceo calcareo), sulle prime colline Forlivesi. Da Forlì, sulla via Emilia, occorre risalire la vallata del Rabbi con direzione Predappio. Giunti alla cittadina (l'antica Dovia, borgo ampliato e ribattezzato Predappio ai tempi di Mussolini), occorre prendere deviazione di circa 3 Km sulla destra segnalata per "Predappio alta", l'antico borgo che arroccato attorno al suo antico castello fu fino al 1927 anche sede comunale. Gli storici locali fanno risalire l'impianto del castello al 1283 ad opera di Giovanni d'Eppè o d'Appia, consigliere e comandante delle truppe del papa Martino IV inviate in Romagna per riconquistare le terre cadute sotto la dominazione ghibellina della famiglia forlivese degli Ordelaffi. Della spedizione fa cenno anche Dante nel XXVI canto dell'Inferno: «la terra che fe' già la lunga prova e di Franceschi sanguinoso mucchio», e fu proprio a seguito di questa sconfitta che Giovanni d'Eppè si ritirò sul colle di Predappio e vi fece costruire il castello sulla sommità di una roccia. Da qui deriverebbe anche il nome stesso di Predappio, da "prè" (in dialetto romagnolo pietra) d'Appia. La successiva storia del castello si identifica con le lotte feduali ed in particolare fra le famiglie dei Calboli e degli Ordelaffi di Forlì, tanto che nel 1289 risulta sotto il dominio dei Calboli del partito Guelfo, ma pochi anni dopo sono i Ghibellini Ordelaffi a controllarla. Riconquistata al controllo della chiesa nel 1359 dal cardinale Albornoz, nel 1371 fu così descritta dal Cardinal Anglico nella Descriptio romandiole: «Castrum Petre Apli si trova in un fossato al di sopra di un sasso fortissimo, è confinante con le Caminate, rocca d'Elmici e di San Casciano» (secondo una leggenda usuale per queste rocche, tramandata di padre in figlio ma non supportata da ritrovamenti, il castello era collegato tramite gallerie sotterranee con le vicine rocche). Donata da Francesco de Calboli a Firenze nel 1382 e in questa epoca eretta a comune, la ritroviamo nel 1434 nuovamente in possesso degli Ordelaffi che apportano pesanti modifiche alla struttura originaria onde metterla in grado di far fronte ai nuovi cirteri bellici. Di fatto però la rocca non fu mai direttamente al centro delle lotte, ma seguì le sorti dei castelli limitrofi nelle lotte delle famiglie che combattevano per il predominio dei territori del Forlivese e della Romagna. Tornata in possesso dello stato della Chiesa nel 1504, sembra per il tradimento del castellano, vi restò, a parte il breve dominio Napoleonico, fino all'unità d'Italia. Giunti all'abitato si attraversa la pittoresca piazza Cavour sulla quale si affacciano due chiese, attraversata la "portaccia" si accede al borgo fortificato. Una ripida strada acciottolata via Umberto I in circa cento metri ci porta ai piedi dell'imponente muro esterno della rocca. Subito si nota un torrione circolare e sul muro in posizione elevata una antica porta oggi inaccessibile ed inutilizzata. Aggirato il torrione siamo alla piccola porta d'ingresso, un tempo quasi sicuramente sopravanzata da un ponte levatoio. Tramite una lunga e ripida scala (interamente rifatta) si accede all'interno del fortilizio uscendo in un piccolissimo giardinetto con balconcino panoramico rivolto verso valle. Sul giardino si affaccia un locale recentemente ristrutturato ed utilizzato come centro degustazione dei vini prodotti dalle aziende locali. Dal giardinetto interno si può ben notare come il fortilizio sia interamente integrato con la roccia sottostante che in diversi punti si sostituisce alla costruzione. Siamo nella parte sommitale del castello; i locali sottostanti, privi di finestre come è facile rilevare anche osservando il castello dall'esterno, non sono né visibili né accessibili. Si prosegue sempre all'esterno percorrendo una serie di scalette in legno e superando un triplice terrazzamento fino a giungere, nei pressi del primo torrione, al camminamento di ronda messo in sicurezza con una moderna cancellata in ferro. Il coronamento della cinta muraria e dei torrioni risulta piano, si nota la totale assenza di merlatura, anche se in antichi disegni il castello era riprodotto con merlatura ghibellina (a coda di rondine). Proseguendo sul camminamento si giunge al secondo torrione sul quale è stato ricavato un terrazzo panoramico dal quale si domina piazza Cavour. Al centro del castello si nota la parte apicale dell'imponente masso di puddinga sul quale poggia l'intera struttura, circondato da alti cipressi. La pianta del castello, pur se irregolare, può considerarsi quadrilatera, con il lato rivolto verso monte terminato alle due estremità da due torrioni dal diametro di circa 7 metri.
Forlì La rocca rappresentò per tutto il Medioevo uno dei luoghi deputati alla difesa della città. Nel XV secolo fu costruito il complesso fortificato, tuttora visibile, per volere dapprima di Pino III Ordelaffi, che ne affidò il progetto all'architetto Giorgio Marchesi Fiorentino, e successivamente, di Girolamo Riario che fece costruire la Cittadella e poi, sui due lati esterni, il Rivellino di Cotogni (con avanzi ancora visibili) e il Rivellino di Cesena. Nel secolo scorso, all'interno della Cittadella venne costruito l'attuale carcere. La Rocca è stata restaurata negli anni Sessanta del Novecento; in questa occasione sono state ricostruite le coperture di due torrioni e del maschio. Quest'ultimo, che si erge al centro della cortina est, è costituito da tre sale sovrapposte; in quella superiore si trova la bocca di un pozzo a rasoio, che scende fino al livello del cortile interno. Nel maschio si trova anche una singolare scala a chiocciola in pietra, senza perno centrale, i cui 67 scalini si sostengono per sovrapposizione (non accessibile al pubblico). Resti della Rocca trecentesca e delle mura del Quattrocento sono visibili nel giardino. La Rocca, attualmente in fase di recupero, è visibile dal giardino esterno
Rocca di Ravaldino
1 Via Giovanni dalle Bande Nere
Forlì La rocca rappresentò per tutto il Medioevo uno dei luoghi deputati alla difesa della città. Nel XV secolo fu costruito il complesso fortificato, tuttora visibile, per volere dapprima di Pino III Ordelaffi, che ne affidò il progetto all'architetto Giorgio Marchesi Fiorentino, e successivamente, di Girolamo Riario che fece costruire la Cittadella e poi, sui due lati esterni, il Rivellino di Cotogni (con avanzi ancora visibili) e il Rivellino di Cesena. Nel secolo scorso, all'interno della Cittadella venne costruito l'attuale carcere. La Rocca è stata restaurata negli anni Sessanta del Novecento; in questa occasione sono state ricostruite le coperture di due torrioni e del maschio. Quest'ultimo, che si erge al centro della cortina est, è costituito da tre sale sovrapposte; in quella superiore si trova la bocca di un pozzo a rasoio, che scende fino al livello del cortile interno. Nel maschio si trova anche una singolare scala a chiocciola in pietra, senza perno centrale, i cui 67 scalini si sostengono per sovrapposizione (non accessibile al pubblico). Resti della Rocca trecentesca e delle mura del Quattrocento sono visibili nel giardino. La Rocca, attualmente in fase di recupero, è visibile dal giardino esterno
Cesena ROCCA MALATESTIANA La Rocca Malatestiana di Cesena è una delle più imponenti dell'Emilia Romagna. Si trova nel cuore della città sulla sommità del Colle Garampo, circondata dal Parco della Rimembranza. E' possibile visitare gli spalti e godere del panorama, la cui vista conduce lo sguardo fino al mare, scoprire i suggestivi camminamenti interni e i due torrioni centrali di cui uno custode del Museo di Civiltà Contadina. La Rocca di Cesena dalla mole maestosa è anche un magico luogo da vivere: la bella corte interna offre spazi adatti a godere della tranquillità della fortezza, degustando una piadina o un buon bicchiere di vino Sangiovese nel punto ristoro presente.
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Rocca Malatestiana
8 Via Cia degli Ordelaffi
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Cesena ROCCA MALATESTIANA La Rocca Malatestiana di Cesena è una delle più imponenti dell'Emilia Romagna. Si trova nel cuore della città sulla sommità del Colle Garampo, circondata dal Parco della Rimembranza. E' possibile visitare gli spalti e godere del panorama, la cui vista conduce lo sguardo fino al mare, scoprire i suggestivi camminamenti interni e i due torrioni centrali di cui uno custode del Museo di Civiltà Contadina. La Rocca di Cesena dalla mole maestosa è anche un magico luogo da vivere: la bella corte interna offre spazi adatti a godere della tranquillità della fortezza, degustando una piadina o un buon bicchiere di vino Sangiovese nel punto ristoro presente.

Castelli e Rocche provincia di Ravenna

Fabriago frazione di Lugo Castello di fondazione medievale con ristruttrazioni risalenti al XIX secolo, di 3000 mq, suddiviso in 3 livelli con parco di mq 7000. Il castello è appartenuto alla famiglia Estense, è situato nel Ducato di Fabriago frazione di Lugo di Romagna a circa 30 minuti dal mare. Le stanze del castello sono perlopiù affrescate, in molti casi i soffitti sono lignei intarsiati così come anche i pavimenti di rovere antico. All'interno vi sono ancora molte porte e finestre originali. Il fulcro del castello risulta essere il grande salone a tutta altezza con matroneo di affaccio, finestre a sesto acuto e soffitto voltato affrescato. Il grande parco verde avvolge tutto il castello.
Castello del Ducato di Fabriago
8 Via del Castello
Fabriago frazione di Lugo Castello di fondazione medievale con ristruttrazioni risalenti al XIX secolo, di 3000 mq, suddiviso in 3 livelli con parco di mq 7000. Il castello è appartenuto alla famiglia Estense, è situato nel Ducato di Fabriago frazione di Lugo di Romagna a circa 30 minuti dal mare. Le stanze del castello sono perlopiù affrescate, in molti casi i soffitti sono lignei intarsiati così come anche i pavimenti di rovere antico. All'interno vi sono ancora molte porte e finestre originali. Il fulcro del castello risulta essere il grande salone a tutta altezza con matroneo di affaccio, finestre a sesto acuto e soffitto voltato affrescato. Il grande parco verde avvolge tutto il castello.
Casino delle Galvane a Conselice L'allargamento del canale Fossatone e il rialzo della via Predola premono oggi al fianco di questa che è la più antica costruzione della zona del Bonacquisto, ad occidente della provinciale Bastia; essa sorse nel XVII secolo in un ambiente dai connotati in gran parte vallivi. La tenuta fu di proprietà della famiglia Galvani (altro casato bolognese che, come i Bentivoglio e i Marconi, estese i suoi interessi al territorio della Bassa Romagna) fino al 1699, anno della vendita ai Dal Buono di Lugo, i quali ne curarono l'appoderamento e la dotazione di fabbricati colonici e servizi; la casa padronale era infatti l'unico edificio in muratura, mentre i lavoranti abitavano in capanni di canne. Oltre alla dimora delle Galvane, dotata – come afferma Angelo Francesco Babini – «di un piccolo porto e di una chiesa che sorgeva ove ora passa il Fissatone», i nuovi proprietari eressero un secondo edificio, chiamato «Ca' nova» o palazzo Dal Buono, all'estremità della carraia che dava accesso alla tenuta da via Bastia e che tuttora porta il loro nome (edificio oggi frazionato e molto alterato).
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Conselice
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Casino delle Galvane a Conselice L'allargamento del canale Fossatone e il rialzo della via Predola premono oggi al fianco di questa che è la più antica costruzione della zona del Bonacquisto, ad occidente della provinciale Bastia; essa sorse nel XVII secolo in un ambiente dai connotati in gran parte vallivi. La tenuta fu di proprietà della famiglia Galvani (altro casato bolognese che, come i Bentivoglio e i Marconi, estese i suoi interessi al territorio della Bassa Romagna) fino al 1699, anno della vendita ai Dal Buono di Lugo, i quali ne curarono l'appoderamento e la dotazione di fabbricati colonici e servizi; la casa padronale era infatti l'unico edificio in muratura, mentre i lavoranti abitavano in capanni di canne. Oltre alla dimora delle Galvane, dotata – come afferma Angelo Francesco Babini – «di un piccolo porto e di una chiesa che sorgeva ove ora passa il Fissatone», i nuovi proprietari eressero un secondo edificio, chiamato «Ca' nova» o palazzo Dal Buono, all'estremità della carraia che dava accesso alla tenuta da via Bastia e che tuttora porta il loro nome (edificio oggi frazionato e molto alterato).
Castello dei Conti a Castiglione di Ravenna Costruito da mastro Giovanni di Jacopo da Canobio tra 1560 e il 1565, su commissione di Pietro Grossi, nominato conte dall'imperatore Federico III e conestabile delle milizie di papa Giulio III, il castello pare sorgesse sull'impianto di un precedente edificio fortificato fatto erigere da Battista Grossi nel 1461, per concessione del vescovo di Cervia, sulle terre confiscate dai veneziani ai da Polenta e concesse al capitano di ventura Pietro Grossi - capostipite della famiglia Grossi in terra ravennate - e comprese tra l'attuale frazione di Castiglione di Ravenna e l'abitato di Savio. Con l'estinzione della famiglia Grossi, il castello passò di proprietà in proprietà e fu adibito anche ad usi non abitativi. Nel 1830 venne acquistato dai conti Rasponi e, alla morte del conte Cesare Rasponi Bonanzi, il castello fu acquistato da una cooperativa agricola che lo tenne fino all'inizio del '900 quando fu acquistato da fratelli Sama che vi trasferirono la loro azienda di tabacco. Dopo la seconda guerra mondiale fu acquistato, prima dalla cooperativa coltivatori diretti di Castiglione, poi dal CEM (Consorzio Esercizio Macchine) e, da ultimo, dal Comune di Ravenna che ne è tuttora il proprietario. Nel libro Viaggio fra le rocche e i castelli della provincia di Ravenna, curato da Giordana Trovabene e pubblicato dalla Provincia di Ravenna, il castello viene così descritto: "realizzato interamente in laterizio; ha pianta quadrata con lato di 28,50 metri, orientata con le fronti principali verso sud-est e nord-ovest e munita agli angoli da torri sporgenti pure quadrate. […] I successivi due piani, delimitati da un marcapiano, sono coronati da un apparato a sporgere con beccatelli sormontati da archetti, sui quali poggia la fascia sottotetto caratterizzata dalla presenza di oculi. […] Sopra i due ingressi principali si notano ancora tracce delle scanalature di scorrimento dei bolzoni, evidenti testimoni dell'esistenza in origine di due ponti levatoi e, quindi, di un fossato che doveva circondare l'edificio. All'interno si succedono un piano seminterrato con le cantine coperte da volte ribassate; seguono due piani caratterizzati da un ampio corridoio centrale passante da una fronte principale all'altra lungo la quale si dispongono le sale, ed infine il piano sottotetto". Oggi, dopo diversi interventi di restauro (l'ultimo al tetto risale al 1996), l'edificio si presenta all'esterno in condizioni quasi intatte, ma all'interno, per colpa di spregiudicati quanto futili utilizzi alternati a lunghi periodi di abbandono, la situazione si sta progressivamente deteriorando.
Palazzo Grossi
39 Via G. Zignani
Castello dei Conti a Castiglione di Ravenna Costruito da mastro Giovanni di Jacopo da Canobio tra 1560 e il 1565, su commissione di Pietro Grossi, nominato conte dall'imperatore Federico III e conestabile delle milizie di papa Giulio III, il castello pare sorgesse sull'impianto di un precedente edificio fortificato fatto erigere da Battista Grossi nel 1461, per concessione del vescovo di Cervia, sulle terre confiscate dai veneziani ai da Polenta e concesse al capitano di ventura Pietro Grossi - capostipite della famiglia Grossi in terra ravennate - e comprese tra l'attuale frazione di Castiglione di Ravenna e l'abitato di Savio. Con l'estinzione della famiglia Grossi, il castello passò di proprietà in proprietà e fu adibito anche ad usi non abitativi. Nel 1830 venne acquistato dai conti Rasponi e, alla morte del conte Cesare Rasponi Bonanzi, il castello fu acquistato da una cooperativa agricola che lo tenne fino all'inizio del '900 quando fu acquistato da fratelli Sama che vi trasferirono la loro azienda di tabacco. Dopo la seconda guerra mondiale fu acquistato, prima dalla cooperativa coltivatori diretti di Castiglione, poi dal CEM (Consorzio Esercizio Macchine) e, da ultimo, dal Comune di Ravenna che ne è tuttora il proprietario. Nel libro Viaggio fra le rocche e i castelli della provincia di Ravenna, curato da Giordana Trovabene e pubblicato dalla Provincia di Ravenna, il castello viene così descritto: "realizzato interamente in laterizio; ha pianta quadrata con lato di 28,50 metri, orientata con le fronti principali verso sud-est e nord-ovest e munita agli angoli da torri sporgenti pure quadrate. […] I successivi due piani, delimitati da un marcapiano, sono coronati da un apparato a sporgere con beccatelli sormontati da archetti, sui quali poggia la fascia sottotetto caratterizzata dalla presenza di oculi. […] Sopra i due ingressi principali si notano ancora tracce delle scanalature di scorrimento dei bolzoni, evidenti testimoni dell'esistenza in origine di due ponti levatoi e, quindi, di un fossato che doveva circondare l'edificio. All'interno si succedono un piano seminterrato con le cantine coperte da volte ribassate; seguono due piani caratterizzati da un ampio corridoio centrale passante da una fronte principale all'altra lungo la quale si dispongono le sale, ed infine il piano sottotetto". Oggi, dopo diversi interventi di restauro (l'ultimo al tetto risale al 1996), l'edificio si presenta all'esterno in condizioni quasi intatte, ma all'interno, per colpa di spregiudicati quanto futili utilizzi alternati a lunghi periodi di abbandono, la situazione si sta progressivamente deteriorando.
Cotignola frazione di Ravenna Il Palazzo Sforza (Casa Attendoli) si trova poco distante [dalla Torre d'Acuto], lungo l'omonimo corso che diparte dalla piazza centrale di Cotignola: distrutto anch'esso dalla guerra, fu ricostruito nel 1961 rispettando lo stile originale. Si una certa importanza al suo interno la stele funeraria romana (di Caio Vario), ritrovamento archeologico del 1817. Di fronte al Palazzo Sforza si trova Casa Varoli (ex stalla Sforza), l'abitazione di Luigi Varoli, insigne artiste della città, che contiene alcuni oggetti personali, oltre che disegni e strumenti musicali. Sempre lungo Corso Sforza si trova la piccola ma graziosa Chiesa del Pio Suffragio. Altri monumenti da visitare in periferia sono il convento dei Minori Osservanti del XV secolo con la chiesa di S. Francesco, mentre nelle frazioni sono meritevoli di visita la Pieve di Barbiano e la Chiesa di San Severo, che si trova sulla riva destra del Senio, oltrepassando il ponte della Chiusaccia. Per chi ha un attimo di tempo e vuole rilassarsi consigliamo anche una visita al parco Sandro Pertini.
Palazzo Sforza
21 Corso Sforza
Cotignola frazione di Ravenna Il Palazzo Sforza (Casa Attendoli) si trova poco distante [dalla Torre d'Acuto], lungo l'omonimo corso che diparte dalla piazza centrale di Cotignola: distrutto anch'esso dalla guerra, fu ricostruito nel 1961 rispettando lo stile originale. Si una certa importanza al suo interno la stele funeraria romana (di Caio Vario), ritrovamento archeologico del 1817. Di fronte al Palazzo Sforza si trova Casa Varoli (ex stalla Sforza), l'abitazione di Luigi Varoli, insigne artiste della città, che contiene alcuni oggetti personali, oltre che disegni e strumenti musicali. Sempre lungo Corso Sforza si trova la piccola ma graziosa Chiesa del Pio Suffragio. Altri monumenti da visitare in periferia sono il convento dei Minori Osservanti del XV secolo con la chiesa di S. Francesco, mentre nelle frazioni sono meritevoli di visita la Pieve di Barbiano e la Chiesa di San Severo, che si trova sulla riva destra del Senio, oltrepassando il ponte della Chiusaccia. Per chi ha un attimo di tempo e vuole rilassarsi consigliamo anche una visita al parco Sandro Pertini.
Ravenna Quando la Serenissima conquistò Ravenna, spodestando l'ultimo dei Da Polenta (1441), si preoccupò subito di costruire valide fortificazioni per ridare agli abitanti sicurezza e fiducia nel nuovo governo. In questo quadro, i Veneziani pensarono anche ad una fortezza. Iniziò così, nel 1457, la costruzione della possente Rocca Brancaleone, la cui struttura era parte integrante della cinta muraria di Ravenna. La costruzione fu completata nel 1470. L’edificio è costituito di due parti: la rocca in senso stretto e la cittadella. La prima è formata da un ampio quadrilatero di 2180 metri quadrati di superficie, con quattro imponenti torrioni circolari agli angoli, uniti da cortine murarie. La cittadella, invece, occupa un'area di 14.000 metri quadrati ed è circondata da mura, con porta fortificata, due torrioni circolari ai due angoli e due semicircolari lungo la cortina muraria. All’interno della costruzione è stato recentemente realizzato un bel parco - il cosiddetto Giardino della Rocca - che ospita alberi di grandi dimensioni: ad esempio, presso il torrione della Ghiacciaia cresce e fa bella mostra di sé una grande quercia abbarbicata alle mura.
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Rocca Brancaleone
35 Via Rocca Brancaleone
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Ravenna Quando la Serenissima conquistò Ravenna, spodestando l'ultimo dei Da Polenta (1441), si preoccupò subito di costruire valide fortificazioni per ridare agli abitanti sicurezza e fiducia nel nuovo governo. In questo quadro, i Veneziani pensarono anche ad una fortezza. Iniziò così, nel 1457, la costruzione della possente Rocca Brancaleone, la cui struttura era parte integrante della cinta muraria di Ravenna. La costruzione fu completata nel 1470. L’edificio è costituito di due parti: la rocca in senso stretto e la cittadella. La prima è formata da un ampio quadrilatero di 2180 metri quadrati di superficie, con quattro imponenti torrioni circolari agli angoli, uniti da cortine murarie. La cittadella, invece, occupa un'area di 14.000 metri quadrati ed è circondata da mura, con porta fortificata, due torrioni circolari ai due angoli e due semicircolari lungo la cortina muraria. All’interno della costruzione è stato recentemente realizzato un bel parco - il cosiddetto Giardino della Rocca - che ospita alberi di grandi dimensioni: ad esempio, presso il torrione della Ghiacciaia cresce e fa bella mostra di sé una grande quercia abbarbicata alle mura.
Brisighella La rocca, posta su uno scoglio di selenite che domina il paese di Brisighella, risulta tutt'oggi un ottimo punto di osservazione su tutta la valle e sul sottostante centro abitato. Vi si accede percorrendo un breve stradello che costeggiando le alte mura conduce al portone di ingresso rivolto verso un giardinetto a picco sul paese, dal quale si può ben vedere l'antistante torre dell'Orologio, altro simbolo di Brisighella, edificata su uno dei tre colli selenitici che sovrastano il paese. Superato l'angusto ingresso ci si trova in una saletta di passaggio dalla quale si può accedere al vasto cortile interno, oppure entrando in una ulteriore porticina sulla destra si può visitare il "Torricino". Al piano terreno gli accessi alle prigioni e al pozzo a rasoio (entrambi non visitabili), si segue quindi una angusta scala a chiocciola sulla quale si affacciano piccolissime stanze prive di finestre utilizzate come dormitorio per i militari a presidio della fortezza. Al culmine della scala un'ampia e circolare stanza utilizzata come posto di guardia. Il Torricino costituisce la parte più antica del castello edificato nei primi anni del 1300 dai Manfredi, e all'epoca era l'unica torre esistente. Da questa si può accedere al camminamento di ronda, recentemente attrezzato e "messo in sicurezza", con la possibilità quindi di percorrere l'intero perimetro della mura, oppure tramite un ponte interno si può raggiungere la Torre dei Veneziani, così chiamata perché edificata nel secolo XVI durante la dominazione della Repubblica di Venezia. Anche questa torre è caratterizzata da una lunga scala a chiocciola, più angusta della precedente, sulla quale si affacciano piccole stanze buie. La torre è suddivisa in sei vani sovrastanti di cui i primi due adibiti a raccolta delle acque e sala delle torture, i successivi tre ad uso abitativo del castellano, e l'ultimo a punto di osservazione dal quale si può ben controllare l'intero territorio circostante al castello e, tramite feritorie sul pavimento, anche le zone attigue alle mura. Ridiscesi nell'ampio cortile interno, un tempo utilizzato durante le invasioni per raccogliere l'intera popolazione, la visita ha termine con l'accesso ai cunicoli sotterranei un tempo destinati allo stoccaggio di derrate alimentari e delle armi. La prima roccaforte fu costruita nel 1310 per volere di Francesco Manfredi signore di Faenza. Conquistata dallo Stato della Chiesa che ne detenne il potere dal 1368 al 1376, ritornò successivamente sotto il controllo dei Manfredi quasi ininterrottamente per l'intero corso dei secoli XIV e XV. In questo lungo periodo fu soggetta ad ampliamenti e ammodernamenti a cura di Galeazzo Manfredi nel 1394 e di Astorgio II nel 1457 e 1466. Conquistata da Cesare Borgia (il Valentino) nel 1500, alla sua caduta, avvenuta nel 1503, fu conquistata dai Veneziani. All'epoca la rocca possedeva solo la torre minore (detta il Torricino): è sotto il dominio della Serenissima che essa viene ulteriormente ampliata e dotata dell'imponente torrione circolare. Riconquistata dalle truppe papaline nel 1509, a parte la breve parentesi napoleonica restò sotto il controllo della Chiesa fino al 1860, anno dell'annessione al Regno d'Italia.
Roca de Brisighella
64 Via Rontana
Brisighella La rocca, posta su uno scoglio di selenite che domina il paese di Brisighella, risulta tutt'oggi un ottimo punto di osservazione su tutta la valle e sul sottostante centro abitato. Vi si accede percorrendo un breve stradello che costeggiando le alte mura conduce al portone di ingresso rivolto verso un giardinetto a picco sul paese, dal quale si può ben vedere l'antistante torre dell'Orologio, altro simbolo di Brisighella, edificata su uno dei tre colli selenitici che sovrastano il paese. Superato l'angusto ingresso ci si trova in una saletta di passaggio dalla quale si può accedere al vasto cortile interno, oppure entrando in una ulteriore porticina sulla destra si può visitare il "Torricino". Al piano terreno gli accessi alle prigioni e al pozzo a rasoio (entrambi non visitabili), si segue quindi una angusta scala a chiocciola sulla quale si affacciano piccolissime stanze prive di finestre utilizzate come dormitorio per i militari a presidio della fortezza. Al culmine della scala un'ampia e circolare stanza utilizzata come posto di guardia. Il Torricino costituisce la parte più antica del castello edificato nei primi anni del 1300 dai Manfredi, e all'epoca era l'unica torre esistente. Da questa si può accedere al camminamento di ronda, recentemente attrezzato e "messo in sicurezza", con la possibilità quindi di percorrere l'intero perimetro della mura, oppure tramite un ponte interno si può raggiungere la Torre dei Veneziani, così chiamata perché edificata nel secolo XVI durante la dominazione della Repubblica di Venezia. Anche questa torre è caratterizzata da una lunga scala a chiocciola, più angusta della precedente, sulla quale si affacciano piccole stanze buie. La torre è suddivisa in sei vani sovrastanti di cui i primi due adibiti a raccolta delle acque e sala delle torture, i successivi tre ad uso abitativo del castellano, e l'ultimo a punto di osservazione dal quale si può ben controllare l'intero territorio circostante al castello e, tramite feritorie sul pavimento, anche le zone attigue alle mura. Ridiscesi nell'ampio cortile interno, un tempo utilizzato durante le invasioni per raccogliere l'intera popolazione, la visita ha termine con l'accesso ai cunicoli sotterranei un tempo destinati allo stoccaggio di derrate alimentari e delle armi. La prima roccaforte fu costruita nel 1310 per volere di Francesco Manfredi signore di Faenza. Conquistata dallo Stato della Chiesa che ne detenne il potere dal 1368 al 1376, ritornò successivamente sotto il controllo dei Manfredi quasi ininterrottamente per l'intero corso dei secoli XIV e XV. In questo lungo periodo fu soggetta ad ampliamenti e ammodernamenti a cura di Galeazzo Manfredi nel 1394 e di Astorgio II nel 1457 e 1466. Conquistata da Cesare Borgia (il Valentino) nel 1500, alla sua caduta, avvenuta nel 1503, fu conquistata dai Veneziani. All'epoca la rocca possedeva solo la torre minore (detta il Torricino): è sotto il dominio della Serenissima che essa viene ulteriormente ampliata e dotata dell'imponente torrione circolare. Riconquistata dalle truppe papaline nel 1509, a parte la breve parentesi napoleonica restò sotto il controllo della Chiesa fino al 1860, anno dell'annessione al Regno d'Italia.
Riolo Terme La rocca, situata al centro del paese e quindi facilmente reperibile, è a pianta quadrangolare con tre torrioni tondi ed il mastio a pianta quadrata alto 22 metri. Circondata da un fossato scavato attorno al 1450 che costituiva la prima difesa del castello, appartiene alla tipologia dei fortilizi della transizione, nei quali si ritrovano assieme elementi architettonici medievali e rinascimentali. Chiaro esempio di fortificazione militare adattata alle esigenze collegate con l'avvento delle artiglierie da fuoco, risultano ancora ben visibili le caditoie per il tiro piombante e le camere di manovra per le bombarde. La merlatura a coda di rondine identifica chiaramente che la rocca era di parte ghibellina. Si sviluppa su quattro livelli, un piano interrato, un piano a livello della corte, uno all'altezza dei merli e un sottotetto. Visitabile dietro pagamento di un modesto biglietto di ingresso, vi si accede transitando su un ponte (un tempo levatoio, ora fisso) posto nei pressi del torrione contrapposto al mastio. Dalla piccola corte interna si ha accesso alle rondelle, all'interno delle quali sono stati approntati percorsi informativi sulle armi medievali, sulle tecniche costruttive dell'epoca, ed infine nel mastio un museo multimediale sul paesaggio dell'Appennino faentino. La stanza più alta del mastio è circondata da un cammino di ronda che consentiva il controllo di tutto il territorio circostante. Lungo questo camminamento è possibile notare le caditoie utilizzate a scopo di difesa/attacco per far cadere sui nemici frecce, acqua o pece bollente. Lungo l'intero perimetro erano posizionate le bombarde che sfruttando l'altezza della costruzione erano in grado di sparare a lunga distanza. La costruzione del primo nucleo, il mastio, si fa risalire al 1388 ad opera dei Bolognesi che nell'intento di rafforzare la difesa del proprio dominio decisero di ampliare un preesistente torrione. La nuova rocca capace di ospitare 300 soldati fu ultimata quattro anni più tardi e fu il volano per lo sviluppo del circostante nucleo abitato. Diverse nobili famiglie si sono succedute alla guida della Rocca, da un'iscrizione in loco rileviamo: 1400 Comune di Bologna; 1401 Giovanni I Bentivoglio; 28 giugno 1402 Visconti; gennaio 1403 card. Baldassare Cossa; marzo 1403 Alberico da Barbiano; 1412 Ludovico Alidosi; 1424 Visconti; 1426 Stato della Chiesa; 1435 Manfredi; 12 marzo 1468 Carlo II Manfredi; 2 aprile 1468 Taddeo Manfredi; 26 giugno 1468 Carlo II Manfredi (è di questo periodo una profonda ristrutturazione della rocca, con abbassamento della torre e rifasciamento dei muri esterni per far fronte alle artiglierie da fuoco. Sempre in questi anni fu costruito il grosso torrione circolare a est e il collegamento fra i vari piani del castello, seguiti nel 1472 dalla costruzione della cinta muraria esterna al paese); 1487 Gerolamo Riario; 1488 Caterina Sforza. Era il 1488 quando in Romagna governava Caterina Sforza, contessa di Imola e Forlì, che reggeva lo stato dei Riario per conto del figlio minore Ottaviano, succeduto al padre Girolamo Riario deceduto per morte violenta. Figlia naturale del duca di Milano Galeazzo Maria Sforza, intraprendente e con spirito guerriero, bella ed ammirata, seducente e guerriera indomita, all'epoca esaltata come "femina di grandissimo animo et core, sine dubio Prima Dona d'Italia" ma anche definita "foemina sanguinaria e tyranissa", capace di grandi amori e di profondi odi, di slanci sublimi di generosità e di vendette feroci. È sotto il comando di Caterina Sforza che la rocca raggiunge la sua massima efficienza militare e assume le forme attuali. La grande fedeltà del popolo, e la simpatia che seppe guadagnarsi sono all'origine della denominazione del fortilizio in "Rocca Sforzesca". A Caterina è dedicata una stanza nella quale una presentazione multimediale ripercorre la breve ma intensa vita della sovrana. Anche la rocca di Riolo, come Imola e Forlì, fu conquistata nel 1500 da Cesare Borgia (il Valentino). Nel 1504 papa Giulio II privò di ogni autonomia Riolo e la sottopose alla potestà di Imola. Il castello perse così di importanza e nei secoli successivi è ricordato esclusivamente come luogo di acquartieramento per truppe di passaggio.
Museo del Paesaggio Dell’Appennino faentino
Piazza Ivo Mazzanti
Riolo Terme La rocca, situata al centro del paese e quindi facilmente reperibile, è a pianta quadrangolare con tre torrioni tondi ed il mastio a pianta quadrata alto 22 metri. Circondata da un fossato scavato attorno al 1450 che costituiva la prima difesa del castello, appartiene alla tipologia dei fortilizi della transizione, nei quali si ritrovano assieme elementi architettonici medievali e rinascimentali. Chiaro esempio di fortificazione militare adattata alle esigenze collegate con l'avvento delle artiglierie da fuoco, risultano ancora ben visibili le caditoie per il tiro piombante e le camere di manovra per le bombarde. La merlatura a coda di rondine identifica chiaramente che la rocca era di parte ghibellina. Si sviluppa su quattro livelli, un piano interrato, un piano a livello della corte, uno all'altezza dei merli e un sottotetto. Visitabile dietro pagamento di un modesto biglietto di ingresso, vi si accede transitando su un ponte (un tempo levatoio, ora fisso) posto nei pressi del torrione contrapposto al mastio. Dalla piccola corte interna si ha accesso alle rondelle, all'interno delle quali sono stati approntati percorsi informativi sulle armi medievali, sulle tecniche costruttive dell'epoca, ed infine nel mastio un museo multimediale sul paesaggio dell'Appennino faentino. La stanza più alta del mastio è circondata da un cammino di ronda che consentiva il controllo di tutto il territorio circostante. Lungo questo camminamento è possibile notare le caditoie utilizzate a scopo di difesa/attacco per far cadere sui nemici frecce, acqua o pece bollente. Lungo l'intero perimetro erano posizionate le bombarde che sfruttando l'altezza della costruzione erano in grado di sparare a lunga distanza. La costruzione del primo nucleo, il mastio, si fa risalire al 1388 ad opera dei Bolognesi che nell'intento di rafforzare la difesa del proprio dominio decisero di ampliare un preesistente torrione. La nuova rocca capace di ospitare 300 soldati fu ultimata quattro anni più tardi e fu il volano per lo sviluppo del circostante nucleo abitato. Diverse nobili famiglie si sono succedute alla guida della Rocca, da un'iscrizione in loco rileviamo: 1400 Comune di Bologna; 1401 Giovanni I Bentivoglio; 28 giugno 1402 Visconti; gennaio 1403 card. Baldassare Cossa; marzo 1403 Alberico da Barbiano; 1412 Ludovico Alidosi; 1424 Visconti; 1426 Stato della Chiesa; 1435 Manfredi; 12 marzo 1468 Carlo II Manfredi; 2 aprile 1468 Taddeo Manfredi; 26 giugno 1468 Carlo II Manfredi (è di questo periodo una profonda ristrutturazione della rocca, con abbassamento della torre e rifasciamento dei muri esterni per far fronte alle artiglierie da fuoco. Sempre in questi anni fu costruito il grosso torrione circolare a est e il collegamento fra i vari piani del castello, seguiti nel 1472 dalla costruzione della cinta muraria esterna al paese); 1487 Gerolamo Riario; 1488 Caterina Sforza. Era il 1488 quando in Romagna governava Caterina Sforza, contessa di Imola e Forlì, che reggeva lo stato dei Riario per conto del figlio minore Ottaviano, succeduto al padre Girolamo Riario deceduto per morte violenta. Figlia naturale del duca di Milano Galeazzo Maria Sforza, intraprendente e con spirito guerriero, bella ed ammirata, seducente e guerriera indomita, all'epoca esaltata come "femina di grandissimo animo et core, sine dubio Prima Dona d'Italia" ma anche definita "foemina sanguinaria e tyranissa", capace di grandi amori e di profondi odi, di slanci sublimi di generosità e di vendette feroci. È sotto il comando di Caterina Sforza che la rocca raggiunge la sua massima efficienza militare e assume le forme attuali. La grande fedeltà del popolo, e la simpatia che seppe guadagnarsi sono all'origine della denominazione del fortilizio in "Rocca Sforzesca". A Caterina è dedicata una stanza nella quale una presentazione multimediale ripercorre la breve ma intensa vita della sovrana. Anche la rocca di Riolo, come Imola e Forlì, fu conquistata nel 1500 da Cesare Borgia (il Valentino). Nel 1504 papa Giulio II privò di ogni autonomia Riolo e la sottopose alla potestà di Imola. Il castello perse così di importanza e nei secoli successivi è ricordato esclusivamente come luogo di acquartieramento per truppe di passaggio.
Lugo «Il monumento più caratteristico di Lugo, tale da significarne il passato di centro di grande importanza strategica e commerciale, è la Rocca. Di un nucleo fortificato, attestato all’incrocio di due aree della centuriazione romana (cardo e decumano) si ha notizie a partire dal X secolo. Il complesso fu distrutto dai Faentini nel 1218 e ricostruito a più riprese nei secoli XIII-XIV. Tra le scarse notizie pervenuteci, gli storici pongono in evidenza l’iniziativa del condottiero ghibellino Uguccione della Faggiola negli anni 1298-1300, al cui nome viene tradizionalmente associato il mastio di nord-ovest, l’aspetto attuale del quale, in realtà, sembra dovuto alle sistemazioni quattrocentesche. Il periodo più significativo per lo sviluppo della fortificazione corrisponde comunque alla dominazione estense durante la quale i connotati dell’apparato difensivo vennero modificati almeno due volte. Nella seconda metà del Quattrocento, per iniziativa di Ercole I, la piazza d’arme antistante la Rocca fu trasformata in cittadella, provvista di una cinta muraria dotata di torri rotonde e completamente racchiusa da un fossato. Di questa fase rimangono oggi leggibili l’impianto quadrangolare articolato sul cortile interno, alcuni tratti della cortina muraria e la cosiddetta Torre di Uguccione. Sotto il profilo urbanistico, la fortezza estense fu il fulcro attorno al quale la città ricevette un forte impulso di sviluppo, nel senso dell’occupazione stabile del territorio. Il complesso quattrocentesco, tuttavia, appariva troppo legato alla prassi guerresca medievale e poco funzionale rispetto alla potenza distruttiva delle bombarde e artiglierie moderne, per cui fu interamente ristrutturato. Nel 1568-1570 il duca Alfonso II fece abbattere la cittadella, divenuta superflua ai fini difensivi: parte del materiale di risulta venne probabilmente impiegato per dotare la Rocca di bastioni sui versanti sud, est e ovest, oltre che per ispessire la cortina nord e le basi delle torri. L’area liberata sarà poi destinata alla Fiera verso la metà del ‘600. Mediante questo intervento, la Rocca di Lugo venne assumendo un aspetto peculiare a metà fra il tipo quattrocentesco della rocca a pianta quadrangolare e il tipo tardo-cinquecentesco della fortezza bastionata. Con il passaggio di Lugo alla Chiesa, la Rocca subì alcuni ampliamenti con l’inserimento di un palazzo, parzialmente bruciato nel 1775, che divenne sede dei governatori pontifici. Nello stesso periodo, si adattarono a prigioni le parti ormai non usate a scopo militare, in particolare la torre circolare di nord-ovest e quella quadrata di sud-est, mentre i bastioni a sud-ovest furono trasformati per dar luogo al Giardino Pensile che ancora oggi ammiriamo, e a cui si accede dal cortile interno. Esso occupa un’area di circa 1000 mq ad una quota di circa 7 mt. rispetto al piano delle attuali piazze del centro storico; la composizione arborea comprende specie con foglie aghiformi, squamiformi e latifoglie, naturalmente con caratteristiche sia sempreverdi che caduche; il giardino non presenta particolari disegni architettonici. Lungo le sue mura esterne più assolate trova il suo habitat naturale la Capparis Spinosa , della famiglia delle Capparidacee. Questo arbusto, dalla foglia e dai frutti carnosi, dai grandi fiori bianchi e rosati, da secoli radica spontaneamente nelle fessure. Quando, a fine maggio e per tutta l’estate, ha luogo la fioritura, breve ma dal profumo intenso, le gemme dei fiori, note col nome di capperi, vengono raccolte e messe a conservare sotto aceto da mani di esperti artigiani, secondo l’antica ricetta di “Pellegrino Artusi”. Fino ad alcuni decenni fa la raccolta dei capperi della Rocca veniva appaltata e costituiva una delle voci di entrata nel bilancio del comune. Il monumento si presenta attualmente costituito dall’intreccio di due componenti: una parte emergente, corrispondente alle sovrapposizioni di epoca moderna, e una parte seminascosta, che rappresenta il residuo dell’antico organismo fortificato. Il fossato che cingeva il complesso è stato colmato a più riprese tra il XVIII e il XIX secolo. Il portone che chiude l’accesso è stato realizzato con il legno dell’antico ponte levatoio, e l’antica lamiera che lo ricopre riporta ancora segni di colpi di fucile, risalenti probabilmente al periodo di dominazione francese iniziato nel 1796 (i lughesi avevano opposto una dura resistenza e la città venne saccheggiata dopo la sconfitta dei rivoltosi). Da notare sopra l’ingresso lo stemma recentemente restaurato della prima Repubblica Italiana istituita da Napoleone nel 1802. Al centro del cortile si trova una pregevole vera da pozzo con le insegne di Borso d’Este, e pertanto databile al XV secolo. Nel vasto locale al piano terra sul lato nord della Rocca, già sala delle artiglierie nel XV-XVI sec., a fine’800 furono collocate le Pescherie , dopo il rovinoso crollo dell’edificio in stile neogotico che in precedenza ospitava il commercio del pesce, costruito nel 1846 a ridosso della antica cortina muraria ad ovest. Attualmente ospita mostre di arti figurative e mostre documentarie. Sui muri esterni della Rocca sono da notare le numerose lapidi, testimonianza di avvenimenti storici significativi e spesso tragici: due in onore di Garibaldi a nord, sotto l'antico balcone, una riguardante la fine del potere temporale pontificio (1859) sul bastione sud/ovest, una lapide in ricordo delle famiglie ebraiche lughesi deportate, una dedicata ad alcuni patrioti lughesi del Risorgimento, una in onore di Giuseppe Compagnoni “inventore del tricolore”, una a ricordo della Liberazione dal nazifascismo vicino all’ingresso; infine una lapide ricorda il rogo decretato dall’Inquisizione per l’eretico luterano Relencini nel 1581. Altre lapidi dedicate alla Resistenza e alle vittime civili della guerra di liberazione sono nel cortile interno, mentre lungo le pareti dello scalone d’onore sono collocate le lapidi dedicate a patrioti risorgimentali e ai caduti lughesi nella grande guerra. Di particolare interesse e importanza è inoltre il Salone Estense , recentemente rinvenuto nell’area nord della Rocca. Verso il 1860 la Rocca divenne sede dell’Amministrazione Comunale. In precedenza erano stati progressivamente trasferiti in essa gli uffici e servizi che nei secoli precedenti si trovavano nell’antico palazzo del comune, demolito a fine ‘800, ubicato nell’area ora occupata dalla Banca di Romagna. Infine, ricordiamo che verso gli anni ’30 dell’800 era stato costruito il loggiato e soprastanti piani sul lato est della Rocca per ricavare uffici, in particolare quelli giudiziari e postali. La Rocca ospita interessanti sale di rappresentanza: Sala d'attesa, Sala Giunta, Saletta Rossini, Studio del Sindaco, Antisala Consigliare, Sala Consigliare e Salone Estense.
Rocca Estense
Piazza Francesco Baracca
Lugo «Il monumento più caratteristico di Lugo, tale da significarne il passato di centro di grande importanza strategica e commerciale, è la Rocca. Di un nucleo fortificato, attestato all’incrocio di due aree della centuriazione romana (cardo e decumano) si ha notizie a partire dal X secolo. Il complesso fu distrutto dai Faentini nel 1218 e ricostruito a più riprese nei secoli XIII-XIV. Tra le scarse notizie pervenuteci, gli storici pongono in evidenza l’iniziativa del condottiero ghibellino Uguccione della Faggiola negli anni 1298-1300, al cui nome viene tradizionalmente associato il mastio di nord-ovest, l’aspetto attuale del quale, in realtà, sembra dovuto alle sistemazioni quattrocentesche. Il periodo più significativo per lo sviluppo della fortificazione corrisponde comunque alla dominazione estense durante la quale i connotati dell’apparato difensivo vennero modificati almeno due volte. Nella seconda metà del Quattrocento, per iniziativa di Ercole I, la piazza d’arme antistante la Rocca fu trasformata in cittadella, provvista di una cinta muraria dotata di torri rotonde e completamente racchiusa da un fossato. Di questa fase rimangono oggi leggibili l’impianto quadrangolare articolato sul cortile interno, alcuni tratti della cortina muraria e la cosiddetta Torre di Uguccione. Sotto il profilo urbanistico, la fortezza estense fu il fulcro attorno al quale la città ricevette un forte impulso di sviluppo, nel senso dell’occupazione stabile del territorio. Il complesso quattrocentesco, tuttavia, appariva troppo legato alla prassi guerresca medievale e poco funzionale rispetto alla potenza distruttiva delle bombarde e artiglierie moderne, per cui fu interamente ristrutturato. Nel 1568-1570 il duca Alfonso II fece abbattere la cittadella, divenuta superflua ai fini difensivi: parte del materiale di risulta venne probabilmente impiegato per dotare la Rocca di bastioni sui versanti sud, est e ovest, oltre che per ispessire la cortina nord e le basi delle torri. L’area liberata sarà poi destinata alla Fiera verso la metà del ‘600. Mediante questo intervento, la Rocca di Lugo venne assumendo un aspetto peculiare a metà fra il tipo quattrocentesco della rocca a pianta quadrangolare e il tipo tardo-cinquecentesco della fortezza bastionata. Con il passaggio di Lugo alla Chiesa, la Rocca subì alcuni ampliamenti con l’inserimento di un palazzo, parzialmente bruciato nel 1775, che divenne sede dei governatori pontifici. Nello stesso periodo, si adattarono a prigioni le parti ormai non usate a scopo militare, in particolare la torre circolare di nord-ovest e quella quadrata di sud-est, mentre i bastioni a sud-ovest furono trasformati per dar luogo al Giardino Pensile che ancora oggi ammiriamo, e a cui si accede dal cortile interno. Esso occupa un’area di circa 1000 mq ad una quota di circa 7 mt. rispetto al piano delle attuali piazze del centro storico; la composizione arborea comprende specie con foglie aghiformi, squamiformi e latifoglie, naturalmente con caratteristiche sia sempreverdi che caduche; il giardino non presenta particolari disegni architettonici. Lungo le sue mura esterne più assolate trova il suo habitat naturale la Capparis Spinosa , della famiglia delle Capparidacee. Questo arbusto, dalla foglia e dai frutti carnosi, dai grandi fiori bianchi e rosati, da secoli radica spontaneamente nelle fessure. Quando, a fine maggio e per tutta l’estate, ha luogo la fioritura, breve ma dal profumo intenso, le gemme dei fiori, note col nome di capperi, vengono raccolte e messe a conservare sotto aceto da mani di esperti artigiani, secondo l’antica ricetta di “Pellegrino Artusi”. Fino ad alcuni decenni fa la raccolta dei capperi della Rocca veniva appaltata e costituiva una delle voci di entrata nel bilancio del comune. Il monumento si presenta attualmente costituito dall’intreccio di due componenti: una parte emergente, corrispondente alle sovrapposizioni di epoca moderna, e una parte seminascosta, che rappresenta il residuo dell’antico organismo fortificato. Il fossato che cingeva il complesso è stato colmato a più riprese tra il XVIII e il XIX secolo. Il portone che chiude l’accesso è stato realizzato con il legno dell’antico ponte levatoio, e l’antica lamiera che lo ricopre riporta ancora segni di colpi di fucile, risalenti probabilmente al periodo di dominazione francese iniziato nel 1796 (i lughesi avevano opposto una dura resistenza e la città venne saccheggiata dopo la sconfitta dei rivoltosi). Da notare sopra l’ingresso lo stemma recentemente restaurato della prima Repubblica Italiana istituita da Napoleone nel 1802. Al centro del cortile si trova una pregevole vera da pozzo con le insegne di Borso d’Este, e pertanto databile al XV secolo. Nel vasto locale al piano terra sul lato nord della Rocca, già sala delle artiglierie nel XV-XVI sec., a fine’800 furono collocate le Pescherie , dopo il rovinoso crollo dell’edificio in stile neogotico che in precedenza ospitava il commercio del pesce, costruito nel 1846 a ridosso della antica cortina muraria ad ovest. Attualmente ospita mostre di arti figurative e mostre documentarie. Sui muri esterni della Rocca sono da notare le numerose lapidi, testimonianza di avvenimenti storici significativi e spesso tragici: due in onore di Garibaldi a nord, sotto l'antico balcone, una riguardante la fine del potere temporale pontificio (1859) sul bastione sud/ovest, una lapide in ricordo delle famiglie ebraiche lughesi deportate, una dedicata ad alcuni patrioti lughesi del Risorgimento, una in onore di Giuseppe Compagnoni “inventore del tricolore”, una a ricordo della Liberazione dal nazifascismo vicino all’ingresso; infine una lapide ricorda il rogo decretato dall’Inquisizione per l’eretico luterano Relencini nel 1581. Altre lapidi dedicate alla Resistenza e alle vittime civili della guerra di liberazione sono nel cortile interno, mentre lungo le pareti dello scalone d’onore sono collocate le lapidi dedicate a patrioti risorgimentali e ai caduti lughesi nella grande guerra. Di particolare interesse e importanza è inoltre il Salone Estense , recentemente rinvenuto nell’area nord della Rocca. Verso il 1860 la Rocca divenne sede dell’Amministrazione Comunale. In precedenza erano stati progressivamente trasferiti in essa gli uffici e servizi che nei secoli precedenti si trovavano nell’antico palazzo del comune, demolito a fine ‘800, ubicato nell’area ora occupata dalla Banca di Romagna. Infine, ricordiamo che verso gli anni ’30 dell’800 era stato costruito il loggiato e soprastanti piani sul lato est della Rocca per ricavare uffici, in particolare quelli giudiziari e postali. La Rocca ospita interessanti sale di rappresentanza: Sala d'attesa, Sala Giunta, Saletta Rossini, Studio del Sindaco, Antisala Consigliare, Sala Consigliare e Salone Estense.
Brisighella LA ROCCA, LA TORRE DELL’OROLOGIO E IL MONTICINO CARATTERIZZANO IL PAESAGGIO PER CUI BRISIGHELLA È FAMOSA LA ROCCA BrisighellaOspitaleSorge su uno dei tre pinnacoli gessosi che dominano il borgo. Edificata nel 1310 dai Manfredi, signori di Faenza, rimase a questa famiglia fino al 1500, quando passò per soli tre anni a Cesare Borgia. Dal 1503 al 1509 appartenne ai Veneziani che costruirono il grandioso maschio e due lati delle mura, poi fece parte dello Stato Pontificio. Alla fine del 1500 i due torrioni furono ricoperti da un tetto. La Rocca conserva ancora le caratteristiche delle fortezze medioevali: i fori per le catene dei ponti levatoi sopra la porta d’ingresso, i beccatelli e le caditoie, i camminamenti sulle mura di cinta, le feritoie. Il restauro della Rocca Manfrediana e Veneziana ha comportato nella prima fase interventi di manutenzione e restauro delle strutture murarie e dei camminamenti di ronda. Successivamente con gli stralci successivi terminati alla fine del 2008 si è invece provveduto alla valorizzazione degli aspetti peculiari del fortilizio e alla predisposizione degli allestimenti, in funzione delle attività culturali che vi si vorranno insediare. Con l’occasione si è provveduto alla manutenzione del percorso pedonale dal paese (la Strada della Rocca) e al rifacimento dell’illuminazione del monumento. Tra gli interventi più significativi si ricordano il recupero e la pulizia dell’intero paramento murario, il rifacimento delle coperture delle due torri e del camminamento di ronda con passerelle. E’ stata realizzata un’illuminazione dinamica, diversa a seconda delle angolazioni e variabile in scansioni temporali. Appare come la sede ideale per un museo dedicato al rapporto tra l’Uomo e il Gesso, anche in virtù dell’imponente cornice architettonica (che è stata oggetto di un recente restauro) e della disponibilità di spazi interni rimasti fino ad oggi privi di allestimenti stabili. Il Museo l’Uomo e il Gesso è un percorso che attraversa la lunga storia del rapporto dell’uomo con questo territorio e con il minerale che lo caratterizza. La scala di accesso alla Torre Manfrediana, sulla destra, è una passeggiata nella storia che parte dalla frequentazione in età protostorica delle grotte della Vena del Gesso per motivi funerari e di culto, attraversa l’età Romana con lo sviluppo dell’attività estrattiva del prezioso lapis specularis (vetro di pietra) ed arriva al Medioevo e al Rinascimento, con il fenomeno dell’incastellamento che ha visto le creste gessose protagoniste della costruzione di rocche e castelli. La sala alta della torre Manfrediana espone i pereti archeologici ritrovati nella Vena del Gesso e risalenti a queste tre diverse fasi di frequentazione. Per l’esposizione, allestita all’interno di vetrine sotto la direzione scientifica della Soprintendenza per i Beni Archeologici dell’Emilia Romagna e del Dipartimento di Archeologia dell’Università di Bologna, sono stati selezionati alcuni tra i contesti più rappresentativi indagati all’interno della Vena del Gesso, ovvero i reperti provenienti dalla Grotta dei Banditi per l’epoca pre/protostorica; i materiali della casa romana del Carnè, della cava della Lucerna, prima cava di lapis specularis identificata in Italia, per l’età romana; i materiali rinvenuti nel castello di Rontana per l’età medievale. Inoltre un video, proposto nella sala allestita, mostra, tramite una interessante ricostruzione cinematografica, in che cosa consisteva l’estrazione del Lapis Specularis, aiutata dalla fioca luce della lucerna. Alla sezione specificamente dedicata al rapporto tra l’Uomo e il Gesso, nella Torre Veneziana è stata affiancata una seconda sezione didattica legata al Medioevo e al Rinascimento riguardante l’edificio della Rocca. A questo fine, sono stati posizionati sia negli spazi esterni sia negli spazi interni pannelli didattici dedicati alla storia della Rocca e alla funzione dei singoli ambienti; inoltre, negli ambienti del torrione sud-orientale sono state allestite con riproduzioni – cucina e stanza da notte – così da poter restituirne una piena leggibilità. Il visitatore potrà segure il percorso didatti lasciando trasportare anche dalle ripristinate Pietre Parlanti. Un percorso multimediale interattivo dove il visitatore è accolto da musica e voci narranti che parleranno della Storia del luogo grazie ad sensori di presenza che ne rilevano il movimento ed attivano così le “Pietre Parlanti”, punti informativi “non convenzionali” inseriti nelle murature. Il percorso che si snoderà all’interno della torre Veneziana culminerà nell’ambiente superiore, aperto verso il paesaggio circostante, dove le Pietre parlanti spiegheranno rocche e castelli castelli del territorio, in molti casi in contatto visivo con la Rocca stessa. In fondo al cortile interno è possibile visitare la caponiera e comprendere la funzione difensiva delle opere fortificate. TORRE DELL’OROLOGIO In origine era il fortilizio fatto erigere nel 1290 da Maghinardo Pagani da Susinana con massi squadrati di gesso, per controllare le mosse degli assediati nel vicino castello di Baccagnano. Fino al 1500 costituì, insieme alla Rocca, il sistema difensivo del centro abitato. Danneggiata e ricostruita più volte, la torre fu completamente rifatta nel 1850 e nello stesso anno vi fu posto anche l’orologio. Il quadrante dell’orologio è a sei ore. Interessante vista sui calanchi, una formazione di argille azzurre, dilavate dagli agenti atmosferici. La Torre dell’ Orologio è chiusa. IL SANTUARIO DELLA MADONNA DEL MONTICINO Qui è venerata una sacra immagine in terracotta policroma di autore ignoto, datata 1626, collocata in origine in un piccolo tabernacolo nei pressi di Porta Buonfante. Nel 1662 fu traslata in una cappella, dove oggi sorge il Santuario, sul colle che si chiamava allora Monte Cozzolo o Calvario, forse perchè dirupato e scosceso. Nel 1758 fu edificato l’attuale santuario che, nel corso del tempo, ha avuto numerosi rifacimenti. L’odierna facciata fu rifatta su progetto del prof. Edoardo Collamarini nel 1926 in occasione del III centenario della sacra Immagine. Gli affreschi interni risalgono al 1854 e sono opera del faentino Savino Lega. Il Santuario è chiuso. Sul retro del santuario, la cava da cui fino a pochi anni fa si estraeva il gesso, è diventata un Museo Geologico all’aperto.
Rocca Manfrediana
64 Via Rontana
Brisighella LA ROCCA, LA TORRE DELL’OROLOGIO E IL MONTICINO CARATTERIZZANO IL PAESAGGIO PER CUI BRISIGHELLA È FAMOSA LA ROCCA BrisighellaOspitaleSorge su uno dei tre pinnacoli gessosi che dominano il borgo. Edificata nel 1310 dai Manfredi, signori di Faenza, rimase a questa famiglia fino al 1500, quando passò per soli tre anni a Cesare Borgia. Dal 1503 al 1509 appartenne ai Veneziani che costruirono il grandioso maschio e due lati delle mura, poi fece parte dello Stato Pontificio. Alla fine del 1500 i due torrioni furono ricoperti da un tetto. La Rocca conserva ancora le caratteristiche delle fortezze medioevali: i fori per le catene dei ponti levatoi sopra la porta d’ingresso, i beccatelli e le caditoie, i camminamenti sulle mura di cinta, le feritoie. Il restauro della Rocca Manfrediana e Veneziana ha comportato nella prima fase interventi di manutenzione e restauro delle strutture murarie e dei camminamenti di ronda. Successivamente con gli stralci successivi terminati alla fine del 2008 si è invece provveduto alla valorizzazione degli aspetti peculiari del fortilizio e alla predisposizione degli allestimenti, in funzione delle attività culturali che vi si vorranno insediare. Con l’occasione si è provveduto alla manutenzione del percorso pedonale dal paese (la Strada della Rocca) e al rifacimento dell’illuminazione del monumento. Tra gli interventi più significativi si ricordano il recupero e la pulizia dell’intero paramento murario, il rifacimento delle coperture delle due torri e del camminamento di ronda con passerelle. E’ stata realizzata un’illuminazione dinamica, diversa a seconda delle angolazioni e variabile in scansioni temporali. Appare come la sede ideale per un museo dedicato al rapporto tra l’Uomo e il Gesso, anche in virtù dell’imponente cornice architettonica (che è stata oggetto di un recente restauro) e della disponibilità di spazi interni rimasti fino ad oggi privi di allestimenti stabili. Il Museo l’Uomo e il Gesso è un percorso che attraversa la lunga storia del rapporto dell’uomo con questo territorio e con il minerale che lo caratterizza. La scala di accesso alla Torre Manfrediana, sulla destra, è una passeggiata nella storia che parte dalla frequentazione in età protostorica delle grotte della Vena del Gesso per motivi funerari e di culto, attraversa l’età Romana con lo sviluppo dell’attività estrattiva del prezioso lapis specularis (vetro di pietra) ed arriva al Medioevo e al Rinascimento, con il fenomeno dell’incastellamento che ha visto le creste gessose protagoniste della costruzione di rocche e castelli. La sala alta della torre Manfrediana espone i pereti archeologici ritrovati nella Vena del Gesso e risalenti a queste tre diverse fasi di frequentazione. Per l’esposizione, allestita all’interno di vetrine sotto la direzione scientifica della Soprintendenza per i Beni Archeologici dell’Emilia Romagna e del Dipartimento di Archeologia dell’Università di Bologna, sono stati selezionati alcuni tra i contesti più rappresentativi indagati all’interno della Vena del Gesso, ovvero i reperti provenienti dalla Grotta dei Banditi per l’epoca pre/protostorica; i materiali della casa romana del Carnè, della cava della Lucerna, prima cava di lapis specularis identificata in Italia, per l’età romana; i materiali rinvenuti nel castello di Rontana per l’età medievale. Inoltre un video, proposto nella sala allestita, mostra, tramite una interessante ricostruzione cinematografica, in che cosa consisteva l’estrazione del Lapis Specularis, aiutata dalla fioca luce della lucerna. Alla sezione specificamente dedicata al rapporto tra l’Uomo e il Gesso, nella Torre Veneziana è stata affiancata una seconda sezione didattica legata al Medioevo e al Rinascimento riguardante l’edificio della Rocca. A questo fine, sono stati posizionati sia negli spazi esterni sia negli spazi interni pannelli didattici dedicati alla storia della Rocca e alla funzione dei singoli ambienti; inoltre, negli ambienti del torrione sud-orientale sono state allestite con riproduzioni – cucina e stanza da notte – così da poter restituirne una piena leggibilità. Il visitatore potrà segure il percorso didatti lasciando trasportare anche dalle ripristinate Pietre Parlanti. Un percorso multimediale interattivo dove il visitatore è accolto da musica e voci narranti che parleranno della Storia del luogo grazie ad sensori di presenza che ne rilevano il movimento ed attivano così le “Pietre Parlanti”, punti informativi “non convenzionali” inseriti nelle murature. Il percorso che si snoderà all’interno della torre Veneziana culminerà nell’ambiente superiore, aperto verso il paesaggio circostante, dove le Pietre parlanti spiegheranno rocche e castelli castelli del territorio, in molti casi in contatto visivo con la Rocca stessa. In fondo al cortile interno è possibile visitare la caponiera e comprendere la funzione difensiva delle opere fortificate. TORRE DELL’OROLOGIO In origine era il fortilizio fatto erigere nel 1290 da Maghinardo Pagani da Susinana con massi squadrati di gesso, per controllare le mosse degli assediati nel vicino castello di Baccagnano. Fino al 1500 costituì, insieme alla Rocca, il sistema difensivo del centro abitato. Danneggiata e ricostruita più volte, la torre fu completamente rifatta nel 1850 e nello stesso anno vi fu posto anche l’orologio. Il quadrante dell’orologio è a sei ore. Interessante vista sui calanchi, una formazione di argille azzurre, dilavate dagli agenti atmosferici. La Torre dell’ Orologio è chiusa. IL SANTUARIO DELLA MADONNA DEL MONTICINO Qui è venerata una sacra immagine in terracotta policroma di autore ignoto, datata 1626, collocata in origine in un piccolo tabernacolo nei pressi di Porta Buonfante. Nel 1662 fu traslata in una cappella, dove oggi sorge il Santuario, sul colle che si chiamava allora Monte Cozzolo o Calvario, forse perchè dirupato e scosceso. Nel 1758 fu edificato l’attuale santuario che, nel corso del tempo, ha avuto numerosi rifacimenti. L’odierna facciata fu rifatta su progetto del prof. Edoardo Collamarini nel 1926 in occasione del III centenario della sacra Immagine. Gli affreschi interni risalgono al 1854 e sono opera del faentino Savino Lega. Il Santuario è chiuso. Sul retro del santuario, la cava da cui fino a pochi anni fa si estraeva il gesso, è diventata un Museo Geologico all’aperto.
Bagnara di Romagna La visita è costituita ovviamente dalla maestosa rocca di Bagnara, sorta nel XV sec. ad opera delle famiglie Riario e Sforza, i signori dell'epoca, sulle rovine del castello medievale fatto costruire, nel 1354, da Barnabò Visconti. La Rocca originale era la parte più importante del sistema difensivo trecentesco, benché più modesta e più bassa rispetto a quella attualmente visibile, con due torri simmetriche, a levante e a ponente, perfettamente uguali. Tale fisionomia fu il frutto di alcuni interventi ad opera del Visconti, tesi non tanto all'inseguimento di un puro ideale estetico ma bensì al miglioramento dell'uso a fini difensivi della rocca contro le armi manesche e da lancio. Quel primo manufatto andò completamente distrutto nel 1428 nella battaglia tra Filippo Maria Visconti e Angiolo della Pergola. Il suo ripristino richiese diversi decenni, durante i quali Bagnara passò alla Santa Sede, poi agli Estensi, poi di nuovo alla Santa Sede, quindi a Taddeo Manfredi, a Galeazzo Sforza e, nel 1479, a Galeotto Manfredi. Nel 1482 la Rocca fu assegnata a Girolamo Riario quale dono di nozze da parte di Papa Sisto IV, suo zio, assieme alle città di Imola e Forlì con le rispettive pertinenze. Alla morte del Riario, ucciso a Forlì in una congiura, gli subentrò la vedova Caterina Sforza. In questo periodo, si ha l'introduzione dei primi esempi di artiglieria da fuoco di grande levatura, le bombarde. Il loro rapido perfezionamento rappresenta un'importante innovazione nell'arte militare, spingendo in Italia e in particolar modo in Romagna i Signori dei castelli a ricorrere a numerose modifiche architettoniche, atte a contrastare la forza d'urto dei proiettili. Si sviluppa così una famiglia di forme nuove, che si staccano dalle tradizionali forme medioevali per rincorrere le forme del successivo fronte bastionato all'italiana, ma proprio perché si parla di una fase di passaggio, anche se breve, queste due caratteristiche seppur differenti tra loro convivranno all'interno delle rocche che si svilupparono durante il periodo chiamato della "transizione". Exemplum indiscusso di tale passaggio è il fortilizio bagnarese. In particolare analizzando la Rocca bagnarese si annota sotto il dominio di Caterina Sforza un importante ampliamento e sistemazione del fossato, il passaggio dalle semplici feritoie delle cortine ad ampie svasature tronco-coniche per contenere le bombarde (si notino ad esempio le aperture sulle cortine murarie del cortile a pozzo o nelle casematte del mastio); interventi simili si fecero anche per il torrione visconteo, che fu predisposto per l'utilizzo di armi promiscue aprendo al pianterreno tre fori per cannoniere e due al primo, mantenendo anche l'assetto per l'utilizzo di armi manesche. Di particolare rilievo è inoltre la realizzazione dello splendido loggiato che percorre quasi i tre quarti dell'intera cortina muraria, e presenta tutte le caratteristiche del "bello stile cinquecentesco" ovvero dell'arco con ornamento in cotto; è da attribuirsi alla scuola di Mastro Giorgio fiorentino, secondo la bibliografia locale, da identificarsi probabilmente con Francesco di Giorgio Martino (Siena 1439-1501) pittore, scultore ma soprattutto architetto militare, attivo nel pieno XV sec. in diversi centri come Urbino, Siena, Gubbio, il quale si recò anche a Milano su istanza di Gian Galezzo Sforza. La costruzione del mastio, considerato da molti studiosi una delle migliori opere d'arte fortificatoria del XV sec. in Italia, comincia nel settembre 1479; è suddiviso in tre ordini di casematte che sono costituite da camere circolari molto ampie, coperte con volte semisferiche laterizie, tuttora ben conservate. Sul finire del 1499 la Rocca passò al duca Cesare Borgia come gran parte delle terre romagnole, ma la gloria di costui passò ben presto. Nel 1535 il fortilizio era diventato un covo di falsari che vi coniavano illegalmente monete. Nell'accordo raggiunto il 30/07/1562 tra il comune imolese e il vescovo di quella città, la Rocca passò sotto la piena proprietà di quest'ultimo, status ribadito nei secoli successivi. Nel Seicento fu soppresso il ponte levatoio, ampliata la porta d'ingresso, ostruiti con muratura gli spazi esistenti tra i merli nelle torri, che furono ricoperte con tetto. Si procedette in quel tempo ad una riconversione da uso militare ad uso civile della Rocca, che divenne residenza del commissario del vescovo al piano superiore, mentre il pianterreno fu destinato a deposito e a vani di servizio. In alcuni periodi la Rocca fu anche destinata a carcere, come si può verificare osservando alcuni graffiti in una cella posta nella casamatta superiore del mastio. Durante l'occupazione napoleonica la Rocca fu espropriata al vescovo ed assegnata al comune, che ne fece la residenza municipale. Tornata al vecchio padrone con la restaurazione del 1814, divenne definitivamente, nel 1868, proprietà del Comune che l'acquistò al pubblico incanto per il prezzo di lire 2.570 più lire 500 per le Fosse ad essa adiacenti. Furono subito necessari lavori di rinforzo e di riadattamento del manufatto; quindi fu costruita una ghiacciaia, a ridosso del suo fianco settentrionale. Dopo l'acquisto il Comune vi stabilì la sede delle scuole elementari, che vi restarono fino al 1926, quando furono trasferite nell'attuale ubicazione. Nel 1930 la Rocca divenne sede del dopolavoro fascista; durante l'ultima guerra vi trovarono rifugio diverse centinaia di bagnaresi sfollati dalle loro case. Nel 1960 fu destinata a sede provvisoria delle scuole medie, per diventare residenza municipale nel 1962. Altri importanti lavori vi furono eseguiti nel 1968, nel 1974 (dopo che un settore del mastio era crollato). Nel 1986 quando vi fu soppresso il ballatoio a mezzogiorno e rinvenuto lo scivolo originale che conduceva al ponte levatoio; infine, vanno citati i lavori eseguiti negli ultimi anni, grazie ai quali gli spazi sono stati progressivamente recuperati a fini espositivi e museali. Elementi di notevole interesse sono il mastio e il cortile centrale, restituito all'aspetto rinascimentale, alcuni ambienti interni con i soffitti lignei originali, i supporti di ferro del ponte levatoio posto a mezzogiorno, i bei loggiati sulle cortine di levante e settentrione, il pozzo di riserva idrica e la scala a chiocciola formata da 78 monoliti in arenaria sovrapposti. Di sobria eleganza è l'ufficio di rappresentanza del sindaco, ottenuto dalla casamatta superiore della torre a levante, la parte più antica della rocca, nella quale è ancora riconoscibile lo stile visconteo. In detto ambiente è conservata un'interessante tavola in terracotta maiolicata dipinta a colori, risalente al 1770. La magnifica sala consiliare, ricavata da un ambiente a pianterreno, è adornata da otto importanti dipinti, arte bolognese del Seicento e Settecento, con tele che vantano attribuzioni a Donato Creti (o scuola), al Gennari, al Cavedoni ed anche al Crespi (lo Spagnuolo), lascito testamentario del ricco signor Luigi Deggiovanni, morto il giorno 11/01/1841».
Sforza Castle in Bagnara
3 Piazza IV Novembre
Bagnara di Romagna La visita è costituita ovviamente dalla maestosa rocca di Bagnara, sorta nel XV sec. ad opera delle famiglie Riario e Sforza, i signori dell'epoca, sulle rovine del castello medievale fatto costruire, nel 1354, da Barnabò Visconti. La Rocca originale era la parte più importante del sistema difensivo trecentesco, benché più modesta e più bassa rispetto a quella attualmente visibile, con due torri simmetriche, a levante e a ponente, perfettamente uguali. Tale fisionomia fu il frutto di alcuni interventi ad opera del Visconti, tesi non tanto all'inseguimento di un puro ideale estetico ma bensì al miglioramento dell'uso a fini difensivi della rocca contro le armi manesche e da lancio. Quel primo manufatto andò completamente distrutto nel 1428 nella battaglia tra Filippo Maria Visconti e Angiolo della Pergola. Il suo ripristino richiese diversi decenni, durante i quali Bagnara passò alla Santa Sede, poi agli Estensi, poi di nuovo alla Santa Sede, quindi a Taddeo Manfredi, a Galeazzo Sforza e, nel 1479, a Galeotto Manfredi. Nel 1482 la Rocca fu assegnata a Girolamo Riario quale dono di nozze da parte di Papa Sisto IV, suo zio, assieme alle città di Imola e Forlì con le rispettive pertinenze. Alla morte del Riario, ucciso a Forlì in una congiura, gli subentrò la vedova Caterina Sforza. In questo periodo, si ha l'introduzione dei primi esempi di artiglieria da fuoco di grande levatura, le bombarde. Il loro rapido perfezionamento rappresenta un'importante innovazione nell'arte militare, spingendo in Italia e in particolar modo in Romagna i Signori dei castelli a ricorrere a numerose modifiche architettoniche, atte a contrastare la forza d'urto dei proiettili. Si sviluppa così una famiglia di forme nuove, che si staccano dalle tradizionali forme medioevali per rincorrere le forme del successivo fronte bastionato all'italiana, ma proprio perché si parla di una fase di passaggio, anche se breve, queste due caratteristiche seppur differenti tra loro convivranno all'interno delle rocche che si svilupparono durante il periodo chiamato della "transizione". Exemplum indiscusso di tale passaggio è il fortilizio bagnarese. In particolare analizzando la Rocca bagnarese si annota sotto il dominio di Caterina Sforza un importante ampliamento e sistemazione del fossato, il passaggio dalle semplici feritoie delle cortine ad ampie svasature tronco-coniche per contenere le bombarde (si notino ad esempio le aperture sulle cortine murarie del cortile a pozzo o nelle casematte del mastio); interventi simili si fecero anche per il torrione visconteo, che fu predisposto per l'utilizzo di armi promiscue aprendo al pianterreno tre fori per cannoniere e due al primo, mantenendo anche l'assetto per l'utilizzo di armi manesche. Di particolare rilievo è inoltre la realizzazione dello splendido loggiato che percorre quasi i tre quarti dell'intera cortina muraria, e presenta tutte le caratteristiche del "bello stile cinquecentesco" ovvero dell'arco con ornamento in cotto; è da attribuirsi alla scuola di Mastro Giorgio fiorentino, secondo la bibliografia locale, da identificarsi probabilmente con Francesco di Giorgio Martino (Siena 1439-1501) pittore, scultore ma soprattutto architetto militare, attivo nel pieno XV sec. in diversi centri come Urbino, Siena, Gubbio, il quale si recò anche a Milano su istanza di Gian Galezzo Sforza. La costruzione del mastio, considerato da molti studiosi una delle migliori opere d'arte fortificatoria del XV sec. in Italia, comincia nel settembre 1479; è suddiviso in tre ordini di casematte che sono costituite da camere circolari molto ampie, coperte con volte semisferiche laterizie, tuttora ben conservate. Sul finire del 1499 la Rocca passò al duca Cesare Borgia come gran parte delle terre romagnole, ma la gloria di costui passò ben presto. Nel 1535 il fortilizio era diventato un covo di falsari che vi coniavano illegalmente monete. Nell'accordo raggiunto il 30/07/1562 tra il comune imolese e il vescovo di quella città, la Rocca passò sotto la piena proprietà di quest'ultimo, status ribadito nei secoli successivi. Nel Seicento fu soppresso il ponte levatoio, ampliata la porta d'ingresso, ostruiti con muratura gli spazi esistenti tra i merli nelle torri, che furono ricoperte con tetto. Si procedette in quel tempo ad una riconversione da uso militare ad uso civile della Rocca, che divenne residenza del commissario del vescovo al piano superiore, mentre il pianterreno fu destinato a deposito e a vani di servizio. In alcuni periodi la Rocca fu anche destinata a carcere, come si può verificare osservando alcuni graffiti in una cella posta nella casamatta superiore del mastio. Durante l'occupazione napoleonica la Rocca fu espropriata al vescovo ed assegnata al comune, che ne fece la residenza municipale. Tornata al vecchio padrone con la restaurazione del 1814, divenne definitivamente, nel 1868, proprietà del Comune che l'acquistò al pubblico incanto per il prezzo di lire 2.570 più lire 500 per le Fosse ad essa adiacenti. Furono subito necessari lavori di rinforzo e di riadattamento del manufatto; quindi fu costruita una ghiacciaia, a ridosso del suo fianco settentrionale. Dopo l'acquisto il Comune vi stabilì la sede delle scuole elementari, che vi restarono fino al 1926, quando furono trasferite nell'attuale ubicazione. Nel 1930 la Rocca divenne sede del dopolavoro fascista; durante l'ultima guerra vi trovarono rifugio diverse centinaia di bagnaresi sfollati dalle loro case. Nel 1960 fu destinata a sede provvisoria delle scuole medie, per diventare residenza municipale nel 1962. Altri importanti lavori vi furono eseguiti nel 1968, nel 1974 (dopo che un settore del mastio era crollato). Nel 1986 quando vi fu soppresso il ballatoio a mezzogiorno e rinvenuto lo scivolo originale che conduceva al ponte levatoio; infine, vanno citati i lavori eseguiti negli ultimi anni, grazie ai quali gli spazi sono stati progressivamente recuperati a fini espositivi e museali. Elementi di notevole interesse sono il mastio e il cortile centrale, restituito all'aspetto rinascimentale, alcuni ambienti interni con i soffitti lignei originali, i supporti di ferro del ponte levatoio posto a mezzogiorno, i bei loggiati sulle cortine di levante e settentrione, il pozzo di riserva idrica e la scala a chiocciola formata da 78 monoliti in arenaria sovrapposti. Di sobria eleganza è l'ufficio di rappresentanza del sindaco, ottenuto dalla casamatta superiore della torre a levante, la parte più antica della rocca, nella quale è ancora riconoscibile lo stile visconteo. In detto ambiente è conservata un'interessante tavola in terracotta maiolicata dipinta a colori, risalente al 1770. La magnifica sala consiliare, ricavata da un ambiente a pianterreno, è adornata da otto importanti dipinti, arte bolognese del Seicento e Settecento, con tele che vantano attribuzioni a Donato Creti (o scuola), al Gennari, al Cavedoni ed anche al Crespi (lo Spagnuolo), lascito testamentario del ricco signor Luigi Deggiovanni, morto il giorno 11/01/1841».
Imola ROCCA SFORZESCA Posta a difesa a della città, la Rocca Sforzesca è un’ideale cerniera tra il paesaggio collinare imolese e la città storica ed è il monumento identificativo di Imola. Arrivando si intravede, nel perimetro davanti al ponte levatoio, la traccia di un rivellino posto a guardia dell’ingresso. Le alte cortine murarie presentano agli angoli quattro torri circolari e, passato il ponte levatoio, si entra nel primo cortile e nell’attiguo cortile delle Armi, dove un tempo avvenivano le esercitazioni militari. Al centro, a raccordo tra i due cortili è l’alta torre del mastio. Il percorso di visita parte dai sotterranei dove sono concervati i cannoni e i fucili da murata, per arrivare alle prigioni dove sono ancora visibili le scritte graffite sui muri da coloro che dal XV secolo fino agli anni 50 del secolo scorso, vi furono tenuti prigionieri. All’ammezzato è possibile vedere l’interno delle cannoniere e infine si arriva alla sala delle armi, con le due grandi armature complete e una parte della collezione di armi da fuoco. Nelle sale dove aveva la sua abitazione il Capitano della Rocca, sono le vetrine con il gran numero di armi bianche e da fuoco, a coprire il periodo storico dal Cinquecento all’Ottocento. Affacciandosi dagli spalti è possibile vedere il profilo delle colline imolesi e un cortile interno, il cosiddetto cortile del Paradiso, dove si vedono gli eleganti archi della palazzina rinascimentale voluta da Caterina Sforza. Salendo al mastio la sorpresa è quella di una vista panoramica sulle colline imolesi e sulla città storica, punteggiata dal profilo della cattedrale e dei campanili delle chiese. In un luogo così antico c’è spazio anche per la tecnologia grazie ad un percorso in realtà aumentata, dove Leonardo da Vinci che fu a Imola nel 1502 come ingegnere militare al seguito di Cesare Borgia, narra le vicende della Rocca nel luogo stesso dove avvennero.
18 personas del lugar lo recomiendan
Rocca Sforzesca di Imola
Piazzale Giovanni Dalle Bande Nere
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Imola ROCCA SFORZESCA Posta a difesa a della città, la Rocca Sforzesca è un’ideale cerniera tra il paesaggio collinare imolese e la città storica ed è il monumento identificativo di Imola. Arrivando si intravede, nel perimetro davanti al ponte levatoio, la traccia di un rivellino posto a guardia dell’ingresso. Le alte cortine murarie presentano agli angoli quattro torri circolari e, passato il ponte levatoio, si entra nel primo cortile e nell’attiguo cortile delle Armi, dove un tempo avvenivano le esercitazioni militari. Al centro, a raccordo tra i due cortili è l’alta torre del mastio. Il percorso di visita parte dai sotterranei dove sono concervati i cannoni e i fucili da murata, per arrivare alle prigioni dove sono ancora visibili le scritte graffite sui muri da coloro che dal XV secolo fino agli anni 50 del secolo scorso, vi furono tenuti prigionieri. All’ammezzato è possibile vedere l’interno delle cannoniere e infine si arriva alla sala delle armi, con le due grandi armature complete e una parte della collezione di armi da fuoco. Nelle sale dove aveva la sua abitazione il Capitano della Rocca, sono le vetrine con il gran numero di armi bianche e da fuoco, a coprire il periodo storico dal Cinquecento all’Ottocento. Affacciandosi dagli spalti è possibile vedere il profilo delle colline imolesi e un cortile interno, il cosiddetto cortile del Paradiso, dove si vedono gli eleganti archi della palazzina rinascimentale voluta da Caterina Sforza. Salendo al mastio la sorpresa è quella di una vista panoramica sulle colline imolesi e sulla città storica, punteggiata dal profilo della cattedrale e dei campanili delle chiese. In un luogo così antico c’è spazio anche per la tecnologia grazie ad un percorso in realtà aumentata, dove Leonardo da Vinci che fu a Imola nel 1502 come ingegnere militare al seguito di Cesare Borgia, narra le vicende della Rocca nel luogo stesso dove avvennero.
Castello di Russi Le origini dell'abitato di Russi e del suo castello vanno ricercate nell'antichità; il ritrovamento di due tombe ad inumazione databili tra fine VII e inizio VI secolo a.C. sotto il piano di calpestio della Villa Romana, costituisce la più antica testimonianza di genti non etrusche stanziate in Romagna a partire dal VII secolo a.C. Da ciò si può comprendere come già in quel periodo il territorio russiano fosse abitato e come da allora, con continuità nei secoli, sia sempre stato sede di insediamenti di discreta importanza a livello locale. Senza la comprensione di ciò sfuggirebbe il perché della scelta, ad opera dei Da Polenta signori di Ravenna, di edificare proprio in questa zona un fortilizio che ha rivestito un ruolo molto importante, tra Medioevo e Rinascimento, nelle lotte per la supremazia nel territorio romagnolo tra le città di Faenza e di Ravenna, ma non solo. Dall'analisi delle fonti, emerge come il villaggio di Russi sia sempre stato un agglomerato piuttosto importante nel territorio (come testimoniato dai termini vico e villa , presenti in alcuni documenti a descrizione dell'abitato russiano) in quanto è testimoniato a partire dal X secolo d.C. e con continuità; curioso e significativo è anche il fatto che il toponimo sia rimasto praticamente invariato nei secoli. La maggior parte dei documenti consultati per ricostruire la storia di Russi nei primi secoli del Medioevo provengono dall'Archivio Storico Arcivescovile di Ravenna; la chiesa ravennate infatti esercitò un controllo diretto sul territorio per molti secoli. Solo a partire dal XII secolo fece la sua comparsa sulla scena ravennate la famiglia Da Polenta che ben si inserì nei centri di potere ravennate. Nel tardo Duecento e per tutto il Trecento una buona politica espansionistica della famiglia ravennate portò ad una crescita delle fortune patrimoniali del casato in area urbana ma anche nel territorio circostante e Russi appare all'interno di un'area di addensamento di possessi della famiglia. Sicuramente Guido Da Polenta, nella seconda metà del XIV secolo, sentì il bisogno di fortificare i confini del territorio ravennate per difendersi dai Manfredi di Faenza, e la necessità fu resa più impellente dalla scomparsa dei castelli di Cortina, Raffanaria e dal generale peggioramento delle strutture difensive preesistenti. In seguito a ciò Guido Da Polenta decise di costruire il castrum Russi che fin dai primi anni dalla sua fondazione (i primi documenti che lo citano risalgono agli anni '60 del Trecento) fu oggetto di aspre contese tra ravennati e faentini, passando nel 1381 sotto il diretto controllo dei Manfredi con Astorgio I che lo governò fino agli inizi del XV secolo e poi ancora nel 1438 quando Astorgio II, nonostante i rapporti di parentela con i Da Polenta, si impadronì nuovamente di Russi. Molto utile per completare il quadro storico relativo a Russi nel Basso Medioevo si è rivelata la documentazione relativa alla dominazione polentana e veneziana, conservata presso l'Archivio di Stato di Ravenna e la Biblioteca Classense. Così tra Quattrocento e Cinquecento il castello di Russi mantenne la sua primaria funzione di sentinella avanzata dei Manfredi di fronte al dominio dei Da Polenta, per poi passare nel 1503 sotto il dominio della Repubblica di Venezia; solo quest'ultima concesse qualche sporadico momento di tranquillità al territorio russiano ma la riconquista del territorio da parte dello Stato della Chiesa nel 1509 portò Russi nuovamente nella giurisdizione faentina. Anche il passaggio delle truppe franco-ferraresi guidate del celebre Gastone de Foix lasciò un segno indelebile nella storia di Russi: nell'aprile 1512, prima di attaccare Ravenna, il condottiero decise di assicurarsi il territorio a nord della città impadronendosi anche del castello di Russi e abbandonandosi ad inaudite crudeltà. Pochi anni dopo, nel 1527, il territorio russiano fu sottoposto a nuovi saccheggi da parte dei Lanzichenecchi in marcia verso Roma. Per tutto il Seicento e buona parte del Settecento il castrum Russi fu soggetto a riesaminazioni e riparazioni del sistema difensivo e ad ampliamenti e modifiche dell'impianto urbano; crolli naturali e demolizioni delle mura della rocca continuarono per tutto il Settecento quando ebbe inizio anche la costruzione di case sui fossati e quindi l'ampliamento dell'abitato. Così, lentamente, il castrum Russi, come tanti altri luoghi fortificati, venne a perdere quella che era la sua primaria funzione di rocca eretta a controllo e difesa del territorio contro le offese di nemici vicini e lontani e così iniziò la trasformazione del volto di Russi.
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Russi
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Castello di Russi Le origini dell'abitato di Russi e del suo castello vanno ricercate nell'antichità; il ritrovamento di due tombe ad inumazione databili tra fine VII e inizio VI secolo a.C. sotto il piano di calpestio della Villa Romana, costituisce la più antica testimonianza di genti non etrusche stanziate in Romagna a partire dal VII secolo a.C. Da ciò si può comprendere come già in quel periodo il territorio russiano fosse abitato e come da allora, con continuità nei secoli, sia sempre stato sede di insediamenti di discreta importanza a livello locale. Senza la comprensione di ciò sfuggirebbe il perché della scelta, ad opera dei Da Polenta signori di Ravenna, di edificare proprio in questa zona un fortilizio che ha rivestito un ruolo molto importante, tra Medioevo e Rinascimento, nelle lotte per la supremazia nel territorio romagnolo tra le città di Faenza e di Ravenna, ma non solo. Dall'analisi delle fonti, emerge come il villaggio di Russi sia sempre stato un agglomerato piuttosto importante nel territorio (come testimoniato dai termini vico e villa , presenti in alcuni documenti a descrizione dell'abitato russiano) in quanto è testimoniato a partire dal X secolo d.C. e con continuità; curioso e significativo è anche il fatto che il toponimo sia rimasto praticamente invariato nei secoli. La maggior parte dei documenti consultati per ricostruire la storia di Russi nei primi secoli del Medioevo provengono dall'Archivio Storico Arcivescovile di Ravenna; la chiesa ravennate infatti esercitò un controllo diretto sul territorio per molti secoli. Solo a partire dal XII secolo fece la sua comparsa sulla scena ravennate la famiglia Da Polenta che ben si inserì nei centri di potere ravennate. Nel tardo Duecento e per tutto il Trecento una buona politica espansionistica della famiglia ravennate portò ad una crescita delle fortune patrimoniali del casato in area urbana ma anche nel territorio circostante e Russi appare all'interno di un'area di addensamento di possessi della famiglia. Sicuramente Guido Da Polenta, nella seconda metà del XIV secolo, sentì il bisogno di fortificare i confini del territorio ravennate per difendersi dai Manfredi di Faenza, e la necessità fu resa più impellente dalla scomparsa dei castelli di Cortina, Raffanaria e dal generale peggioramento delle strutture difensive preesistenti. In seguito a ciò Guido Da Polenta decise di costruire il castrum Russi che fin dai primi anni dalla sua fondazione (i primi documenti che lo citano risalgono agli anni '60 del Trecento) fu oggetto di aspre contese tra ravennati e faentini, passando nel 1381 sotto il diretto controllo dei Manfredi con Astorgio I che lo governò fino agli inizi del XV secolo e poi ancora nel 1438 quando Astorgio II, nonostante i rapporti di parentela con i Da Polenta, si impadronì nuovamente di Russi. Molto utile per completare il quadro storico relativo a Russi nel Basso Medioevo si è rivelata la documentazione relativa alla dominazione polentana e veneziana, conservata presso l'Archivio di Stato di Ravenna e la Biblioteca Classense. Così tra Quattrocento e Cinquecento il castello di Russi mantenne la sua primaria funzione di sentinella avanzata dei Manfredi di fronte al dominio dei Da Polenta, per poi passare nel 1503 sotto il dominio della Repubblica di Venezia; solo quest'ultima concesse qualche sporadico momento di tranquillità al territorio russiano ma la riconquista del territorio da parte dello Stato della Chiesa nel 1509 portò Russi nuovamente nella giurisdizione faentina. Anche il passaggio delle truppe franco-ferraresi guidate del celebre Gastone de Foix lasciò un segno indelebile nella storia di Russi: nell'aprile 1512, prima di attaccare Ravenna, il condottiero decise di assicurarsi il territorio a nord della città impadronendosi anche del castello di Russi e abbandonandosi ad inaudite crudeltà. Pochi anni dopo, nel 1527, il territorio russiano fu sottoposto a nuovi saccheggi da parte dei Lanzichenecchi in marcia verso Roma. Per tutto il Seicento e buona parte del Settecento il castrum Russi fu soggetto a riesaminazioni e riparazioni del sistema difensivo e ad ampliamenti e modifiche dell'impianto urbano; crolli naturali e demolizioni delle mura della rocca continuarono per tutto il Settecento quando ebbe inizio anche la costruzione di case sui fossati e quindi l'ampliamento dell'abitato. Così, lentamente, il castrum Russi, come tanti altri luoghi fortificati, venne a perdere quella che era la sua primaria funzione di rocca eretta a controllo e difesa del territorio contro le offese di nemici vicini e lontani e così iniziò la trasformazione del volto di Russi.
Bagnara di Romagna L’atmosfera di epoche lontane aleggia ancora nella Rocca Sforzesca, visitabile in tutte le stagioni. Oltre al mastio, elementi di notevole interesse sono il cortile centrale, giunto a noi nel suo aspetto rinascimentale, alcuni ambienti interni con i soffitti lignei originali, i supporti in ferro del ponte levatoio, i loggiati, il pozzo di riserva d'acqua e la scala a chiocciola formata da 78 monoliti in arenaria sovrapposti. Tutti elementi caratteristici del “bello stile cinquecentesco”. Oggi la Rocca ospita il Museo del Castello; nella sua sezione archeologica importanti reperti illustrano la storia del borgo dall'Età del Bronzo fino al Medioevo, di cui resta l'importante sito archeologico dei Prati di S. Andrea, parte fondamentale dell'originario abitato.
Bagnara di Romagna
Bagnara di Romagna L’atmosfera di epoche lontane aleggia ancora nella Rocca Sforzesca, visitabile in tutte le stagioni. Oltre al mastio, elementi di notevole interesse sono il cortile centrale, giunto a noi nel suo aspetto rinascimentale, alcuni ambienti interni con i soffitti lignei originali, i supporti in ferro del ponte levatoio, i loggiati, il pozzo di riserva d'acqua e la scala a chiocciola formata da 78 monoliti in arenaria sovrapposti. Tutti elementi caratteristici del “bello stile cinquecentesco”. Oggi la Rocca ospita il Museo del Castello; nella sua sezione archeologica importanti reperti illustrano la storia del borgo dall'Età del Bronzo fino al Medioevo, di cui resta l'importante sito archeologico dei Prati di S. Andrea, parte fondamentale dell'originario abitato.

Castelli e Rocche provincia dì Rimini

Rimini «Del Castello, fatto costruire nel Quattrocento da Sigismondo Pandolfo Malatesta, è superstite il solo nucleo centrale. Sigismondo ne iniziò la costruzione il 20 marzo del 1437, penultimo mercoledì di quaresima, alle ore 18.48: giorno, ora e minuto probabilmente erano fissati da un oroscopo predisposto con cura dagli astrologi di corte. Ne proclamò la conclusione "ufficiale" nel 1446, un anno per lui particolarmente fortunato: ma in realtà vi si lavorava ancora nel 1454. Il castello fu concepito come palazzo e fortezza insieme, come degna sede per la corte e per la guarnigione e come segno di potere e di supremazia sulla città. Come architetto dell’opera fu celebrato dagli scrittori di corte lo stesso Sigismondo, che infatti se ne attribuisce la paternità nelle grandi epigrafi marmoree murate nell’edificio. Se per architetto intendiamo l’ispiratore, l’ideatore, il coordinatore, cioè un committente con esigenze e idee ben precise, allora possiamo accettare questa "attribuzione". In ogni caso egli si è servito dell’opera di diversi professionisti e specialisti; abbiamo notizia di una importante consulenza eseguita a lavori da poco iniziati da Filippo Brunelleschi, che nel 1438 fu a Rimini per un paio di mesi e compì tutta una serie di sopralluoghi alle principali fortezze malatestiane in Romagna e nelle Marche. La costruzione conserva un notevole fascino, con le sue grosse torri quadrate e le poderose muraglie a scarpa, il cui effetto originario, quando si innalzavano dal profondo fossato, doveva essere formidabile; e Roberto Valturio non a torto le paragonava, per la loro inclinazione e la loro grandiosità, a piramidi. L’ingresso verso la città, che era un terrapieno e da un doppio rivellino con ponti levatoi, è ornato da uno stemma costituito dal classico scudo con bande a scacchi, sormontato da un cimiero a testa d’elefante crestato e affiancato da una rosa quadripetala: si tratta di un rilievo d’ispirazione pisanelliana, di buona qualità, scolpito da un artista probabilmente veneto, come dimostrano le cadenze goticheggianti della figurazione. A sinistra e a destra dello stemma è scritto "Sigismondo Pandolfo" in caratteri gotici minuscoli, alti e pittoreschi. Fra lo stemma ed il portale marmoreo è murata una delle epigrafi dedicatorie del castello, con un solenne testo latino scolpito in caratteri lapidari (uno dei primi esempi di "rinascita" dei caratteri classici). Per Sigismondo il castello doveva rappresentare visivamente la fortezza del potere, secondo un concetto ancora del tutto medievale, realizzato necessariamente in forme tradizionali, cioè più espressionisticamente pittoresche che razionalmente armoniche; come dimostrava la mutevole prospettiva delle torri, la compattezza delle cortine merlate, l’uso costante di archi acuti e di inserti lapidei e ceramici, lo sfarzo delle dorature e degli intonaci colorati in verde e rosso (i colori araldici malatestiani) documentati dagli scrittori. In questo suo amatissimo castello Sigismondo è morto il 7 ottobre del 1468. Notizie aggiuntive. Il complesso di Castel Sismondo, detto anche ‘Rocca Malatestiana’ si articola in quattro parti comunicanti tra loro: il Palazzo di Isotta, su tre piani comunicanti tra loro; il corpo centrale dei servizi, su due piani; il cortile grande, di notevole superficie; e il Maschio, che è la parte centrale e più suggestiva dell’intero complesso, con due piani collegati tra loro da uno scalone elicoidale posto nella Torre maggiore. Complessivamente, tra parti coperte e cortili, la Rocca ha una superficie di oltre 3.300 mq Questa struttura così complessa ha recentemente subito un accurato restauro grazie all' intervento della Fondazione Cassa di Risparmio di Rimini, che nel marzo del 1999 ha firmato una convenzione con il Comune di Rimini riguardante "la promozione, il sostegno e il coordinamento delle attività culturali nella Rocca Malatestiana". Lo scopo è quello di fare di Castel Sismondo un luogo permanentemente visitabile sotto il profilo monumentale e in grado di ospitare iniziative in campo culturale e artistico».
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Castel Sismondo
Piazza Malatesta
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Rimini «Del Castello, fatto costruire nel Quattrocento da Sigismondo Pandolfo Malatesta, è superstite il solo nucleo centrale. Sigismondo ne iniziò la costruzione il 20 marzo del 1437, penultimo mercoledì di quaresima, alle ore 18.48: giorno, ora e minuto probabilmente erano fissati da un oroscopo predisposto con cura dagli astrologi di corte. Ne proclamò la conclusione "ufficiale" nel 1446, un anno per lui particolarmente fortunato: ma in realtà vi si lavorava ancora nel 1454. Il castello fu concepito come palazzo e fortezza insieme, come degna sede per la corte e per la guarnigione e come segno di potere e di supremazia sulla città. Come architetto dell’opera fu celebrato dagli scrittori di corte lo stesso Sigismondo, che infatti se ne attribuisce la paternità nelle grandi epigrafi marmoree murate nell’edificio. Se per architetto intendiamo l’ispiratore, l’ideatore, il coordinatore, cioè un committente con esigenze e idee ben precise, allora possiamo accettare questa "attribuzione". In ogni caso egli si è servito dell’opera di diversi professionisti e specialisti; abbiamo notizia di una importante consulenza eseguita a lavori da poco iniziati da Filippo Brunelleschi, che nel 1438 fu a Rimini per un paio di mesi e compì tutta una serie di sopralluoghi alle principali fortezze malatestiane in Romagna e nelle Marche. La costruzione conserva un notevole fascino, con le sue grosse torri quadrate e le poderose muraglie a scarpa, il cui effetto originario, quando si innalzavano dal profondo fossato, doveva essere formidabile; e Roberto Valturio non a torto le paragonava, per la loro inclinazione e la loro grandiosità, a piramidi. L’ingresso verso la città, che era un terrapieno e da un doppio rivellino con ponti levatoi, è ornato da uno stemma costituito dal classico scudo con bande a scacchi, sormontato da un cimiero a testa d’elefante crestato e affiancato da una rosa quadripetala: si tratta di un rilievo d’ispirazione pisanelliana, di buona qualità, scolpito da un artista probabilmente veneto, come dimostrano le cadenze goticheggianti della figurazione. A sinistra e a destra dello stemma è scritto "Sigismondo Pandolfo" in caratteri gotici minuscoli, alti e pittoreschi. Fra lo stemma ed il portale marmoreo è murata una delle epigrafi dedicatorie del castello, con un solenne testo latino scolpito in caratteri lapidari (uno dei primi esempi di "rinascita" dei caratteri classici). Per Sigismondo il castello doveva rappresentare visivamente la fortezza del potere, secondo un concetto ancora del tutto medievale, realizzato necessariamente in forme tradizionali, cioè più espressionisticamente pittoresche che razionalmente armoniche; come dimostrava la mutevole prospettiva delle torri, la compattezza delle cortine merlate, l’uso costante di archi acuti e di inserti lapidei e ceramici, lo sfarzo delle dorature e degli intonaci colorati in verde e rosso (i colori araldici malatestiani) documentati dagli scrittori. In questo suo amatissimo castello Sigismondo è morto il 7 ottobre del 1468. Notizie aggiuntive. Il complesso di Castel Sismondo, detto anche ‘Rocca Malatestiana’ si articola in quattro parti comunicanti tra loro: il Palazzo di Isotta, su tre piani comunicanti tra loro; il corpo centrale dei servizi, su due piani; il cortile grande, di notevole superficie; e il Maschio, che è la parte centrale e più suggestiva dell’intero complesso, con due piani collegati tra loro da uno scalone elicoidale posto nella Torre maggiore. Complessivamente, tra parti coperte e cortili, la Rocca ha una superficie di oltre 3.300 mq Questa struttura così complessa ha recentemente subito un accurato restauro grazie all' intervento della Fondazione Cassa di Risparmio di Rimini, che nel marzo del 1999 ha firmato una convenzione con il Comune di Rimini riguardante "la promozione, il sostegno e il coordinamento delle attività culturali nella Rocca Malatestiana". Lo scopo è quello di fare di Castel Sismondo un luogo permanentemente visitabile sotto il profilo monumentale e in grado di ospitare iniziative in campo culturale e artistico».
Riccione Il Castello degli Agolanti, o Tomba, prende il nome dalla nobile famiglia fiorentina in esilio che lo fece edificare nella prima metà del XIV secolo, probabilmente su una costruzione preesistente. L'edificio viene descritto nei documenti dell'epoca come una pregevole costruzione fortificata. La sua storia rimane legata agli Agolanti fino al XVIII secolo. Molti autori riportano l'arrivo di questa prestigiosa famiglia nel riminese intorno alla fine del XIII secolo; con alterne vicende fu legata ai Malatesta e vari componenti di essa rivestirono importanti cariche in seno all'amministrazione locale. A Riccione gli Agolanti non risiedettero in modo stabile, usarono il Castello come residenza di campagna per il controllo dell'attività agricola legata ai loro possedimenti o come luogo di villeggiatura e di rappresentanza. Rosita Copioli in un suo intervento in "Studi Romagnoli" indica nel testamento di Cesare Agolanti, del 1415, la prima menzione di un Agolanti sul possesso della tomba. Nel periodo del suo massimo splendore, nella metà del XVII secolo, il Castello di Riccione ben due volte ospitò la regina Cristina di Svezia in peregrinazione dalla residenza di Roma. Il cronista riminese Ubaldo Antonio Marchi così descrive l'edificio nel 1743: "Questo palazzo è uno delle belle fabbriche, anzi la migliore, che sia nel territorio del Rimino, perché oltre la sua ampiezza e nobiltà, è formato a guisa di castello con suoi torrioni alle quattro cantonate, colle muraglie al di fuori delle mura castellane, con una fossa non piccola d'intorno, in cui si suole far andar l'acqua co'suoi ponti levatoi: l'abitabile poi è molto, e non ignobile con comodissimi sotterranei e necessarie officine". Recenti ricerche archeologiche non hanno rilevato la presenza del quarto torrione. Fonti storiche documentano l'esistenza di una chiesina e di un "camerino ad uso biblioteca" all'interno della Tomba Bianca, che custodiva la raccolta di libri di famiglia, ritenuta cospicua, purtroppo andata perduta L'edificio costituì per l'importante posizione strategica un punto d'osservazione privilegiato, un avamposto, tanto che nel 1743 fu trasformato in quartier generale dell'esercito austriaco agli ordini del generale Lobkowitz. Ancora nella metà del Settecento sembra essere in buone condizioni. Luigi Vendramin ci informa, nel suo saggio in Tracce di storia, che "si hanno notizie di vari restauri e rimaneggiamenti avvenuti nel tempo; il bel palazzo, non più posseduto dagli Agolanti dall'inizio del XVIII secolo, per la morte di Alessandro, passò successivamente alle famiglie Bertola (o Bertolli), Pedrocchi di Brescia, Buonadrata ed altri ancora. Fu gravemente danneggiato dal terremoto del 1786, venne, successivamente, in parte abbattuto e in parte adibito a casa colonica e tale rimase fino a quando, nel 1982, fu ceduto dai signori Verni di S. Giovanni in Marignano all'Amministrazione comunale di Riccione, ormai ridotto a misero rudere". L'Amministrazione comunale di Riccione ha effettuato un notevole intervento di ristrutturazione dell'edificio, tornato a nuova vita come contenitore culturale nel rispetto della sua valenza storica e ambientale
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Castello Degli Agolanti
Via Caprera
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Riccione Il Castello degli Agolanti, o Tomba, prende il nome dalla nobile famiglia fiorentina in esilio che lo fece edificare nella prima metà del XIV secolo, probabilmente su una costruzione preesistente. L'edificio viene descritto nei documenti dell'epoca come una pregevole costruzione fortificata. La sua storia rimane legata agli Agolanti fino al XVIII secolo. Molti autori riportano l'arrivo di questa prestigiosa famiglia nel riminese intorno alla fine del XIII secolo; con alterne vicende fu legata ai Malatesta e vari componenti di essa rivestirono importanti cariche in seno all'amministrazione locale. A Riccione gli Agolanti non risiedettero in modo stabile, usarono il Castello come residenza di campagna per il controllo dell'attività agricola legata ai loro possedimenti o come luogo di villeggiatura e di rappresentanza. Rosita Copioli in un suo intervento in "Studi Romagnoli" indica nel testamento di Cesare Agolanti, del 1415, la prima menzione di un Agolanti sul possesso della tomba. Nel periodo del suo massimo splendore, nella metà del XVII secolo, il Castello di Riccione ben due volte ospitò la regina Cristina di Svezia in peregrinazione dalla residenza di Roma. Il cronista riminese Ubaldo Antonio Marchi così descrive l'edificio nel 1743: "Questo palazzo è uno delle belle fabbriche, anzi la migliore, che sia nel territorio del Rimino, perché oltre la sua ampiezza e nobiltà, è formato a guisa di castello con suoi torrioni alle quattro cantonate, colle muraglie al di fuori delle mura castellane, con una fossa non piccola d'intorno, in cui si suole far andar l'acqua co'suoi ponti levatoi: l'abitabile poi è molto, e non ignobile con comodissimi sotterranei e necessarie officine". Recenti ricerche archeologiche non hanno rilevato la presenza del quarto torrione. Fonti storiche documentano l'esistenza di una chiesina e di un "camerino ad uso biblioteca" all'interno della Tomba Bianca, che custodiva la raccolta di libri di famiglia, ritenuta cospicua, purtroppo andata perduta L'edificio costituì per l'importante posizione strategica un punto d'osservazione privilegiato, un avamposto, tanto che nel 1743 fu trasformato in quartier generale dell'esercito austriaco agli ordini del generale Lobkowitz. Ancora nella metà del Settecento sembra essere in buone condizioni. Luigi Vendramin ci informa, nel suo saggio in Tracce di storia, che "si hanno notizie di vari restauri e rimaneggiamenti avvenuti nel tempo; il bel palazzo, non più posseduto dagli Agolanti dall'inizio del XVIII secolo, per la morte di Alessandro, passò successivamente alle famiglie Bertola (o Bertolli), Pedrocchi di Brescia, Buonadrata ed altri ancora. Fu gravemente danneggiato dal terremoto del 1786, venne, successivamente, in parte abbattuto e in parte adibito a casa colonica e tale rimase fino a quando, nel 1982, fu ceduto dai signori Verni di S. Giovanni in Marignano all'Amministrazione comunale di Riccione, ormai ridotto a misero rudere". L'Amministrazione comunale di Riccione ha effettuato un notevole intervento di ristrutturazione dell'edificio, tornato a nuova vita come contenitore culturale nel rispetto della sua valenza storica e ambientale
Secchiano Sopra Secchiano, il sasso di Vico e il sasso di Galasso funsero per secoli da basamento a due castelli. Nel 1000 però il castello di Vico pare fosse già scomparso, mentre dal suo maniero Galasso di Secchiano, intorno al 1300, in tempo di pace, non seppe resistere alla tentazione della guerra. E mise a ferro e fuoco il Montefeltro, con il pretesto di colpire i guelfi, suoi nemici politici. Mosse da Cesena, dov’era podestà, ponendosi a capo di feroci masnade ghibelline. Rase al suolo il castello di Piega, facendo barbaramente strage degli Olivieri, dinasti del luogo. Non contento occupò Uffogliano, Castel Nuovo presso San Leo e con il valido ausilio di Uguccione della Faggiola, conquistò Gubbio di cui divenne signore. La cattiva sorte arrecata ai danni altrui toccò però anche al suo castello per mano di Sigismondo Pandolfo Malatesta, che nel 1458, furente per la strenua difesa dei castellani, lo portò a distruzione avanzata. Un altro attacco decisivo lo subì per opera dei Franchi, alleati del Papa. Oggi sul punto più alto del sasso, un tratto di mura ne svela spessore e possenza, anche se somiglia sempre di più a un ammasso di pietre che continuano a rotolare dai molti varchi. Ai piedi delle rovine resiste un torrioncino semicircolare trasformato in abitazione e un bel gruppo di vecchie case che si allunga fino a contenere la chiesa. Questa è stata svuotata di tutto, tranne che di quei colori chiari sulle pareti così amati dalla gente, ce a continuato a ripristinarli fino al giorno dell’abbandono. Ora, se di queste mura più volte assediate resta poco o nulla, a Secchiano bisogna in ogni caso fermasi per entrare nel cuore di quella che fu ls sua più recente esistenza. tratto da “I sentieri magici della Valmarecchia“ di Rita Giannini e Tonino Mosconi Un cammino nei sette territori dell’antico Montefeltro
Castello di Galasso da Montefeltro
Via Alessandro Volta
Secchiano Sopra Secchiano, il sasso di Vico e il sasso di Galasso funsero per secoli da basamento a due castelli. Nel 1000 però il castello di Vico pare fosse già scomparso, mentre dal suo maniero Galasso di Secchiano, intorno al 1300, in tempo di pace, non seppe resistere alla tentazione della guerra. E mise a ferro e fuoco il Montefeltro, con il pretesto di colpire i guelfi, suoi nemici politici. Mosse da Cesena, dov’era podestà, ponendosi a capo di feroci masnade ghibelline. Rase al suolo il castello di Piega, facendo barbaramente strage degli Olivieri, dinasti del luogo. Non contento occupò Uffogliano, Castel Nuovo presso San Leo e con il valido ausilio di Uguccione della Faggiola, conquistò Gubbio di cui divenne signore. La cattiva sorte arrecata ai danni altrui toccò però anche al suo castello per mano di Sigismondo Pandolfo Malatesta, che nel 1458, furente per la strenua difesa dei castellani, lo portò a distruzione avanzata. Un altro attacco decisivo lo subì per opera dei Franchi, alleati del Papa. Oggi sul punto più alto del sasso, un tratto di mura ne svela spessore e possenza, anche se somiglia sempre di più a un ammasso di pietre che continuano a rotolare dai molti varchi. Ai piedi delle rovine resiste un torrioncino semicircolare trasformato in abitazione e un bel gruppo di vecchie case che si allunga fino a contenere la chiesa. Questa è stata svuotata di tutto, tranne che di quei colori chiari sulle pareti così amati dalla gente, ce a continuato a ripristinarli fino al giorno dell’abbandono. Ora, se di queste mura più volte assediate resta poco o nulla, a Secchiano bisogna in ogni caso fermasi per entrare nel cuore di quella che fu ls sua più recente esistenza. tratto da “I sentieri magici della Valmarecchia“ di Rita Giannini e Tonino Mosconi Un cammino nei sette territori dell’antico Montefeltro
Montefiore Conca La nascita del castello è stata per anni fissata intorno alla metà del 1300, ma i recenti scavi archeologici (2006-2008) hanno ipotizzato che maestranze locali abbiano lavorato alla realizzazione di questo complesso già a partire dall'XI secolo. Di certo comunque la rocca di Montefiore è legata a doppio filo con i Malatesta, potente famiglia guelfa che ha dominato tutto il territorio riminese e pesarese nel Trecento e Quattrocento. Risale al 1322 un documento col quale Papa Giovanni XXII approva la cessione di Montefeltro a Malatesta soprannominato "Guastafamiglia" e al fratello Galeotto, nipoti di Mastin Vecchio, e fu proprio il Guastafamiglia che ne promuove il primo intervento atto a rinforzare la rocca e a trasformarla anche in palazzo residenziale, tanto che già nel 1347 il fabbricato risulta degno di ospitare Ludovico re d'Ungheria. Nel 1377 fra le sue mura nasce Galeotto Novello Malatesta, detto "Belfiore". Dopo di lui la proprietà passa al fratello Carlo e poi al nipote Galeotto, al quale succedono Pandolfo Malatesta e Malatesta Ungaro. È del periodo di questi ultimi regnanti l'ulteriore ampliamento ed abbellimento del manufatto, proseguito e completato poi da Sigismondo Pandolfo Malatesta, signore illuminato ed amante delle arti. L'audacia di Sigismondo e i dissapori venutosi a creare con lo stato della Chiesa, portarono ben presto al declino della famiglia dei Malatesta, scomunicati e attaccati dal loro irriducibile nemico, Federico da Montefeltro Duca di Urbino. Montefiore nel 1462 passò così sotto il dominio diretto dello Stato Pontificio, ed è di questo periodo la sostituzione degli stemmi Malatestiani posti sulla porta Curina con gli stemmi araldici del ponteficie Pio II, e la costruzione del "muro grosso". Nel periodo successivo governarono il paese i Guidi di Bagno, i Borgia (1500-1503) e i Veneziani (1504-1505). Il governo venne concesso in feudo dal 1514 al principe macedone Costantino Commeno, nel 1517 a Lorenzo di Piero de' Medici e dal 1524 ancora al Commeno che qui morì nel 1530. Subordinato alla provincia ecclesiastica di Romagna nel 1578, già nel 1600 per mancanza di manutenzione risultano documentati i primi crolli della rocca. Abbandonato e considerato ormai una cava di pietre, nel 1828 viene descritto senza tetti e pavimenti. Le strutture dell'attuale castello sono in massima parte oggetto di una ricostruzione effettuata nel secondo dopoguerra, restauri che hanno in gran parte distrutto o nascosto le antiche murature. Una campagna di scavi iniziata nel 2006 sta riportando alla luce dati e reperti relativi alle antiche strutture della rocca Malatestiana. Iniziamo la sua visita dai piedi dell'imponente fabbricato, struttura che è possibile aggirare completamente grazie ad un ampio camminamento terrazzato dal quale è possibile ammirare le torri quadrate del muro grosso e in posizione sottostante il "giardino", ampio spiazzo nel quale probabilmente in antichità si svolgevano i combattimenti. A pian terreno è visitabile un ampio locale saltuariamente utilizzato come mostra/museo dei reperti rinvenuti nel castello. Sempre a pian terreno è possibile visionare la zona archeologica oggetto di scavi nel 2008 con rinvenimento di pozzi e ambienti voltati a botte con aperture per lo smaltimento dei rifiuti (pozzi da butto), oltre ad un ingegnoso sistema per la raccolta delle acque piovane che, raccordato ad un sistema di filtri riempiti di sabbia, canalizzava l'acqua così depurata ad una cisterna. Il castello non era solo un'opera di difesa, ma anche un edificio residenziale ricco di decorazioni ed opere d'arte, anche se purtroppo ad oggi non è rimasto molto dei notevoli affreschi che dovevano ornare le ampie sale nel periodo Malatestiano. Accedendo al piano superiore si può visitare un'ampia sala con volta a crociera (la sala del trono) dove sono esposti i resti di alcuni affreschi attribuiti a Jacopo Avanzi, importante artista Bolognese attivo fra Bologna e Padova nella seconda metà del Trecento. Un'altra ampia sala detta dell'Imperatore, con soffitto originariamente azzurro e trapuntato di stelle, doveva avere le pareti completamente affrescate con scene ispirate all'Eneide, di queste rimangono solo alcuni brandelli. Salendo all'ultimo piano si accede al terrazzo sulla sommità del castello, dal quale si può ammirare uno splendido panorama che spazia dalla costa Romagnola, a San Marino e alle più alte vette del crinale appenninico.
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Roca de Montefiore Conca
Via II Giugno
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Montefiore Conca La nascita del castello è stata per anni fissata intorno alla metà del 1300, ma i recenti scavi archeologici (2006-2008) hanno ipotizzato che maestranze locali abbiano lavorato alla realizzazione di questo complesso già a partire dall'XI secolo. Di certo comunque la rocca di Montefiore è legata a doppio filo con i Malatesta, potente famiglia guelfa che ha dominato tutto il territorio riminese e pesarese nel Trecento e Quattrocento. Risale al 1322 un documento col quale Papa Giovanni XXII approva la cessione di Montefeltro a Malatesta soprannominato "Guastafamiglia" e al fratello Galeotto, nipoti di Mastin Vecchio, e fu proprio il Guastafamiglia che ne promuove il primo intervento atto a rinforzare la rocca e a trasformarla anche in palazzo residenziale, tanto che già nel 1347 il fabbricato risulta degno di ospitare Ludovico re d'Ungheria. Nel 1377 fra le sue mura nasce Galeotto Novello Malatesta, detto "Belfiore". Dopo di lui la proprietà passa al fratello Carlo e poi al nipote Galeotto, al quale succedono Pandolfo Malatesta e Malatesta Ungaro. È del periodo di questi ultimi regnanti l'ulteriore ampliamento ed abbellimento del manufatto, proseguito e completato poi da Sigismondo Pandolfo Malatesta, signore illuminato ed amante delle arti. L'audacia di Sigismondo e i dissapori venutosi a creare con lo stato della Chiesa, portarono ben presto al declino della famiglia dei Malatesta, scomunicati e attaccati dal loro irriducibile nemico, Federico da Montefeltro Duca di Urbino. Montefiore nel 1462 passò così sotto il dominio diretto dello Stato Pontificio, ed è di questo periodo la sostituzione degli stemmi Malatestiani posti sulla porta Curina con gli stemmi araldici del ponteficie Pio II, e la costruzione del "muro grosso". Nel periodo successivo governarono il paese i Guidi di Bagno, i Borgia (1500-1503) e i Veneziani (1504-1505). Il governo venne concesso in feudo dal 1514 al principe macedone Costantino Commeno, nel 1517 a Lorenzo di Piero de' Medici e dal 1524 ancora al Commeno che qui morì nel 1530. Subordinato alla provincia ecclesiastica di Romagna nel 1578, già nel 1600 per mancanza di manutenzione risultano documentati i primi crolli della rocca. Abbandonato e considerato ormai una cava di pietre, nel 1828 viene descritto senza tetti e pavimenti. Le strutture dell'attuale castello sono in massima parte oggetto di una ricostruzione effettuata nel secondo dopoguerra, restauri che hanno in gran parte distrutto o nascosto le antiche murature. Una campagna di scavi iniziata nel 2006 sta riportando alla luce dati e reperti relativi alle antiche strutture della rocca Malatestiana. Iniziamo la sua visita dai piedi dell'imponente fabbricato, struttura che è possibile aggirare completamente grazie ad un ampio camminamento terrazzato dal quale è possibile ammirare le torri quadrate del muro grosso e in posizione sottostante il "giardino", ampio spiazzo nel quale probabilmente in antichità si svolgevano i combattimenti. A pian terreno è visitabile un ampio locale saltuariamente utilizzato come mostra/museo dei reperti rinvenuti nel castello. Sempre a pian terreno è possibile visionare la zona archeologica oggetto di scavi nel 2008 con rinvenimento di pozzi e ambienti voltati a botte con aperture per lo smaltimento dei rifiuti (pozzi da butto), oltre ad un ingegnoso sistema per la raccolta delle acque piovane che, raccordato ad un sistema di filtri riempiti di sabbia, canalizzava l'acqua così depurata ad una cisterna. Il castello non era solo un'opera di difesa, ma anche un edificio residenziale ricco di decorazioni ed opere d'arte, anche se purtroppo ad oggi non è rimasto molto dei notevoli affreschi che dovevano ornare le ampie sale nel periodo Malatestiano. Accedendo al piano superiore si può visitare un'ampia sala con volta a crociera (la sala del trono) dove sono esposti i resti di alcuni affreschi attribuiti a Jacopo Avanzi, importante artista Bolognese attivo fra Bologna e Padova nella seconda metà del Trecento. Un'altra ampia sala detta dell'Imperatore, con soffitto originariamente azzurro e trapuntato di stelle, doveva avere le pareti completamente affrescate con scene ispirate all'Eneide, di queste rimangono solo alcuni brandelli. Salendo all'ultimo piano si accede al terrazzo sulla sommità del castello, dal quale si può ammirare uno splendido panorama che spazia dalla costa Romagnola, a San Marino e alle più alte vette del crinale appenninico.
Montegridolfo Tra la Romagna e le Marche, in un territorio estremamente verde e rigoglioso, si trova uno dei castelli più belli, eleganti e meglio conservati di tutta la Provinacia riminese: Montegridolfo. ll paesaggio è incantevole, costituito da delicate colline che corrono verso la pianura. Il paese con la sua struttura bella ed elegante, i suoi edifici storici e restaurati con minuziosa cura, hanno fatto diventare Montegridolfo uno dei centri turistici più rinomati dell'entroterra romagnolo. L'origine di Montegridolfo, tuttora, non é chiarissima a coloro che studiano l'antico. Ciò che é certo è che il precedente nome di questo splendido borgo era "Monte Lauro", che con molta probabilità deriva dalla grande quantità di alloro che cresceva rigogliosa nei vicini colli. Il nome "Montegridolfo", invece, risale al XIII sec. e deriva dal nome della famiglia Gridolfi che che si stabilì per un certo periodo di tempo in questa splendida zona. Il castello, con tutta probabilità, venne costruito nella fase del Medioevo in cui venivano edificati numerosi centri che fungevano da roccheforti per dominare tutta la valle. Montegridolfo, nel 1233, si alleò con Rimini nella conflitto contro Urbino. Nel 1288 "Monte Lauro" venne devastato, incendiato e derubato dai comuni di Saludecio e Mondaino. Il rapporto con Rimini si consolidò quando salì al potere la famiglia dei Malatesta, grazie ai quali venne ampliato e mantenuto il poderoso castello. Attorno al 1337, Malatesta Guastafamiglia fece innalzare delle mura nuove arrcchendole con 4 grandi torrioni che difendessero il centro abitato. Ma la posizione geografica di Montegridolfo, è motivo di forti lotte, devastazioni e continui passaggi di potere; fino a quando nel 1509 passò definitivamente allo Stato della Chiesa. Il minuzioso e splendido restauro ha fatto di Montegridolfo uno dei borghi meglio conservati. Il profondo colore dei mattoni fa da contrasto con il verde colore delle vicine colline. Pare quasi che tutto ciò che circonda il borgo sia in attesa di essere vissuto e scoperto in un altro tempo ed in un nuovo spazio. Il Castello malatestiano, oggi sede del Municipio, ha preservato interamente il suo originario aspetto. Non si può non visitare l'elegante porta ad arco, la rampa del cassero ed la sala gotica della "Grotta Azzurra". L'incanto del passato non si ferma di fronte al fortilizio ma vivacizza le silenziose viuzze, le chiese e i palazzi. Nella parte centrale di Montegridolfo vi è l'antica cappella del castello, la chiesa di San Rocco, al cui interno sono stati salvaguardati due affreschi che raffigurano la Madonna con Bambino e Santi. Questi due quadri sono stati attribuiti rispettivamente uno alla scuola giottesca e l'altro ad un pittore umbro-marchigiano del 1500».
Castello di Montegridolfo, SPA Resort
38 Via Roma
Montegridolfo Tra la Romagna e le Marche, in un territorio estremamente verde e rigoglioso, si trova uno dei castelli più belli, eleganti e meglio conservati di tutta la Provinacia riminese: Montegridolfo. ll paesaggio è incantevole, costituito da delicate colline che corrono verso la pianura. Il paese con la sua struttura bella ed elegante, i suoi edifici storici e restaurati con minuziosa cura, hanno fatto diventare Montegridolfo uno dei centri turistici più rinomati dell'entroterra romagnolo. L'origine di Montegridolfo, tuttora, non é chiarissima a coloro che studiano l'antico. Ciò che é certo è che il precedente nome di questo splendido borgo era "Monte Lauro", che con molta probabilità deriva dalla grande quantità di alloro che cresceva rigogliosa nei vicini colli. Il nome "Montegridolfo", invece, risale al XIII sec. e deriva dal nome della famiglia Gridolfi che che si stabilì per un certo periodo di tempo in questa splendida zona. Il castello, con tutta probabilità, venne costruito nella fase del Medioevo in cui venivano edificati numerosi centri che fungevano da roccheforti per dominare tutta la valle. Montegridolfo, nel 1233, si alleò con Rimini nella conflitto contro Urbino. Nel 1288 "Monte Lauro" venne devastato, incendiato e derubato dai comuni di Saludecio e Mondaino. Il rapporto con Rimini si consolidò quando salì al potere la famiglia dei Malatesta, grazie ai quali venne ampliato e mantenuto il poderoso castello. Attorno al 1337, Malatesta Guastafamiglia fece innalzare delle mura nuove arrcchendole con 4 grandi torrioni che difendessero il centro abitato. Ma la posizione geografica di Montegridolfo, è motivo di forti lotte, devastazioni e continui passaggi di potere; fino a quando nel 1509 passò definitivamente allo Stato della Chiesa. Il minuzioso e splendido restauro ha fatto di Montegridolfo uno dei borghi meglio conservati. Il profondo colore dei mattoni fa da contrasto con il verde colore delle vicine colline. Pare quasi che tutto ciò che circonda il borgo sia in attesa di essere vissuto e scoperto in un altro tempo ed in un nuovo spazio. Il Castello malatestiano, oggi sede del Municipio, ha preservato interamente il suo originario aspetto. Non si può non visitare l'elegante porta ad arco, la rampa del cassero ed la sala gotica della "Grotta Azzurra". L'incanto del passato non si ferma di fronte al fortilizio ma vivacizza le silenziose viuzze, le chiese e i palazzi. Nella parte centrale di Montegridolfo vi è l'antica cappella del castello, la chiesa di San Rocco, al cui interno sono stati salvaguardati due affreschi che raffigurano la Madonna con Bambino e Santi. Questi due quadri sono stati attribuiti rispettivamente uno alla scuola giottesca e l'altro ad un pittore umbro-marchigiano del 1500».
Santarcangelo di Romagna Santarcangelo è il classico castello quadrilatero a corte centrale, con mastio quadrato in un vertice e tre torri angolari a pianta pseudo esagonale, secondo una consolidata pratica di torri poligonali o a puntone pentagonale (in ambito malatestiano le torri cilindriche sono rarissime e si tende ad attribuirle al breve periodo della presenza veneziana nei primi anni del Cinquecento). Lo schema di “castello quadrilatero a corte centrale” si presenta nella variante che prevede solo tre ali residenziali, col lato d’ingresso privo di edifici. Le grandi scarpe basamentale sono tipiche dei castelli di Sigismondo e della sua epoca. Nel corso dei secoli il perdurante uso a residenza privata ha portato a rivedere più volte gli interni. Castrum Sancti Arcangeli è attestato per la prima volta nel 1037. È un castello del vescovo di Rimini, che vi possiede un palatium e lo perde nel XIII secolo ad opera del comune di Rimini. Dopo la dominazione di famiglia locale, nel 1386 Carlo Malatesta vi costruisce “la torre più alta e forte di Romagna”, secondo la descrizione di una cronaca dell’epoca. Nel 1447 il nipote Sigismondo Pandolfo amplia il castello, edifica le ali residenziali ed innalza agli angoli le tre torri poligonali. Dopo la caduta di Sigismondo appartiene alla Santa Sede, che in seguito lo aliena a privati. Il castello viene poi ulteriormente abbassato asportando il coronamento a merli e beccatelli. Attualmente è di proprietà privata. Nei castelli di Sigismondo vari tipi di torri ricorrono in più di un esemplare: dalle torri a puntone pieno di modesto sviluppo della rocchetta di San Clemente e Sant’Andrea in Besanigo (o in Patrignano), alle torri poligonali di Santarcangelo e della corte a mare di Castel Sismondo, alle più grandi torri pentagonali a puntone cavo di Monteleone e delle mura di Verucchio, alle torri a pianta quadrata di Senigallia e delle mura di Rimini lungo l’Ausa. Si ricava la sensazione che la committenza non assegnasse un tema specifico, ma che le decisioni fossero demandate al “maestro” di volta in volta incaricato dell’opera. Nel cortile si conserva il filtro dell’acqua piovana prima dell’immissione in cisterna. Filtri e cisterne, in quanto sotterranei, si sono conservati anche in quasi tutti i ruderi di castelli che costellano le nostre montagne. I sotterranei sono coperti con volte a botte, per irrobustire staticamente la struttura contro l’offesa delle artiglierie. L’uso di volte a botte è ricorrente nei castelli di Sigismondo, da Rimini a Mondaino e da Verucchio a Santarcangelo. Il lato d’ingresso mostra la perdita dell’intera terminazione beccatellata, che certamente coronava il castello. La mano di Sigismondo Pandolfo si rivela nella generosa scarpatura del castello e nella torre esagonale, successivamente dotata di nuove bombardiere. Una scala chiocciola che invade lo spazio interno assicura le comunicazioni verticali della grande torre di Carlo Malatesta dalla quale sono stati eliminati, nel corso del tempo, la maggior parte dei piani. Le bombardiere sono frequentissime nei castelli italiani, ammodernati per la difesa fino a tutto il Quattrocento e oltre. Costituiscono un prezioso “fossile guida” per la datazione delle varie parti delle strutture perché alla fine del XV secolo entra in uso il tipo “alla francese” , che dura pochi decenni e fornisce quindi una datazione tipologica piuttosto precisa».
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Castello malatestiano
4 Via della Rocca
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Santarcangelo di Romagna Santarcangelo è il classico castello quadrilatero a corte centrale, con mastio quadrato in un vertice e tre torri angolari a pianta pseudo esagonale, secondo una consolidata pratica di torri poligonali o a puntone pentagonale (in ambito malatestiano le torri cilindriche sono rarissime e si tende ad attribuirle al breve periodo della presenza veneziana nei primi anni del Cinquecento). Lo schema di “castello quadrilatero a corte centrale” si presenta nella variante che prevede solo tre ali residenziali, col lato d’ingresso privo di edifici. Le grandi scarpe basamentale sono tipiche dei castelli di Sigismondo e della sua epoca. Nel corso dei secoli il perdurante uso a residenza privata ha portato a rivedere più volte gli interni. Castrum Sancti Arcangeli è attestato per la prima volta nel 1037. È un castello del vescovo di Rimini, che vi possiede un palatium e lo perde nel XIII secolo ad opera del comune di Rimini. Dopo la dominazione di famiglia locale, nel 1386 Carlo Malatesta vi costruisce “la torre più alta e forte di Romagna”, secondo la descrizione di una cronaca dell’epoca. Nel 1447 il nipote Sigismondo Pandolfo amplia il castello, edifica le ali residenziali ed innalza agli angoli le tre torri poligonali. Dopo la caduta di Sigismondo appartiene alla Santa Sede, che in seguito lo aliena a privati. Il castello viene poi ulteriormente abbassato asportando il coronamento a merli e beccatelli. Attualmente è di proprietà privata. Nei castelli di Sigismondo vari tipi di torri ricorrono in più di un esemplare: dalle torri a puntone pieno di modesto sviluppo della rocchetta di San Clemente e Sant’Andrea in Besanigo (o in Patrignano), alle torri poligonali di Santarcangelo e della corte a mare di Castel Sismondo, alle più grandi torri pentagonali a puntone cavo di Monteleone e delle mura di Verucchio, alle torri a pianta quadrata di Senigallia e delle mura di Rimini lungo l’Ausa. Si ricava la sensazione che la committenza non assegnasse un tema specifico, ma che le decisioni fossero demandate al “maestro” di volta in volta incaricato dell’opera. Nel cortile si conserva il filtro dell’acqua piovana prima dell’immissione in cisterna. Filtri e cisterne, in quanto sotterranei, si sono conservati anche in quasi tutti i ruderi di castelli che costellano le nostre montagne. I sotterranei sono coperti con volte a botte, per irrobustire staticamente la struttura contro l’offesa delle artiglierie. L’uso di volte a botte è ricorrente nei castelli di Sigismondo, da Rimini a Mondaino e da Verucchio a Santarcangelo. Il lato d’ingresso mostra la perdita dell’intera terminazione beccatellata, che certamente coronava il castello. La mano di Sigismondo Pandolfo si rivela nella generosa scarpatura del castello e nella torre esagonale, successivamente dotata di nuove bombardiere. Una scala chiocciola che invade lo spazio interno assicura le comunicazioni verticali della grande torre di Carlo Malatesta dalla quale sono stati eliminati, nel corso del tempo, la maggior parte dei piani. Le bombardiere sono frequentissime nei castelli italiani, ammodernati per la difesa fino a tutto il Quattrocento e oltre. Costituiscono un prezioso “fossile guida” per la datazione delle varie parti delle strutture perché alla fine del XV secolo entra in uso il tipo “alla francese” , che dura pochi decenni e fornisce quindi una datazione tipologica piuttosto precisa».
San Savino frazione di Monte Colombo Il castello di San Savino è posto sulla strada panoramica che congiunge Coriano (e quindi le vicinissime Rimini e Riccione) a Monte Colombo e Montescudo. La fortificazione del piccolo borgo, da cui si controllano tutte le ricche campagne circostanti, viene fatta risalire tra la fine del 1400 e gli inizi del 1500, quindi all'epoca del declino della potenza malatestiana. A parte, quindi, i brevi periodi di dominio dei Malatesta, di Cesare Borgia e del Veneziani nel 1500, e di Napoleone a cavallo tra 1700 e 1800, San Savino è sempre stato amministrato dallo Stato Pontificio. Edificato, a differenza del castello di Monte Colombo, in mattoni e non il selce fluviale, quello di San Savino è un borgo fortificato posto lungo una delle direttrici più importanti dell'entroterra, che lo collega con il corianese e Rimini. Presenta tre delle quattro torri originarie completamente intatte e fruibili, con all'interno resti significativi dell'antico borgo residenziale. Le due torri della facciata anteriore sono state attrezzate ad accogliere l'esposizione/mostra di due delle attività più caratteristiche del territorio: l'antica stampa romagnola su tela e la produzione di olio e vino entrambe a cura di due aziende presenti a Monte Colombo. Dal 2000 la struttura è stata sottoposta a lavori di restauro; è stata realizzata la pavimentazione in selce, per la quale si è tenuto conto scrupolosamente delle metodologie storiche di posatura delle pietre, tanto che l'attuale pavimento riproduce fedelmente il tipico disegno a spina di pesce tracciato dalle antiche
Castello di San Savino
3 Via delle Mura
San Savino frazione di Monte Colombo Il castello di San Savino è posto sulla strada panoramica che congiunge Coriano (e quindi le vicinissime Rimini e Riccione) a Monte Colombo e Montescudo. La fortificazione del piccolo borgo, da cui si controllano tutte le ricche campagne circostanti, viene fatta risalire tra la fine del 1400 e gli inizi del 1500, quindi all'epoca del declino della potenza malatestiana. A parte, quindi, i brevi periodi di dominio dei Malatesta, di Cesare Borgia e del Veneziani nel 1500, e di Napoleone a cavallo tra 1700 e 1800, San Savino è sempre stato amministrato dallo Stato Pontificio. Edificato, a differenza del castello di Monte Colombo, in mattoni e non il selce fluviale, quello di San Savino è un borgo fortificato posto lungo una delle direttrici più importanti dell'entroterra, che lo collega con il corianese e Rimini. Presenta tre delle quattro torri originarie completamente intatte e fruibili, con all'interno resti significativi dell'antico borgo residenziale. Le due torri della facciata anteriore sono state attrezzate ad accogliere l'esposizione/mostra di due delle attività più caratteristiche del territorio: l'antica stampa romagnola su tela e la produzione di olio e vino entrambe a cura di due aziende presenti a Monte Colombo. Dal 2000 la struttura è stata sottoposta a lavori di restauro; è stata realizzata la pavimentazione in selce, per la quale si è tenuto conto scrupolosamente delle metodologie storiche di posatura delle pietre, tanto che l'attuale pavimento riproduce fedelmente il tipico disegno a spina di pesce tracciato dalle antiche
Poggio Torriana Posto su uno sperone roccioso che domina la valle del Marecchia ed il sottostante paese di Torriana. Dalla sua posizione si può controllare a 360 gradi tutto il territorio circostante, panorami a perdita d'occhio. Con l'antistante e ben visibile Verucchio, naturale vedetta sulla importante via di comunicazione «Ariminensis» che seguendo il corso del Marecchia congiungeva, e congiunge tutt'ora Arezzo con Rimini. Documentato fin dal 1141, all'epoca dipendeva dalla giurisdizione di San Giovanni in Galilea. Nel 1371 all'epoca della visita del cardinal Anglico il castello di Scorticata (il nome di Torriana verrà assunto solo nel 1938) contava 35 focolari. Lungamente conteso per la sua ottima posizione fra Chiesa, Comune di Rimini e Malatesta. Nei secoli XIII e XIV sotto il dominio dei Malatesta si narra che nelle sue segrete sia stato ucciso, dai figli del fratello Paolo, lo zio Gianciotto Malatesta, ricordato da Dante nella Divina Commedia per aver ucciso la moglie Francesca da Rimini ed il fratello Paolo, amanti. Alla morte di Gianciotto succederono i figli e Scorticata toccò a Pandolfo Malatesta. Nel 1462 il duca di Urbino espugnò il castello consegnandolo alla chiesa, che salvo un breve periodo di dominazione veneziana lo conservò fino al XVI secolo. Persa ogni importanza militare nel 1608 risultava soggetto al Comune di Rimini. Il castello era dotato di una lunga cinta muraria che controllava l'intera rupe (circa un chilometro), con vari punti di avvistamento. Le strutture originarie sono in gran parte crollate, restano parte della rocca che occupava il colle più alto, la porta con i due imponenti torrioni circolari, una cisterna e parte del maschio. Recentemente ristrutturata ed in parte utilizzata ad uso ristorante. In posizione sovrastante rispetto alla rocca la torre campanaria - lato verso mare - con attiguo edificio ecclesiastico, parzialmente ricostruito dopo la pressochè distruzione totale subita nella seconda guerra mondiale. Su un vicinissimo colle roccioso - lato monte - la torre quadrata, risalente al XIII secolo e dominante la valle del Marecchia. recentemente ristrutturato ben visibile da ogni punto, anticamente era collegato alla rocca con una serie di ponteggi.
Catello Due Torri (Torriana)
15 Via Castello
Poggio Torriana Posto su uno sperone roccioso che domina la valle del Marecchia ed il sottostante paese di Torriana. Dalla sua posizione si può controllare a 360 gradi tutto il territorio circostante, panorami a perdita d'occhio. Con l'antistante e ben visibile Verucchio, naturale vedetta sulla importante via di comunicazione «Ariminensis» che seguendo il corso del Marecchia congiungeva, e congiunge tutt'ora Arezzo con Rimini. Documentato fin dal 1141, all'epoca dipendeva dalla giurisdizione di San Giovanni in Galilea. Nel 1371 all'epoca della visita del cardinal Anglico il castello di Scorticata (il nome di Torriana verrà assunto solo nel 1938) contava 35 focolari. Lungamente conteso per la sua ottima posizione fra Chiesa, Comune di Rimini e Malatesta. Nei secoli XIII e XIV sotto il dominio dei Malatesta si narra che nelle sue segrete sia stato ucciso, dai figli del fratello Paolo, lo zio Gianciotto Malatesta, ricordato da Dante nella Divina Commedia per aver ucciso la moglie Francesca da Rimini ed il fratello Paolo, amanti. Alla morte di Gianciotto succederono i figli e Scorticata toccò a Pandolfo Malatesta. Nel 1462 il duca di Urbino espugnò il castello consegnandolo alla chiesa, che salvo un breve periodo di dominazione veneziana lo conservò fino al XVI secolo. Persa ogni importanza militare nel 1608 risultava soggetto al Comune di Rimini. Il castello era dotato di una lunga cinta muraria che controllava l'intera rupe (circa un chilometro), con vari punti di avvistamento. Le strutture originarie sono in gran parte crollate, restano parte della rocca che occupava il colle più alto, la porta con i due imponenti torrioni circolari, una cisterna e parte del maschio. Recentemente ristrutturata ed in parte utilizzata ad uso ristorante. In posizione sovrastante rispetto alla rocca la torre campanaria - lato verso mare - con attiguo edificio ecclesiastico, parzialmente ricostruito dopo la pressochè distruzione totale subita nella seconda guerra mondiale. Su un vicinissimo colle roccioso - lato monte - la torre quadrata, risalente al XIII secolo e dominante la valle del Marecchia. recentemente ristrutturato ben visibile da ogni punto, anticamente era collegato alla rocca con una serie di ponteggi.
Sant’Agata Feltria Costruita circa nell’anno mille sul Sasso del Lupo, denominata anticamente “Petra anellaria” per la forma circolare della roccia su cui si appoggia. Dal 1506 al 1660 fu feudo dell’illustre Famiglia genovese dei Campofregoso che la trasformarono in residenza signorile. Oggi la rocca ospita il mondo delle fiabe con quattro stanza dedicate a quattro temi, in collaborazione con lo stilista Salvatore Ferragamo
Fortaleza de Fregoso
Sant’Agata Feltria Costruita circa nell’anno mille sul Sasso del Lupo, denominata anticamente “Petra anellaria” per la forma circolare della roccia su cui si appoggia. Dal 1506 al 1660 fu feudo dell’illustre Famiglia genovese dei Campofregoso che la trasformarono in residenza signorile. Oggi la rocca ospita il mondo delle fiabe con quattro stanza dedicate a quattro temi, in collaborazione con lo stilista Salvatore Ferragamo
Verucchio Si trova su uno sperone roccioso, nel punto più alto del paese. Nel XII secolo è appartenuto alla famiglia dei Malatesta le cui tracce si ritrovano tra le stanze e nei suoi sotterranei. Qui nacque Malatesta da Verucchio detto il “Centenario”, il Mastin vecchio citato da Dante nell’Inferno, condottiero e governatore di Rimini. Verucchio rimase sempre un presidio stretegico militare. La rocca si può visitare interamente.
Rocca Malatestiana di Verucchio o del Sasso
1 Via Rocca
Verucchio Si trova su uno sperone roccioso, nel punto più alto del paese. Nel XII secolo è appartenuto alla famiglia dei Malatesta le cui tracce si ritrovano tra le stanze e nei suoi sotterranei. Qui nacque Malatesta da Verucchio detto il “Centenario”, il Mastin vecchio citato da Dante nell’Inferno, condottiero e governatore di Rimini. Verucchio rimase sempre un presidio stretegico militare. La rocca si può visitare interamente.
Castello e borgo di Marazzano frazione di Gemmano Esso è sorto dall’anno 1125 per iniziativa di Paolo di Marazzano della famiglia Marazzani “antichissima fino ai tempi di Attila, della quale ve n’era nel Regno di Napoli nobilissima”. Nel 1209 l’Imperatore Ottone IV concede delle proprietà di Gemmano e Marazzano all’Arcivescovo di Ravenna. Nel 1270 Malatesta da Verucchio, con l’aiuto dei Cesenati, conquista i castelli di Gemmano, Marazzano, Croce e Monte Colombo ai danni dell’arcivescovado di Ravenna, andando ad avviare il dominio della famiglia Malatesta su questi luoghi, che ne caratterizzerà la storia per almeno due secoli. Nell’aprile del 1356 Galeotto Malatesta di Rimini ottiene in affitto per cinque anni, dall’arcivescovo di Ravenna, alcuni castelli del riminese, peraltro già in suo possesso, quali Gemmano, Marazzano, Monte Colombo, Montescudo, Coriano. Si ha poi cenno che negli anni 1400 il Castello di Marazzano fu abitato dal Capitano Alessandro di Giulio Marazzani eccellentissimo dottore in legge da cui discende Melchiorre Marazzani “Condottiere d’Huomini d’Arme” poi spostatosi in Lombardia. Di seguito si ritrovano alcuni cenni nella relazione della visita pastorale di Monsignor Giovanni Vincenzo Castelli nel 1577, da cui si desume la presenza della chiesa e della canonica di Marazzano.
Via Monte Marazzano
Via Monte Marazzano
Castello e borgo di Marazzano frazione di Gemmano Esso è sorto dall’anno 1125 per iniziativa di Paolo di Marazzano della famiglia Marazzani “antichissima fino ai tempi di Attila, della quale ve n’era nel Regno di Napoli nobilissima”. Nel 1209 l’Imperatore Ottone IV concede delle proprietà di Gemmano e Marazzano all’Arcivescovo di Ravenna. Nel 1270 Malatesta da Verucchio, con l’aiuto dei Cesenati, conquista i castelli di Gemmano, Marazzano, Croce e Monte Colombo ai danni dell’arcivescovado di Ravenna, andando ad avviare il dominio della famiglia Malatesta su questi luoghi, che ne caratterizzerà la storia per almeno due secoli. Nell’aprile del 1356 Galeotto Malatesta di Rimini ottiene in affitto per cinque anni, dall’arcivescovo di Ravenna, alcuni castelli del riminese, peraltro già in suo possesso, quali Gemmano, Marazzano, Monte Colombo, Montescudo, Coriano. Si ha poi cenno che negli anni 1400 il Castello di Marazzano fu abitato dal Capitano Alessandro di Giulio Marazzani eccellentissimo dottore in legge da cui discende Melchiorre Marazzani “Condottiere d’Huomini d’Arme” poi spostatosi in Lombardia. Di seguito si ritrovano alcuni cenni nella relazione della visita pastorale di Monsignor Giovanni Vincenzo Castelli nel 1577, da cui si desume la presenza della chiesa e della canonica di Marazzano.
Rocca Malatestiana Cattolica L’inizio dei lavori per la costruzione della Rocca di Cattolica, eretta durante il dominio di Pandolfo Malatesti, è databile fra il 1490 e il 1491. L’edificio, ubicato sul piano terrazzato sul quale era stato fondato l’insediamento medievale, controllava la Flaminia e al contempo tutto il litorale che, al di sotto della scarpata (greppe), si allungava dalla punta della valle verso il Conca. Finalizzata alla difesa dell’abitato da probabili sbarchi di turchi e pirati sulla costa, la rocca ebbe fin dalle origini anche funzioni di controllo delle attività marittime mercantili clandestine. Il restauro della copertura, incendiata nel 1512 al tempo delle incursioni dell’armata spagnola di stanza nel territorio circostante, viene espressamente motivata “pro custodia littoris illius loci Catholicae ne ibi fiat portus nec onerentur barce vel alia ligna”. All’impianto della torre lavorarono con tutta probabilità maestranze lombarde, particolarmente rinomate nelle arti edili, e vennero utilizzati, oltre ai normali materiali da costruzione reperibili in loco, anche blocchi di pietra trasferiti via mare “ad Catholicam pro fabrica cuiusdam turris”, da scriverne il testo annotava che è curiosa questa inscrizione per la dicitura e pel millesimo bizzarro? (1766). L’abate Giovanni Antonio Battarra, a sua volta, fissando alcuni appunti su Cattolica, sottolineava fra l’altro la presenza della torre “su cui v’è un millesimo che non si può indovinare la mente di chi lo fece incidere in quel marmo” (sec. XVIII). Nei primi anni del Cinquecento Cattolica e la sua rocca, collocate in posizione strategica lungo la via Flaminia, si trovano al centro delle operazioni militari delle armate pontificie alla guida del Valentino prima, dei ribelli urbinati uniti ai collegati poi, diventando teatro di scorrerie e di agguati. E’ esplicito a proposito un passo del Baldi nella vita di Guidobaldo I da Montefeltro duca d’Urbino. Il capo dei ribelli urbinati avvisato da fidate spie, la Cattolica trovarsi malfornita di guardie, determinò, per essere il luogo atto ad impedire il passo di terra fra Rimini e Pesaro, d’occuparla e assalitola di notte lo prese, e diedene parte al Duca…”. Nel 1502 la rocca è poi individuata dalla tradizione storiografica come il luogo di prigionia dei fratelli Venanzio e Annibale Varano, figli del duca di Camerino, in mano a Cesare Borgia. L’edificio viene attentamente rilevato dagli informatori veneziani che non mancano di segnalare nel 1504 al governo della Serenissima che Cattolica “ha una torre nova che volgi passa 20 alta passa 12”, circondata da un fossato e dotata di ponte levatoio (ha un fosso picolo atorno cum una piancheta). I primi danni di una certa entità si registrano, come si è detto, nel 1512, durante il passaggio degli spagnoli, mentre un intervento di consolidamento viene documentato nel 1547. In una lettera indirizzata al capitano di San Giovanni in Marignano, i consoli di Rimini manifestano la necessità di “far conciare la Roccha della Catolica” per assicurare la difesa del borgo e dei vicini nuclei abitati da eventuali sbarchi “de piratti”. Leandro Alberti, a metà del Cinquecento ne esalta i caratteri di solidità (“assai forte torre”) e la medesima convinzione esprimono anche i viaggiatori tedeschi suoi contemporanei, concordi a ricordarla come “arx satis firma”. Nel 1564 si ha notizia dell’interessamento della duchessa di Urbino, Vittoria Farnese, in quegli anni feudataria di Cattolica, per restauri apportati alla rocca sicuramente di un certo rilievo se meritevoli di citazione, cinquant’anni più tardi, da parte dello storico riminese Raffaele Adimari. Nel 1565 infatti, nell’ispezione effettuata alle fortezze pontificie, l’architetto militare Cipriano Piccolpasso non rimarca difetti strutturali dell’edificio, limitandosi a consigliare solamente possibili interventi migliorativi sui fossati: “Alla Catolica si ordinò che si cavassero i fossi et si alargassero dintorno alla torre che è vicino alle osterie et che se la provedesse di alcuni archibusoni da posta acciò che a bisogni, riduttovi dentro quelle genti che habbitano ivi atorno, si potesse anco combatare et tenere per batteria da mano?”. Nel 1583, quando il cardinale di Vercelli, Guido Ferreri, legato di Romagna, caldeggiò la fortificazione della Cattolica, al piano progettuale, a cui attesero diversi architetti militari, fra cui Girolamo Arduini e Giulio Thiene, e il matematico Guidobaldo dal Monte, la torre si inseriva come punto di forza del recinto bastionato, rimanendo ulteriormente rafforzata da un sistema di fossati e di terrapieni sistemati all’intorno sullo schema di una pianta a stella. E’ del 1584 anche l’inserimento della campana, per una più pronta segnalazione di pericolo, in caso di sospetto di turchi. Una fonte non ufficiale ci informa, dieci anni dopo, nel 1594, della necessità di opere di ripristino, mentre è del 1610 la notizia riguardante la risoluzione del consiglio di Rimini di apporvi un “horologio machinale”. Quest’ultimo si doveva alla volontà dell’Adimari, notoriamente attaccato al luogo, dove in più occasioni aveva ricoperto la carica di capitano e abitato nella rocca secondo le consuetudini di quell’incarico. L’Adimari aveva sollecitato l’intervento governativo verso il borgo, cercando di “nobilitarlo con farli erigere una università, o consiglio conforme tutti gli altri officij del nostro pubblico”, ma senza effetto. Gli riuscì comunque di “farli fare un buon horologio machinale per comodità loro (dei cattolichini), e di passeggieri e molt’altri”. Nella seconda metà del Seicento Guidobaldo Bascarini, già oste della Posta e vice capitano di Cattolica, aveva tentato, insieme a suo figlio Domenico, di acquisire la castellania di Cattolica, eleggendo la rocca a sua residenza, ma i forti ostacoli opposti dal consiglio di Rimini, risoluto a mantenere per i soli cittadini riminesi simili privilegi, minò sul nascere l’iniziativa, peraltro già in discussione presso la Sacra Congregazione del Buon Governo a Roma. Alla fine del secolo XVII una descrizione delle fortificazione e dello stato degli armamenti, riguardo a Cattolica segnalava: “La Cattolica è una torre distante da S. Giovanni in Marignano due miglia, è armata da otto spingarde, due moschetti e due falconi. E’ guardata da due soldati a cavallo, e due a piedi con un sergente di milizia”. Controlli sulle strutture murarie si evidenziano solo nel 1716, anno in cui si richiedono lavori di restauro, verosimilmente a seguito delle ispezioni sulle difese costiere del litorale pontificio effettuate dal generale Luigi Ferdinando Marsili l’anno prima. Nel 1756 la caduta di un fulmine rende urgente una “Pericia delli riserzimenti che va fatto nella Rocca della Cattolica” che elenca tutta una serie di riprese da farsi alla copertura, al pavimento del piano superiore, a porte e finestre. Nel 1795, contestualmente ai lavori edilizi effettuati per la chiesa di S. Apollinare, accanto alla quale si era proceduto all’erezione del campanile, la rocca, ormai quasi unicamente adibita a torre di sanità marittima, richiama nuovamente l’attenzione del pubblico. Il campanile veniva a precludere la vista, dalla parte pi? alta della rocca, della punta della valle, impedendo al deputato alla sanità di controllare l’approdo delle barche. Per ovviare a questo inconveniente, qualche tempo dopo l’architetto Giuseppe Fossati, incaricato per la formazione di una pianta completa di relazione e perizia, progettava la sopraelevazione dell’altana “onde trasportare al piano superiore i due falco netti all’oggetto di scoprire la spiaggia al di sopra della chiesa parrocchiale e dello stesso campanile ora intrapreso “. Di pari passo si procede anche al ripristino dei” coperti” dell’altana e del piano superiore perché “ruinosi “. Un ulteriore restauro è documentato nel novembre del 1805, anno in cui si decidono diversi lavori nei locali dell’edificio. Per contratto il capomastro muratore incaricato, Girolamo Giommi, si impegna ad “aprire un muro interno .a pian terreno della Rocca di Cattolica vicino all’ingresso della grotta e dovrà formare conforme s’obbliga, di nuovo la scala per andare nel sotterraneo, e grotta, qual scala dovrà essere formata di mattoni con un riparo di legno per ogni scalino. Così pure detto Giommi dovrà fare conforme s’obbliga due soffitte a cielo di carozza con suo cornicione alle due camere del secondo solaro della rocca di Cattolica suddetta, che guardano verso levante, e li due pavimenti delle predette camere con mattoni ruotati, e ridurre l’attuale camino francese, quali lavori tutti dovranno farsi dal detto Giommi a tutte sue spese con porvi il materiale, e calce del proprio… ed in ultimo dovrà ripassare il tetto della rocca suddetta ponendovi li necessari coppi “. Nella relazione dell’ispettore Alessandro Belmonti, datata 1820, la rocca, che sino alla [me del Settecento era stata la sede del capitanato, si identifica ormai solo come l’ufficio del deputato alla sanità marittima, che fissa appunto “la sua residenza in una superba, e solidissima torre situata sull’alto della collina, o greppe, fabbricata nel 800 (sic) e quasi consimile alla torre di Volano. Da questa residenza scuopre il Commissario tutto il litorale addetto al suo Commissariato, non che il paese e villaggio della Cattolica, che oltre molte decenti osterie, e locande, contiene un buon numero di pescatori e barche da pesca… “. Un sopralluogo, nel novembre del 1861 per stabilire lo stato ed il valore della torre di Cattolica si conclude con la seguente relazione: “La Torre o Rocca di Cattolica, di vecchia costruzione trovasi eretta nel mezzo dell’abitato del detto paese e circondata da un appezzamento di terreno di proprietà di quel comune. Risulta essa di un ambiente sotterraneo, di due vani al piano terra, di altri due vani nel piano superiore, e di 6 ambienti abitabili nel 2 o piano superiore. Al tutto poi sovrastano altri due vani sovraposti l’uno all’altro i quali nel mezzo della torre si elevano come luoghi di esplorazione “. L’ingente impegno finanziario necessario per il restauro dello stabile, rovinosamente deteriorato nel 1859 in occasione dell’ “aqquartieramento” nella rocca di soldati volontari, orientò gli organi governativi alla vendita dell’edificio. Nel 1864 venne acquistata da Antonio Frontini e successivamente trasferita al conte Saladino Saladini Pilastri di Cesena, che ne fece la sua residenza di villeggiatura durante la stagione dei bagni. Ristrutturata ed alterata nei suoi caratteri architettonici originari .la rocca, sul finire del secolo, fallito il tentativo d’acquisto da parte della neonata amministrazione comunale di Cattolica, autonoma da San Giovanni in Marignano dal 1896, venne acquisita prima dalla famiglia Catolfi ed in seguito dai Verni, i cui eredi, ormai alla quarta generazione, tuttora ne risultano proprietari.
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Cattolica
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Rocca Malatestiana Cattolica L’inizio dei lavori per la costruzione della Rocca di Cattolica, eretta durante il dominio di Pandolfo Malatesti, è databile fra il 1490 e il 1491. L’edificio, ubicato sul piano terrazzato sul quale era stato fondato l’insediamento medievale, controllava la Flaminia e al contempo tutto il litorale che, al di sotto della scarpata (greppe), si allungava dalla punta della valle verso il Conca. Finalizzata alla difesa dell’abitato da probabili sbarchi di turchi e pirati sulla costa, la rocca ebbe fin dalle origini anche funzioni di controllo delle attività marittime mercantili clandestine. Il restauro della copertura, incendiata nel 1512 al tempo delle incursioni dell’armata spagnola di stanza nel territorio circostante, viene espressamente motivata “pro custodia littoris illius loci Catholicae ne ibi fiat portus nec onerentur barce vel alia ligna”. All’impianto della torre lavorarono con tutta probabilità maestranze lombarde, particolarmente rinomate nelle arti edili, e vennero utilizzati, oltre ai normali materiali da costruzione reperibili in loco, anche blocchi di pietra trasferiti via mare “ad Catholicam pro fabrica cuiusdam turris”, da scriverne il testo annotava che è curiosa questa inscrizione per la dicitura e pel millesimo bizzarro? (1766). L’abate Giovanni Antonio Battarra, a sua volta, fissando alcuni appunti su Cattolica, sottolineava fra l’altro la presenza della torre “su cui v’è un millesimo che non si può indovinare la mente di chi lo fece incidere in quel marmo” (sec. XVIII). Nei primi anni del Cinquecento Cattolica e la sua rocca, collocate in posizione strategica lungo la via Flaminia, si trovano al centro delle operazioni militari delle armate pontificie alla guida del Valentino prima, dei ribelli urbinati uniti ai collegati poi, diventando teatro di scorrerie e di agguati. E’ esplicito a proposito un passo del Baldi nella vita di Guidobaldo I da Montefeltro duca d’Urbino. Il capo dei ribelli urbinati avvisato da fidate spie, la Cattolica trovarsi malfornita di guardie, determinò, per essere il luogo atto ad impedire il passo di terra fra Rimini e Pesaro, d’occuparla e assalitola di notte lo prese, e diedene parte al Duca…”. Nel 1502 la rocca è poi individuata dalla tradizione storiografica come il luogo di prigionia dei fratelli Venanzio e Annibale Varano, figli del duca di Camerino, in mano a Cesare Borgia. L’edificio viene attentamente rilevato dagli informatori veneziani che non mancano di segnalare nel 1504 al governo della Serenissima che Cattolica “ha una torre nova che volgi passa 20 alta passa 12”, circondata da un fossato e dotata di ponte levatoio (ha un fosso picolo atorno cum una piancheta). I primi danni di una certa entità si registrano, come si è detto, nel 1512, durante il passaggio degli spagnoli, mentre un intervento di consolidamento viene documentato nel 1547. In una lettera indirizzata al capitano di San Giovanni in Marignano, i consoli di Rimini manifestano la necessità di “far conciare la Roccha della Catolica” per assicurare la difesa del borgo e dei vicini nuclei abitati da eventuali sbarchi “de piratti”. Leandro Alberti, a metà del Cinquecento ne esalta i caratteri di solidità (“assai forte torre”) e la medesima convinzione esprimono anche i viaggiatori tedeschi suoi contemporanei, concordi a ricordarla come “arx satis firma”. Nel 1564 si ha notizia dell’interessamento della duchessa di Urbino, Vittoria Farnese, in quegli anni feudataria di Cattolica, per restauri apportati alla rocca sicuramente di un certo rilievo se meritevoli di citazione, cinquant’anni più tardi, da parte dello storico riminese Raffaele Adimari. Nel 1565 infatti, nell’ispezione effettuata alle fortezze pontificie, l’architetto militare Cipriano Piccolpasso non rimarca difetti strutturali dell’edificio, limitandosi a consigliare solamente possibili interventi migliorativi sui fossati: “Alla Catolica si ordinò che si cavassero i fossi et si alargassero dintorno alla torre che è vicino alle osterie et che se la provedesse di alcuni archibusoni da posta acciò che a bisogni, riduttovi dentro quelle genti che habbitano ivi atorno, si potesse anco combatare et tenere per batteria da mano?”. Nel 1583, quando il cardinale di Vercelli, Guido Ferreri, legato di Romagna, caldeggiò la fortificazione della Cattolica, al piano progettuale, a cui attesero diversi architetti militari, fra cui Girolamo Arduini e Giulio Thiene, e il matematico Guidobaldo dal Monte, la torre si inseriva come punto di forza del recinto bastionato, rimanendo ulteriormente rafforzata da un sistema di fossati e di terrapieni sistemati all’intorno sullo schema di una pianta a stella. E’ del 1584 anche l’inserimento della campana, per una più pronta segnalazione di pericolo, in caso di sospetto di turchi. Una fonte non ufficiale ci informa, dieci anni dopo, nel 1594, della necessità di opere di ripristino, mentre è del 1610 la notizia riguardante la risoluzione del consiglio di Rimini di apporvi un “horologio machinale”. Quest’ultimo si doveva alla volontà dell’Adimari, notoriamente attaccato al luogo, dove in più occasioni aveva ricoperto la carica di capitano e abitato nella rocca secondo le consuetudini di quell’incarico. L’Adimari aveva sollecitato l’intervento governativo verso il borgo, cercando di “nobilitarlo con farli erigere una università, o consiglio conforme tutti gli altri officij del nostro pubblico”, ma senza effetto. Gli riuscì comunque di “farli fare un buon horologio machinale per comodità loro (dei cattolichini), e di passeggieri e molt’altri”. Nella seconda metà del Seicento Guidobaldo Bascarini, già oste della Posta e vice capitano di Cattolica, aveva tentato, insieme a suo figlio Domenico, di acquisire la castellania di Cattolica, eleggendo la rocca a sua residenza, ma i forti ostacoli opposti dal consiglio di Rimini, risoluto a mantenere per i soli cittadini riminesi simili privilegi, minò sul nascere l’iniziativa, peraltro già in discussione presso la Sacra Congregazione del Buon Governo a Roma. Alla fine del secolo XVII una descrizione delle fortificazione e dello stato degli armamenti, riguardo a Cattolica segnalava: “La Cattolica è una torre distante da S. Giovanni in Marignano due miglia, è armata da otto spingarde, due moschetti e due falconi. E’ guardata da due soldati a cavallo, e due a piedi con un sergente di milizia”. Controlli sulle strutture murarie si evidenziano solo nel 1716, anno in cui si richiedono lavori di restauro, verosimilmente a seguito delle ispezioni sulle difese costiere del litorale pontificio effettuate dal generale Luigi Ferdinando Marsili l’anno prima. Nel 1756 la caduta di un fulmine rende urgente una “Pericia delli riserzimenti che va fatto nella Rocca della Cattolica” che elenca tutta una serie di riprese da farsi alla copertura, al pavimento del piano superiore, a porte e finestre. Nel 1795, contestualmente ai lavori edilizi effettuati per la chiesa di S. Apollinare, accanto alla quale si era proceduto all’erezione del campanile, la rocca, ormai quasi unicamente adibita a torre di sanità marittima, richiama nuovamente l’attenzione del pubblico. Il campanile veniva a precludere la vista, dalla parte pi? alta della rocca, della punta della valle, impedendo al deputato alla sanità di controllare l’approdo delle barche. Per ovviare a questo inconveniente, qualche tempo dopo l’architetto Giuseppe Fossati, incaricato per la formazione di una pianta completa di relazione e perizia, progettava la sopraelevazione dell’altana “onde trasportare al piano superiore i due falco netti all’oggetto di scoprire la spiaggia al di sopra della chiesa parrocchiale e dello stesso campanile ora intrapreso “. Di pari passo si procede anche al ripristino dei” coperti” dell’altana e del piano superiore perché “ruinosi “. Un ulteriore restauro è documentato nel novembre del 1805, anno in cui si decidono diversi lavori nei locali dell’edificio. Per contratto il capomastro muratore incaricato, Girolamo Giommi, si impegna ad “aprire un muro interno .a pian terreno della Rocca di Cattolica vicino all’ingresso della grotta e dovrà formare conforme s’obbliga, di nuovo la scala per andare nel sotterraneo, e grotta, qual scala dovrà essere formata di mattoni con un riparo di legno per ogni scalino. Così pure detto Giommi dovrà fare conforme s’obbliga due soffitte a cielo di carozza con suo cornicione alle due camere del secondo solaro della rocca di Cattolica suddetta, che guardano verso levante, e li due pavimenti delle predette camere con mattoni ruotati, e ridurre l’attuale camino francese, quali lavori tutti dovranno farsi dal detto Giommi a tutte sue spese con porvi il materiale, e calce del proprio… ed in ultimo dovrà ripassare il tetto della rocca suddetta ponendovi li necessari coppi “. Nella relazione dell’ispettore Alessandro Belmonti, datata 1820, la rocca, che sino alla [me del Settecento era stata la sede del capitanato, si identifica ormai solo come l’ufficio del deputato alla sanità marittima, che fissa appunto “la sua residenza in una superba, e solidissima torre situata sull’alto della collina, o greppe, fabbricata nel 800 (sic) e quasi consimile alla torre di Volano. Da questa residenza scuopre il Commissario tutto il litorale addetto al suo Commissariato, non che il paese e villaggio della Cattolica, che oltre molte decenti osterie, e locande, contiene un buon numero di pescatori e barche da pesca… “. Un sopralluogo, nel novembre del 1861 per stabilire lo stato ed il valore della torre di Cattolica si conclude con la seguente relazione: “La Torre o Rocca di Cattolica, di vecchia costruzione trovasi eretta nel mezzo dell’abitato del detto paese e circondata da un appezzamento di terreno di proprietà di quel comune. Risulta essa di un ambiente sotterraneo, di due vani al piano terra, di altri due vani nel piano superiore, e di 6 ambienti abitabili nel 2 o piano superiore. Al tutto poi sovrastano altri due vani sovraposti l’uno all’altro i quali nel mezzo della torre si elevano come luoghi di esplorazione “. L’ingente impegno finanziario necessario per il restauro dello stabile, rovinosamente deteriorato nel 1859 in occasione dell’ “aqquartieramento” nella rocca di soldati volontari, orientò gli organi governativi alla vendita dell’edificio. Nel 1864 venne acquistata da Antonio Frontini e successivamente trasferita al conte Saladino Saladini Pilastri di Cesena, che ne fece la sua residenza di villeggiatura durante la stagione dei bagni. Ristrutturata ed alterata nei suoi caratteri architettonici originari .la rocca, sul finire del secolo, fallito il tentativo d’acquisto da parte della neonata amministrazione comunale di Cattolica, autonoma da San Giovanni in Marignano dal 1896, venne acquisita prima dalla famiglia Catolfi ed in seguito dai Verni, i cui eredi, ormai alla quarta generazione, tuttora ne risultano proprietari.
Rocca dei Guidi di Bagno a Montebello Percorrendo un'aerea strada asfaltata di crinale, l'unica esistente, da Torriana si giunge in pochi minuti al castello di Montebello. Luogo di antiche battaglie, di magie panoramiche, di teneri fantasmi, Montebello ha conservato in barba ai secoli. e grazie alla sua posizione grifagna e solitaria, una struttura medievale pressoché intatta. Oltre i suoi bastioni e dietro la sagoma del castello le colline degradano verso la pianura e il mare. E all'orizzonte, azzurri nelle lontananza o nitidi nei giorni di sole, si scorgono i primi contrafforti dell'Appennino scuri di boschi. Di origine militare romana (III secolo a.C.) come testimonia il nome, ossia Mons Belli, il monte della guerra, il castello di Montebello fu acquistato nel 1186 dai Malatesta che, in questa terra di confine dove tutti erano nemici di tutti, provvidero a dotarlo di fortificazioni. Il luogo infatti era ubicato proprio sugli insediamenti dei Montefeltro, nemici storici del Malatesta. E proprio i Montefeltro, nel 1393, con un audace colpo di mano, riuscirono a conquistare l'inespugnabile fortezza. Solo nel 1438 Sigismondo Pandolfo Malatesta riuscirà, con genio militare e spregiudicatezza strategica, a ricondurlo alla sua potente famiglia che viveva in quegli anni l'apice del proprio dominio. Ma l'inimicizia del papa Pio II Piccolomini e gli eterni rivali Montefeltro decretano l'inarrestabile declino dei Malatesta. Il castello di Montebello nel 1463 passa ai conti Guidi di Bagno che ne sono tutt'oggi proprietari. Porta d'ingresso. Un tempo era il portone del Castello ed era preceduto da un profondo fossato asciutto, ora introduce al minuscolo borgo di Montebello il cui abitato conserva intatti tutti gli elementi urbanistici medievali. Il silenzio, il luogo è aperto solo ai mezzi motorizzati dei residenti che sono circa una trentina, l'atmosfera e i panorami ne fanno un luogo unico. Capaci e comodi parcheggi, situati fuori le mura, danno spazio alle auto dei visitatori. La Torre civica. Di epoca medievale troneggia nell'abitato con la sua solida mole quadrata. Orientata in modo che la sua campana fosse udibile sia nella Valle del Marecchia che in quella dell'Uso, ha scandito nei secoli avvenimenti e pericoli imminenti. I sentieri. Intorno alle mura che stringono il piccolo borgo corrono diversi sentieri, un tempo uniche vie d'accesso, tracciati dai passi degli antichi abitanti. I loro nomi sono ancora ricchi delle suggestioni natruralistiche del luogo: il Passo della Volpe, il Passo del Sasso, i Torricini. Ripristinati e debitamente segnalati salgono e scendono dai parcheggi ubicati intorno al borgo. ... La Rocca di Montebello. Subito dopo il Portale che introduce alla cerchia fortificata di Montebello, sulla destra, una rampa pietrosa conduce al Girone, ossia al secondo giro di mura, il bastione fortificato dentro a cui sorge la Rocca. La costruzione, innestata sulla roccia, corrisponde alla parte originaria della fortificazione. Attorno ad essa, tra XI e il XVI secolo, sono state aggiunte altre strutture che hanno attribuito al castello le caratteristiche tipiche di un palazzo gentilizio. Il maschio della fortezza. È la parte originaria del castello. Le sue fondamenta innestano, in basso sulla roccia, un basamento di forma esagonale a scarpa. L'Armeria dell'Albana. È il primo edificio che si incontra in cima alla salita che conduce al Girone. Si tratta di un'antica pieve romanica, come la facciata del manufatto rivela chiaramente, che ha subito nei secoli vari rimaneggiamenti e usi diversi: è stata fucina di fabbri ferrai, alloggiamento per le artiglierie ed ora accogliente enoteca. La corte del castello. È racchiusa in un quadrato di pareti, in cui si individuano le due parti che compongono l'edificio. La più vecchia ha mantenuto le forme difensive originali, la più recente (XVI e XVII secolo) risente invece della funzione residenziale. L'ala rinascimentale. Costruita dai Malatesta a cavallo del 1400, custodisce decine di pezzi di arredo come quadri, mensole, specchi, cassettoni, autentici gioielli di arte e artigianato italiano fra il 1400 e il 1700. La "Galleria di Azzurrina". Ricorda la tragica vicenda di Guendalina, la bimba, figlia del feudatario Ugolinuccio Malatesta, che in un tempestoso pomeriggio del solstizio d'estate del 1375, svanisce misteriosamente nei sotterranei della fortezza inseguendo la sua palla di pezza. La piccola, la cui voce secondo la leggenda si ode ancora singhiozzare ad ogni quinquennio nelle notti del solstizio d'estate, ribattezzata Azzurrina per i suoi limpidi occhi azzurri e i chiari capelli dai riflessi azzurrati, è una della tante misteriose presenze che popolano gli spazi del Castello. Per ascoltare i suoi struggenti singulti sono saliti al castello curiosi, medium, esperti e cacciatori di fantasmi».
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Castello di Montebello
7 Via Castello di Montebello
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Rocca dei Guidi di Bagno a Montebello Percorrendo un'aerea strada asfaltata di crinale, l'unica esistente, da Torriana si giunge in pochi minuti al castello di Montebello. Luogo di antiche battaglie, di magie panoramiche, di teneri fantasmi, Montebello ha conservato in barba ai secoli. e grazie alla sua posizione grifagna e solitaria, una struttura medievale pressoché intatta. Oltre i suoi bastioni e dietro la sagoma del castello le colline degradano verso la pianura e il mare. E all'orizzonte, azzurri nelle lontananza o nitidi nei giorni di sole, si scorgono i primi contrafforti dell'Appennino scuri di boschi. Di origine militare romana (III secolo a.C.) come testimonia il nome, ossia Mons Belli, il monte della guerra, il castello di Montebello fu acquistato nel 1186 dai Malatesta che, in questa terra di confine dove tutti erano nemici di tutti, provvidero a dotarlo di fortificazioni. Il luogo infatti era ubicato proprio sugli insediamenti dei Montefeltro, nemici storici del Malatesta. E proprio i Montefeltro, nel 1393, con un audace colpo di mano, riuscirono a conquistare l'inespugnabile fortezza. Solo nel 1438 Sigismondo Pandolfo Malatesta riuscirà, con genio militare e spregiudicatezza strategica, a ricondurlo alla sua potente famiglia che viveva in quegli anni l'apice del proprio dominio. Ma l'inimicizia del papa Pio II Piccolomini e gli eterni rivali Montefeltro decretano l'inarrestabile declino dei Malatesta. Il castello di Montebello nel 1463 passa ai conti Guidi di Bagno che ne sono tutt'oggi proprietari. Porta d'ingresso. Un tempo era il portone del Castello ed era preceduto da un profondo fossato asciutto, ora introduce al minuscolo borgo di Montebello il cui abitato conserva intatti tutti gli elementi urbanistici medievali. Il silenzio, il luogo è aperto solo ai mezzi motorizzati dei residenti che sono circa una trentina, l'atmosfera e i panorami ne fanno un luogo unico. Capaci e comodi parcheggi, situati fuori le mura, danno spazio alle auto dei visitatori. La Torre civica. Di epoca medievale troneggia nell'abitato con la sua solida mole quadrata. Orientata in modo che la sua campana fosse udibile sia nella Valle del Marecchia che in quella dell'Uso, ha scandito nei secoli avvenimenti e pericoli imminenti. I sentieri. Intorno alle mura che stringono il piccolo borgo corrono diversi sentieri, un tempo uniche vie d'accesso, tracciati dai passi degli antichi abitanti. I loro nomi sono ancora ricchi delle suggestioni natruralistiche del luogo: il Passo della Volpe, il Passo del Sasso, i Torricini. Ripristinati e debitamente segnalati salgono e scendono dai parcheggi ubicati intorno al borgo. ... La Rocca di Montebello. Subito dopo il Portale che introduce alla cerchia fortificata di Montebello, sulla destra, una rampa pietrosa conduce al Girone, ossia al secondo giro di mura, il bastione fortificato dentro a cui sorge la Rocca. La costruzione, innestata sulla roccia, corrisponde alla parte originaria della fortificazione. Attorno ad essa, tra XI e il XVI secolo, sono state aggiunte altre strutture che hanno attribuito al castello le caratteristiche tipiche di un palazzo gentilizio. Il maschio della fortezza. È la parte originaria del castello. Le sue fondamenta innestano, in basso sulla roccia, un basamento di forma esagonale a scarpa. L'Armeria dell'Albana. È il primo edificio che si incontra in cima alla salita che conduce al Girone. Si tratta di un'antica pieve romanica, come la facciata del manufatto rivela chiaramente, che ha subito nei secoli vari rimaneggiamenti e usi diversi: è stata fucina di fabbri ferrai, alloggiamento per le artiglierie ed ora accogliente enoteca. La corte del castello. È racchiusa in un quadrato di pareti, in cui si individuano le due parti che compongono l'edificio. La più vecchia ha mantenuto le forme difensive originali, la più recente (XVI e XVII secolo) risente invece della funzione residenziale. L'ala rinascimentale. Costruita dai Malatesta a cavallo del 1400, custodisce decine di pezzi di arredo come quadri, mensole, specchi, cassettoni, autentici gioielli di arte e artigianato italiano fra il 1400 e il 1700. La "Galleria di Azzurrina". Ricorda la tragica vicenda di Guendalina, la bimba, figlia del feudatario Ugolinuccio Malatesta, che in un tempestoso pomeriggio del solstizio d'estate del 1375, svanisce misteriosamente nei sotterranei della fortezza inseguendo la sua palla di pezza. La piccola, la cui voce secondo la leggenda si ode ancora singhiozzare ad ogni quinquennio nelle notti del solstizio d'estate, ribattezzata Azzurrina per i suoi limpidi occhi azzurri e i chiari capelli dai riflessi azzurrati, è una della tante misteriose presenze che popolano gli spazi del Castello. Per ascoltare i suoi struggenti singulti sono saliti al castello curiosi, medium, esperti e cacciatori di fantasmi».
Castello Malatestiano «Fu edificato dalla famiglia Malatesta. Nel corso delle tante battaglie tra Malatesta e Montefeltro, Guelfi e Ghibellini, Malatesta e Stato pontificio, vi fu imprigionato Malatestino Dallocchio. La data di tale prigionia è ragionevolmente quella del 1209. Il castello, come è dimostrato storicamente, fu oggetto di 5 assedi, di cui uno soltanto sventato. Non sempre la fortificazione è stata sede di una guarnigione militare permanente. Ciò si verificava quando la vicina Montescudo sfuggiva al controllo dei Malatesta (è stata a lungo feudo dei Conti Guidi di Bagno di Romagna). È stato oggetto di numerosi interventi di restauro nel corso degli ultimi 300 anni, a causa della scarsa solidità della selce fluviale, utilizzata per la realizzazione delle mura. Gli ultimi restauri sono stati effettuati tra il 2002 ed il 2007, su iniziativa dei Sindaci Fiorini e Tordi».
Montescudo-Monte Colombo
Castello Malatestiano «Fu edificato dalla famiglia Malatesta. Nel corso delle tante battaglie tra Malatesta e Montefeltro, Guelfi e Ghibellini, Malatesta e Stato pontificio, vi fu imprigionato Malatestino Dallocchio. La data di tale prigionia è ragionevolmente quella del 1209. Il castello, come è dimostrato storicamente, fu oggetto di 5 assedi, di cui uno soltanto sventato. Non sempre la fortificazione è stata sede di una guarnigione militare permanente. Ciò si verificava quando la vicina Montescudo sfuggiva al controllo dei Malatesta (è stata a lungo feudo dei Conti Guidi di Bagno di Romagna). È stato oggetto di numerosi interventi di restauro nel corso degli ultimi 300 anni, a causa della scarsa solidità della selce fluviale, utilizzata per la realizzazione delle mura. Gli ultimi restauri sono stati effettuati tra il 2002 ed il 2007, su iniziativa dei Sindaci Fiorini e Tordi».
Palazzo Marcosanti (fine XIII secolo), uno dei complessi fortilizi più antichi e meglio conservati dell'entroterra riminese, è storicamente noto come Tomba di Poggio Berni. Nel medioevo il termine Tomba indicava una costruzione fortificata eretta in genere su un´altura o comunque in luogo idoneo alla difesa. La sua origine malatestiana, è attestata nel Trecento, da alcuni documenti con attribuzione ai beni Malatestiani e da un fregio, in cotto, rappresentante la tipica scacchiera malatestiana ad ornamento di un arco a sesto acuto che dà sul cortile interno. Castello Marcosanti è protagonista di una serie di passaggi di proprietà che hanno interessato molte storiche famiglie. A partire dai Malatesta, la fortezza svolse un ruolo importante nella politica delle alleanze familiari assumendo, spesso, il carattere di bene personale andato in dote alle figlie dei Signori che lo hanno posseduto. Per questo Tonino Guerra, affettivamente molto legato a Marcosanti, lo ha rinominato: il Castello dei Matrimoni. Nel 1418 la Tomba di Poggio Berni è tra i beni elencati come dote di Laura, detta Parisina, figlia di Andrea Malatesta signore di Cesena, andata in sposa a Nicolò III marchese d'Este; Parisina venne uccisa nel 1425, sospetta di corrispondenza amorosa con Ugo suo coetaneo e figlio naturale del marito. Due anni più tardi il bene torna ai Malatesta come appannaggio dotale di Margherita d´Este figlia di Nicolò III e sposa di Roberto Galeotto Malatesta. Dopo un possesso temporaneo di Violante da Montefeltro, vedova del signore di Cesena Novello Malatesta, la Tumba Podii Ibernorum fu acquistata dal cardinale Stefano Nardini che nel 1473 la donò al nipote, il conte Cristoforo Nardini da Forlì che aveva sposato Contessina Malatesta, figlia naturale di Sigismondo. Nei successivi tre secoli, il Papato entrò più volte in possesso del Castello succedendo ai Nardini e alla casata dei Montefeltro. A Cristoforo Nardini, morto nella battaglia di Colle Val d´Elsa del 1479, succedette il figlio naturale Pietro che si macchiò di varie scelleratezze e neanche la sua morte bastò a placare l'ira di papa Innocenzo VIII che con Bolla Papale del 12 dicembre 1489 fece imprigionare a vita tutti i membri della famiglia. Dopo tre anni, il 23 maggio 1492, la segregazione dei Nardini venne commutata con la donazione alla Camera Apostolica di quasi tutti i loro beni fra i quali spiccano il Fortilitium e la vasta tenuta di Poggio Berni con tutti i diritti di giurisdizione già concessi a questo possedimento da privilegi papali ed imperiali. Il 16 luglio 1492 Innocenzo VIII cede il Fortilizio di Poggio Berni a Giovanni della Rovere d´Aragona, padre di Francesco Maria, il futuro duca di Urbino. Nel settembre 1493 il bene passa a Domenico Doria che sei mesi più tardi lo cede a Guidubaldo I, ultimo duca di Urbino di casa Montefeltro, marito di Elisabetta Gonzaga. Nel 1557 Guidubaldo II duca d'Urbino cede Castello e tenuta al conte Orazio I di Carpegna. Nemmeno un anno dopo, il 28 settembre 1558, questi lo cede al cardinale di Urbino, Giulio della Rovere, che temporaneamente riesce a ottenerne il ritorno ai beni della sua famiglia. Il Castello di Poggio Berni, con la sua tenuta, mantiene la connotazione di bene personale legato all'appannaggio della dote anche in un solenne atto pubblico, messo a punto dopo lunghe trattative, fra la Curia romana, Francesco Maria II duca d'Urbino ed il Granducato di Toscana. Nella importante convenzione, stipulata il 30 aprile 1624, i beni allodiali e l'eredità dell'ultimo duca d'Urbino sono attribuiti alla nipote Vittoria della Rovere, sposata ancora bambina a Ferdinando II de Medici, figlio del Granduca di Toscana; Castello e tenuta sono ricordati con particolare considerazione fra i beni dotali di Vittoria e proprio in virtù del loro prestigio restano ai de Medici nonostante la lontananza dagli altri domini del Granducato in Romagna. Nel 1738, con l'estinzione della casa Medicea, l'intera proprietà passa ai Lorena i quali però la cedono nel momento in cui assurgono all'Impero d'Austria; nel 1763 Francesco di Lorena, marito dell'imperatrice Maria Teresa d'Austria, cede infatti la proprietà alla Camera Apostolica. Nel 1778, a distanza di 15 anni, il bene passa alla famiglia dei principi Albani che vi restano per oltre un secolo; a seguito di questo passaggio l´edificio prende il nome di Palazzo Albani. Il 3 ottobre 1889 il principe Cesare Albani di Milano cede il Palazzo e relativa tenuta all'avv. Paolo Marcosanti. L´antica tenuta man mano si smembra. Durante la seconda guerra mondiale l´edificio subisce ingenti danni e nell'immediato dopoguerra i Marcosanti alienano il Palazzo e la tenuta smembrando la proprietà Il degrado del complesso monumentale si stava avvicinando alla irreversibilità, quando, nel 1974, l’attuale proprietà inizia e completa, per quanto ancora possibile, il recupero ed il restauro scientifico del Palazzo restituendogli dignità nell’utilizzo e il fascino della dimora nobiliare che richiama suggestive memorie storiche».
Palazzo Marcosanti
441 Via Ripa Bianca
Palazzo Marcosanti (fine XIII secolo), uno dei complessi fortilizi più antichi e meglio conservati dell'entroterra riminese, è storicamente noto come Tomba di Poggio Berni. Nel medioevo il termine Tomba indicava una costruzione fortificata eretta in genere su un´altura o comunque in luogo idoneo alla difesa. La sua origine malatestiana, è attestata nel Trecento, da alcuni documenti con attribuzione ai beni Malatestiani e da un fregio, in cotto, rappresentante la tipica scacchiera malatestiana ad ornamento di un arco a sesto acuto che dà sul cortile interno. Castello Marcosanti è protagonista di una serie di passaggi di proprietà che hanno interessato molte storiche famiglie. A partire dai Malatesta, la fortezza svolse un ruolo importante nella politica delle alleanze familiari assumendo, spesso, il carattere di bene personale andato in dote alle figlie dei Signori che lo hanno posseduto. Per questo Tonino Guerra, affettivamente molto legato a Marcosanti, lo ha rinominato: il Castello dei Matrimoni. Nel 1418 la Tomba di Poggio Berni è tra i beni elencati come dote di Laura, detta Parisina, figlia di Andrea Malatesta signore di Cesena, andata in sposa a Nicolò III marchese d'Este; Parisina venne uccisa nel 1425, sospetta di corrispondenza amorosa con Ugo suo coetaneo e figlio naturale del marito. Due anni più tardi il bene torna ai Malatesta come appannaggio dotale di Margherita d´Este figlia di Nicolò III e sposa di Roberto Galeotto Malatesta. Dopo un possesso temporaneo di Violante da Montefeltro, vedova del signore di Cesena Novello Malatesta, la Tumba Podii Ibernorum fu acquistata dal cardinale Stefano Nardini che nel 1473 la donò al nipote, il conte Cristoforo Nardini da Forlì che aveva sposato Contessina Malatesta, figlia naturale di Sigismondo. Nei successivi tre secoli, il Papato entrò più volte in possesso del Castello succedendo ai Nardini e alla casata dei Montefeltro. A Cristoforo Nardini, morto nella battaglia di Colle Val d´Elsa del 1479, succedette il figlio naturale Pietro che si macchiò di varie scelleratezze e neanche la sua morte bastò a placare l'ira di papa Innocenzo VIII che con Bolla Papale del 12 dicembre 1489 fece imprigionare a vita tutti i membri della famiglia. Dopo tre anni, il 23 maggio 1492, la segregazione dei Nardini venne commutata con la donazione alla Camera Apostolica di quasi tutti i loro beni fra i quali spiccano il Fortilitium e la vasta tenuta di Poggio Berni con tutti i diritti di giurisdizione già concessi a questo possedimento da privilegi papali ed imperiali. Il 16 luglio 1492 Innocenzo VIII cede il Fortilizio di Poggio Berni a Giovanni della Rovere d´Aragona, padre di Francesco Maria, il futuro duca di Urbino. Nel settembre 1493 il bene passa a Domenico Doria che sei mesi più tardi lo cede a Guidubaldo I, ultimo duca di Urbino di casa Montefeltro, marito di Elisabetta Gonzaga. Nel 1557 Guidubaldo II duca d'Urbino cede Castello e tenuta al conte Orazio I di Carpegna. Nemmeno un anno dopo, il 28 settembre 1558, questi lo cede al cardinale di Urbino, Giulio della Rovere, che temporaneamente riesce a ottenerne il ritorno ai beni della sua famiglia. Il Castello di Poggio Berni, con la sua tenuta, mantiene la connotazione di bene personale legato all'appannaggio della dote anche in un solenne atto pubblico, messo a punto dopo lunghe trattative, fra la Curia romana, Francesco Maria II duca d'Urbino ed il Granducato di Toscana. Nella importante convenzione, stipulata il 30 aprile 1624, i beni allodiali e l'eredità dell'ultimo duca d'Urbino sono attribuiti alla nipote Vittoria della Rovere, sposata ancora bambina a Ferdinando II de Medici, figlio del Granduca di Toscana; Castello e tenuta sono ricordati con particolare considerazione fra i beni dotali di Vittoria e proprio in virtù del loro prestigio restano ai de Medici nonostante la lontananza dagli altri domini del Granducato in Romagna. Nel 1738, con l'estinzione della casa Medicea, l'intera proprietà passa ai Lorena i quali però la cedono nel momento in cui assurgono all'Impero d'Austria; nel 1763 Francesco di Lorena, marito dell'imperatrice Maria Teresa d'Austria, cede infatti la proprietà alla Camera Apostolica. Nel 1778, a distanza di 15 anni, il bene passa alla famiglia dei principi Albani che vi restano per oltre un secolo; a seguito di questo passaggio l´edificio prende il nome di Palazzo Albani. Il 3 ottobre 1889 il principe Cesare Albani di Milano cede il Palazzo e relativa tenuta all'avv. Paolo Marcosanti. L´antica tenuta man mano si smembra. Durante la seconda guerra mondiale l´edificio subisce ingenti danni e nell'immediato dopoguerra i Marcosanti alienano il Palazzo e la tenuta smembrando la proprietà Il degrado del complesso monumentale si stava avvicinando alla irreversibilità, quando, nel 1974, l’attuale proprietà inizia e completa, per quanto ancora possibile, il recupero ed il restauro scientifico del Palazzo restituendogli dignità nell’utilizzo e il fascino della dimora nobiliare che richiama suggestive memorie storiche».

Castelli e Rocche Repubblica di San Marino

Serravalle frazione di San Marino
Castello di Serravalle
18 Via Ezio Balducci
Serravalle frazione di San Marino